Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



sabato 3 dicembre 2016

“Io accolgo te nel Signore”: criteri di discernimento dal rito del matrimonio a cura di Egidio Palumbo (VIDEO INTEGRALE)

“Io accolgo te nel Signore”: 
criteri di discernimento 
dal rito del matrimonio  
a cura di Egidio Palumbo, ocarm

(VIDEO INTEGRALE) 


I MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ - 2016 
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto

DISCERNIMENTO E RESPONSABILITÀ 
“Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” 
(1Ts 5,21)



30 novembre 2016

1. Liturgia, fede e vita
La scelta di individuare nel Rito del Matrimonio alcuni criteri di discernimento essenziali per la vita cristiana delle famiglie, è motivata da una ragione fondamentale. Alla base di ogni libro liturgico della Chiesa vi è l’antico e sapiente adagio patristico: “lex orandi, lex credendi”, ovvero “ciò che si prega, esprime Colui in cui si crede e ciò che è creduto”. Questo significa che nella Liturgia la Chiesa orante esprime la sua fede, la sua relazione con il Dio di Gesù Cristo, Dio credibile e affidabile, e nello stesso tempo esprime la sua risposta di fede al Dio credibile e affidabile. E se a “lex orandi, lex credendi” aggiungiamo anche “lex vivendi” (“ciò che si tenta di vivere”), allora nella Liturgia la Chiesa orante non solo esprime la sua fede, ma anche il suo vissuto, cioè la fede testimoniata nel vissuto quotidiano dei credenti. E così abbiamo l’adagio completo “lex orandi, lex credendi, lex vivendi”, che mostra, in modo eloquente, lo stretto rapporto tra liturgia, fede e vita.

Da questo riferimento al vissuto appare evidente la motivazione che ci spinge ad individuare nel Rito del Matrimonio alcuni criteri di discernimento per il cammino esistenziale e la crescita spirituale – cioè accogliendo lo Spirito di Cristo – nella vita delle famiglie cristiane. Papa Francesco, in Amoris Laetitia n. 72, ci ricorda che «il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il sacramento è un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi, perché “la loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi” [Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 13]. Il matrimonio è una vocazione, in quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento vocazionale». Perciò sarebbe auspicabile che le famiglie riprendessero tra le mani, come itinerario di crescita per il loro vissuto di fede, l’attuale Rito del Matrimonio, con l’eucologia (orazioni, benedizioni, formulari), i gesti rituali e le letture bibliche ivi proposti, e ne facessero oggetto di riflessione comune, al fine di «fare memoria del dono e della grazia ricevuti nel giorno del Matrimonio» ed essere più «coscienti e responsabili del proprio ruolo nella Chiesa» (Rito del Matrimonio, Presentazione, n. 9).

...
Il consenso, va ricordato, esige tra i due un vincolo d’amore saldo e maturo, una unione indissolubile e fedele nel tempo, così come indissolubile e fedele nel tempo è l’Alleanza sponsale tra Dio e il suo popolo, e indissolubile e fedele nel tempo è l’amore che unisce Cristo Sposo alla sua Chiesa Sposa (Ef 5,21-33), e di questo amore i coniugi – sposati nel Signore – ne sono pienamente partecipi a tal punto da diventarne il riflesso esistenziale, l’immagine e la parabola vivente nella comunità ecclesiale e nel mondo.
Sciogliere o spezzare l’alleanza e il vincolo d’amore coniugale – bisogna esserne coscienti – significa smentire il Dio dell’Alleanza e l’amore di Cristo per la sua Chiesa. E quando purtroppo questo accade, non fa altro che metterci di fronte alla complessa e complicata esistenza di noi esseri umani, alle nostre fragilità, autoreferenzialità, egoismi, immaturità affettive e di relazione. E tutto questo, non va dimenticato, fa parte della dimensione umana dell’unione coniugale, non gli è estranea.

Ecco perché la forma del consenso sottolinea: «… con la grazia di Cristo… con la grazia di Dio», e poi ancora: «… nel Signore che ci ha creati e redenti». Non sono incisi retorici, ma qualificano, dal punto di vista della fede, la risposta dei coniugi al loro Signore e Sposo, i quali, guardando con gli occhi della fede la loro storia di amore, sentono che li ha preceduti (cf. Rito del Matrimonio, Presentazione, n. 5), chiamandoli a diventare “una sola carne” in Lui, un “noi” in Lui, e di conseguenza una piccola chiesa domestica, sposa di Lui che è lo Sposo. Con il consenso, libero da condizioni e soggezioni, i coniugi esprimono la loro accoglienza e donazione reciproci, e nel contempo, in quanto chiesa domestica, accettano di coinvolgersi in una storia di amore e di salvezza che il Signore vuole costruire con loro, una storia che sia di speranza e di edificazione per la comunità ecclesiale e per il mondo. 


GUARDA IL VIDEO