Nella storia la vera cultura non è quella del vincere,
ma del riconciliare.
Da Aleppo a Berlino, ripartendo da Fontem
di Massimo Toschi
Il pensiero va ai sofferenti del mondo intero
All’indomani del Concilio, pochi mesi dopo la sua conclusione, Fontem fu inaugurata. Verrebbe da parafrasare le parole del profeta: «E tu, Fontem, la più piccola delle città del Camerun, da te nascerà un figlio, che dominerà l’Africa». Ero già venuto dieci anni fa, nel 2006, per vedere una originale esperienza di convivenza che poteva costituire un punto di riferimento per il superamento dei conflitti etnici e tribali che hanno devastato in questi ultimi trent’anni l’Africa.
Tutto nasce nel Concilio Vaticano II. Il vescovo di questa area segnata dall’epidemia costante e tragica della malattia del sonno, chiede a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, di inviare alcuni medici per dare una mano ai popoli di quel luogo minacciato. Una richiesta semplice e diretta, senza tante strategie, che riceve una risposta altrettanto semplice e diretta. Il Concilio cambia la vita di un piccolo pezzo del Camerun in modo semplice: qualche medico per curare i bambini che morivano di devastanti epidemie. La presa in cura dei piccoli, secondo la parola di papa Giovanni XXIII della Chiesa dei poveri.
La venuta dei medici nel 1966 ebbe un grande successo, i bambini cominciarono ad essere curati e si decise di avviare la costruzione di un ospedale per rafforzare e consolidare l’intervento sanitario. L’ospedale cominciò a ospitare malati di tribù e etnie diverse, che si erano sempre guardate con diffidenza e talora combattute. A partire dalle corsie del piccolo ospedale si posero le basi di una nuova convivenza, non nel segno del conflitto, ma della riconciliazione. A Fontem nasce anche un college che mette insieme giovani di etnie diverse provenienti da tutta la regione, per prepararsi agli studi universitari da fare poi a Douala e a Yaoundè. E il college diventa strumento per far crescere una cultura del dialogo e dell’incontro, davvero secondo una cultura del perdono. Nell’ospedale la gente sperimenta la condizione di uguaglianza di tutti e di ciascuno, secondo una nudità che non cancella, ma narra il patire di ogni persona con la sua storia. Nel college i giovani imparano la parola del perdono e della riconciliazione, le parole fondamentali per costruire il futuro della convivialità delle differenze.
Non lontano da Fontem, il Camerun confina con Paesi come la Repubblica Centrafricana, il Ciad, il Mali. Bangui, “capitale spirituale del mondo” come l’ha definita papa Francesco confina con la regione di Fontem e porta con sé i segni di un terrorismo islamico capace di molti volti e al tempo stesso pericolosissimo, per la sua ferocia. Ecco, Fontem è una risposta al tempo stesso concreta, quotidiana, efficace e spiritualmente vigorosa. Non basta solo la guarigione, ma la costruzione di una visione del futuro che liberi l’Africa dalla tentazione della violenza e del conflitto. La vita e la salute sono decisive, ma la cultura è ancor più necessaria per vincere la partita del futuro dell’Africa.
I malati che sono curati, piccoli e grandi, ricchi e poveri (circa trentamila l’anno, mentre i parti sono ottocento l’anno, in condizioni di sicurezza) vengono da tribù diverse e cosi i ragazzi e i giovani che studiano al college (circa cinquecento l’anno). Essi sono i veri attori della nuova Africa e questo disegno ha come protagonisti un college, un ospedale e anche una visione di insieme, potremmo dire di unità e di riconciliazione. Per questo la Regione Toscana e l’Unicoop hanno deciso di sostenere questo progetto ambizioso e innovativo, sia sul versante della scuola che di quello della salute. In particolare c’è stato un grande impegno per la lotta all’Aids.
Sono necessari gli ospedali e le scuole, ma senza una visione, una ispirazione, si rischia di porre dei mattoni senza forza e senza stabilità, che possono essere spazzati via dal vento e dell’acqua. Le celebrazioni per il giubileo straordinario di Fontem hanno contenuto questo segreto. Il bellissimo ospedale colpiva per la cura con cui è tenuto, custodito e riguardato e al tempo stesso il college si affermava per la sua solidità non solo muraria, ma culturale.
La marcia degli ex studenti, che hanno fatto durante la festa, è stata la narrazione di una seminagione di lungo periodo: gruppi più o meno consistenti, anno per anno, indicavano storie straordinarie di vita in tante parti del mondo, in particolare negli Stati Uniti, ma che non hanno dimenticato il punto di partenza di cinquant’anni prima, e sostengono i nuovi studenti con aiuti economici e culturali, perché la semina non abbia fine. Il conflitto etnico si scioglie in una cultura condivisa, che fa degli studenti del college dei cittadini del mondo, ma sempre legati ai loro antenati e alle loro radici.
Se Fontem contiene la cultura della pace e del perdono, Boko Haram contiene le opere della distruzione nel Nord del Camerun e non solo. Mentre in Europa crescono gli etnocentrismi e i populismi, con il loro potere distruttivo, nella grande Africa, sull’onda della ispirazione di Mandela, nascono queste straordinarie esperienze che non hanno la pretesa di cambiare la storia, ma di fecondarla in modo nuovo secondo una saggezza antica e una visione moderna. Se si vuole fecondare la pace ci vogliono una cultura e una visione di pace, altrimenti saremo solo moltiplicatori di guerra senza fine. Nel tempo della Terza guerra mondiale a pezzi, solo la pace e il perdono sconfiggono la paura e i conflitti.
Pensavo queste cose nel mio lungo viaggio verso Fontem. Pensavo ad Aleppo e alla sua tragedia. Si è pensato di sconfiggere la Siria con la guerra, a cui molti hanno dato il loro contributo; e invece abbiamo prodotto una tragedia di dimensioni indicibili, nel numero degli uccisi, nelle distruzioni che hanno devastato tutto. Si è pensato che la guerra potesse essere guarita dalla guerra, mentre è vero esattamente il contrario.
Quello che abbiamo visto in questi giorni i e in queste ore sarà come un giudizio di Dio sui popoli e sui governi del conflitto. Hanno vinto i grandi interessi politici, militari ed economici, che hanno schiacciato i bambini innocenti, gli anziani abbandonati, i disabili, prigionieri tragici della loro disabilità, che non sono stati capaci di fuggire dalla guerra, tanto meno di lasciare il loro Paese. Come sempre c’è una gerarchia di morte, che nessuno ha il potere di evitare nella fuga.
Dopo cinque anni, la guerra in Siria denuncia il fallimento politico di chi quella guerra ha voluto, con sottile astuzia e con una violenza senza limiti. L’Europa, gli Stati Uniti e la Russia sono attori responsabili di tutto questo, insieme all’Iran, all’Arabia Saudita, all’Iraq… Tutti hanno creduto che la guerra fosse solo la via breve, ed invece era semplicemente la via tragica, con il risultato di moltiplicare la paura e l’angoscia in ogni angolo del mondo. I rifugiati sono la narrazione di un disegno disperato sul Mediterraneo e sull’Europa.
Abbiamo scelto la cultura della paura ed è arrivato il terrorismo, capace di penetrare gli angoli più bui della nostra vita. Abbiamo scoperto l’otre della violenza e del terrore, e non siamo stati più capaci di rinchiuderlo. E il terrore è arrivato a Parigi, a Bruxelles, a Colonia, a Madrid, a Istanbul, a Berlino, non molte ore fa.
Quel terrore nasce dalla guerra, non dai rifugiati; dai poteri finanziari e militari non da coloro che lasciano la Siria in condizioni indicibili e complicatissime. Questa è una partita che non si vince acuendo lo scontro, ma cambiando le regole del gioco,cioè costruendo una visione mite e coraggiosa della pace e dell’Europa. Impariamo da Fontem, dalla cura e dalla cultura, per costruire il futuro. Mettiamo al centro i feriti, i piccoli, gli abbandonati, i violati e così, servendo loro, si serviranno tutti. Ecco il segreto di Fontem: non le armi della guerra, apparentemente potentissime, ma in concreto fallimentari, ma gli strumenti della cultura e della riconciliazione, dell’incontro e del dialogo: alla fine bastano un ospedale e un college.
L’Europa non è esente da questa partita e neppure le Chiese, che fanno fatica ad affidarsi al realismo del Vangelo e non a quello disperato del potere. Gli innocenti e i rifugiati bussano alla nostra porta. Apriamo alla loro domanda di pace e di futuro. Non escludiamoli dalla nostra vita. Il papa ogni giorno ci ricorda questo in modo incessante. Non voltiamoci indietro, perché saremo pietrificati, mentre l’Europa ha bisogno di pietre vive. Berlino ha bisogno non di muri, che appartengono ad un ricordo tragico della storia, ma instancabilmente deve cercare la cultura e la parola della pace. Nella storia la vera cultura non è quella del vincere, ma del riconciliare.
(Fonte: CittaNuova)