“Io accolgo te nel Signore”:
criteri di discernimento
dal rito del matrimonio
a cura di Egidio Palumbo, ocarm
(VIDEO INTEGRALE)
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
DISCERNIMENTO E RESPONSABILITÀ
“Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono”
(1Ts 5,21)
30 novembre 2016
1. Liturgia, fede e vita
La scelta di individuare nel Rito del Matrimonio alcuni criteri di discernimento essenziali per
la vita cristiana delle famiglie, è motivata da una ragione fondamentale. Alla
base di ogni libro liturgico della Chiesa vi è l’antico e sapiente adagio
patristico: “lex orandi, lex credendi”,
ovvero “ciò che si prega, esprime
Colui in cui si crede e ciò che è creduto”. Questo significa che nella Liturgia la Chiesa orante esprime la sua
fede, la sua relazione con il Dio di Gesù Cristo, Dio credibile e affidabile, e
nello stesso tempo esprime la sua risposta
di fede al Dio credibile e affidabile. E se a “lex orandi, lex credendi”
aggiungiamo anche “lex vivendi” (“ciò
che si tenta di vivere”), allora nella
Liturgia la Chiesa orante non solo
esprime la sua fede, ma anche il suo vissuto, cioè la fede testimoniata nel vissuto quotidiano dei credenti. E così
abbiamo l’adagio completo “lex orandi,
lex credendi, lex vivendi”, che mostra, in modo eloquente, lo stretto rapporto
tra liturgia, fede e vita.
Da questo riferimento
al vissuto appare evidente la motivazione che ci spinge ad individuare nel Rito del Matrimonio alcuni criteri di
discernimento per il cammino esistenziale e la crescita spirituale – cioè accogliendo
lo Spirito di Cristo – nella vita delle famiglie cristiane. Papa Francesco, in Amoris Laetitia n. 72, ci ricorda che «il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito
vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il sacramento è un dono per la
santificazione e la salvezza degli sposi, perché “la loro reciproca
appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno
sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono
pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla
Croce; sono l’uno per l’altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui
il sacramento li rende partecipi” [Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 13]. Il matrimonio è una vocazione, in
quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come
segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di
sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento
vocazionale». Perciò sarebbe auspicabile
che le famiglie riprendessero tra le mani, come itinerario di crescita per il loro
vissuto di fede, l’attuale Rito del
Matrimonio, con l’eucologia (orazioni, benedizioni, formulari), i gesti
rituali e le letture bibliche ivi proposti, e ne facessero oggetto di
riflessione comune, al fine di
«fare memoria del dono e della grazia
ricevuti nel giorno del Matrimonio» ed essere più «coscienti e responsabili del
proprio ruolo nella Chiesa» (Rito del Matrimonio, Presentazione, n. 9).
...
Il consenso, va ricordato, esige tra i due un vincolo
d’amore saldo e maturo, una unione indissolubile e fedele nel tempo, così come
indissolubile e fedele nel tempo è l’Alleanza
sponsale tra Dio e il suo popolo, e indissolubile e fedele nel tempo è l’amore che unisce Cristo Sposo alla sua Chiesa
Sposa (Ef 5,21-33), e di questo amore i coniugi – sposati nel Signore – ne sono pienamente partecipi a tal punto da
diventarne il riflesso esistenziale, l’immagine e la parabola vivente nella
comunità ecclesiale e nel mondo.
Sciogliere o spezzare l’alleanza e il vincolo d’amore coniugale
– bisogna esserne coscienti – significa smentire il Dio dell’Alleanza e l’amore
di Cristo per la sua Chiesa. E quando purtroppo questo accade, non fa altro che
metterci di fronte alla complessa e complicata esistenza di noi esseri umani,
alle nostre fragilità, autoreferenzialità, egoismi, immaturità affettive e di
relazione. E tutto questo, non va dimenticato, fa parte della dimensione umana dell’unione coniugale, non gli è
estranea.
Ecco perché la forma del consenso sottolinea: «… con la grazia di Cristo… con la grazia di
Dio», e poi ancora: «… nel Signore che ci ha creati e redenti». Non sono incisi
retorici, ma qualificano, dal punto di vista della fede, la risposta dei coniugi al loro Signore e
Sposo, i quali, guardando con gli occhi della fede la loro storia di amore, sentono
che li ha preceduti (cf. Rito del
Matrimonio, Presentazione, n. 5), chiamandoli a diventare “una sola carne”
in Lui, un “noi” in Lui, e di conseguenza una piccola chiesa domestica, sposa di Lui che è lo Sposo. Con il consenso,
libero da condizioni e soggezioni, i coniugi esprimono la loro accoglienza e
donazione reciproci, e nel contempo, in quanto chiesa domestica, accettano di coinvolgersi in una storia di amore
e di salvezza che il Signore vuole costruire con loro, una storia che sia di
speranza e di edificazione per la comunità ecclesiale e per il mondo.
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