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venerdì 23 dicembre 2016

"Cari fratelli, non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!" Papa Francesco Auguri natalizi alla Curia Romana 22/12/2016 (testo e video)

PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA
Sala Clementina
Giovedì, 22 dicembre 2016

Papa Francesco ha incontrato nella Sala Clementina, in Vaticano, i membri della Curia Romana per i tradizionali auguri natalizi. Al centro del suo discorso il tema della riforma della Curia.

Cari fratelli e sorelle,

vorrei iniziare questo nostro incontro porgendo i miei cordiali auguri a tutti voi, Superiori, Officiali, Rappresentanti Pontifici e Collaboratori nelle Nunziature sparse nel mondo, a tutte le persone che prestano servizio nella Curia Romana, e ai vostri familiari. Auguri di un santo e sereno Natale e un felice anno nuovo 2017.

Contemplando il volto del Bambino Gesù, sant’Agostino esclamò: «Immenso nella natura divina, piccolo nella natura di servo». Anche san Macario, monaco del IV secolo e discepolo di sant’Antonio abate, per descrivere il mistero dell’Incarnazione, ricorse al verbo greco smikruno, cioè farsi piccolo quasi riducendosi ai minimi termini: «Udite attentamente: l’infinito, inaccessibile e increato Dio per la sua immensa e ineffabile bontà ha preso un corpo e vorrei dire si è infinitamente diminuito dalla sua gloria».

Il Natale, quindi, è la festa dell’umiltà amante di Dio, del Dio che capovolge l’ordine del logicamente scontato, l’ordine del dovuto, del dialettico e del matematico. In questo capovolgimento sta tutta la ricchezza della logica divina che sconvolge la limitatezza della nostra logica umana (cfr Is 55,8-9). Scrive Romano Guardini: «Quale capovolgimento di tutti i valori familiari all’uomo – non solo umani, ma anche divini! Veramente questo Dio capovolge tutto ciò che l’uomo pretende di edificare da sé». Nel Natale noi siamo chiamati a dire «sì», con la nostra fede, non al Dominatore dell’universo e neppure alle più nobili delle idee, ma proprio a questo Dio, che è l’umile-amante.

Il beato Paolo VI, nel Natale 1971, affermava: «Dio avrebbe potuto venire vestito di gloria, di splendore, di luce, di potenza, a farci paura, a farci sbarrare gli occhi dalla meraviglia. No, no! È venuto come il più piccolo degli esseri, il più fragile, il più debole. Perché questo? Ma perché nessuno avesse vergogna ad avvicinarlo, perché nessuno avesse timore, perché tutti lo potessero proprio avere vicino, andargli vicino, non avere più nessuna distanza fra noi e Lui. C’è stato da parte di Dio uno sforzo di inabissarsi, di sprofondarsi dentro di noi, perché ciascuno, dico ciascuno di voi, possa dargli del tu, possa avere confidenza, possa avvicinarlo, possa sentirsi da Lui pensato, da Lui amato … da Lui amato: guardate che questa è una grande parola! Se voi capite questo, se voi ricordate questo che vi sto dicendo, voi avete capito tutto il Cristianesimo».

In realtà, Dio ha scelto di nascere piccolo, perché ha voluto essere amato. Ecco come la logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, della logica del comando, della logica fariseistica e della logica causalistica o deterministica.

Proprio sotto questa luce soave e imponente del volto divino di Cristo bambino, ho scelto come argomento di questo nostro incontro annuale la riforma della Curia Romana. Mi è sembrato giusto e opportuno condividere con voi il quadro della riforma, evidenziando i criteri-guida, i passi compiuti, ma soprattutto la logica del perché di ogni passo realizzato e di ciò che verrà compiuto.

In verità, qui mi torna spontaneo alla memoria l’antico adagio che illustra la dinamica degli Esercizi Spirituali nel metodo ignaziano, ossia: deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare.

Non v’è dubbio che nella Curia il significato della ri-forma può essere duplice: anzitutto renderla con-forme alla Buona Novella che deve essere proclamata gioiosamente e coraggiosamente a tutti, specialmente ai poveri, agli ultimi e agli scartati; con-forme ai segni del nostro tempo e a tutto ciò che di buono l’uomo ha raggiunto, per meglio andare incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che siamo chiamati a servire; al tempo stesso si tratta di rendere la Curia più con-forme al suo fine, che è quello di collaborare al ministero proprio del Successore di Pietro («cum Ipso consociatam operam prosequuntur», dice il Motu proprio Humanam progressionem), quindi di sostenere il Romano Pontefice nell’esercizio della sua potestà singolare, ordinaria, piena, suprema, immediata e universale.

Di conseguenza, la riforma della Curia Romana è ecclesiologicamente orientata in bonum e in servitium, come lo è il servizio del Vescovo di Roma, secondo una significativa espressione di Papa san Gregorio Magno, ripresa dal capitolo terzo della costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I: «Il mio onore è quello della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratelli. Io mi sento veramente onorato, quando a ciascuno di loro non viene negato il dovuto onore».

Essendo la Curia non un apparato immobile, la riforma è anzitutto segno della vivacità della Chiesa in cammino, in pellegrinaggio, e della Chiesa vivente e per questo - perché vivente - semper reformanda, reformanda perché è viva. E’ necessario ribadire con forza che la riforma non è fine a sé stessa, ma è un processo di crescita e soprattutto di conversione. La riforma, per questo, non ha un fine estetico, quasi si voglia rendere più bella la Curia; né può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage oppure di trucco per abbellire l’anziano corpo curiale, e nemmeno come una operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe. Cari fratelli, non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!

In questa prospettiva, occorre rilevare che la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini . Non basta accontentarsi di cambiare il personale, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente. La riforma della Curia non si attua in nessun modo con il cambiamento delle persone – che senz’altro avviene e avverrà – ma con la conversione nelle persone. In realtà, non basta una formazione permanente, occorre anche e soprattutto una conversione e una purificazione permanente. Senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano.

È per questa ragione che nei due nostri precedenti incontri natalizi mi sono soffermato, nel 2014, avendo a modello i Padri del deserto, su alcune “malattie”,

e nel 2015, partendo dalla parola “misericordia”, su una sorta di catalogo delle virtù necessarie a chi presta servizio in Curia e a tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa. 

La ragione di fondo è che, come per tutta la Chiesa, anche nella Curia il semper reformanda deve trasformarsi in una personale e strutturale conversione permanente.

Era necessario parlare di malattie e di cure perché ogni operazione, per raggiungere il successo, deve essere preceduta da approfondite diagnosi, da accurate analisi e deve essere accompagnata e seguita da precise prescrizioni.

In questo percorso risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze: le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo ‎sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; ‎esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici ‎e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare ‎tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.‎

L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi, perché è un segno che il corpo è vivo.

Tutto questo sta a dire che la riforma della Curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera - tanta preghiera! -, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno. E, per questo, preghiera, preghiera e preghiera.

ALCUNI CRITERI GUIDA DELLA RIFORMA:

Sono principalmente dodici: individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità.
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ALCUNI PASSI COMPIUTI

Menziono brevemente e limitatamente alcuni passi realizzati, in attuazione dei criteri-guida, delle raccomandazioni espresse dai Cardinali durante le Riunioni plenarie prima del Conclave, della COSEA, del Consiglio di Cardinali, nonché dei Capi Dicastero e di altre persone ed esperti.
...

Questo nostro incontro è iniziato parlando del significato del Natale come capovolgimento dei nostri criteri umani per evidenziare che il cuore e il centro della riforma è Cristo (Cristocentrismo).

Vorrei concludere semplicemente con una parola e con una preghiera. La parola è quella di ribadire che il Natale è la festa dell’umiltà amante di Dio. Per la preghiera, ho scelto l’invocazione natalizia di Padre Matta el Meskin (monaco contemporaneo), che rivolgendosi al Signore Gesù, nato a Betlemme, così si esprime: «Se per noi l’esperienza dell’infanzia è cosa difficile, per te non lo è, Figlio di Dio. Se inciampiamo sulla via che porta alla comunione con te secondo questa piccola statura, tu sei capace di togliere tutti gli ostacoli che ci impediscono di fare questo. Sappiamo che non avrai pace finché non ci troverai secondo la tua somiglianza e con questa statura. Permettici oggi, Figlio di Dio, di avvicinarci al tuo cuore. Donaci di non crederci grandi nelle nostre esperienze. Donaci, invece, di diventare piccoli come te affinché possiamo esserti vicini e ricevere da te umiltà e mitezza in abbondanza. Non ci privare della tua rivelazione, l’epifania della tua infanzia nei nostri cuori, affinché con essa possiamo curare ogni orgoglio e ogni arroganza. Abbiamo estremo bisogno […] che tu riveli in noi la tua semplicità avvicinando noi, anzi la Chiesa e il mondo tutto, a te. Il mondo è stanco e sfinito perché fa a gara a chi è il più grande. C’è una concorrenza spietata tra governi, tra Chiese, tra popoli, all'interno delle famiglie, tra una parrocchia e un'altra: chi è il più grande tra di noi? Il mondo è piagato da ferite dolorose perché il suo grande morbo è: chi è il più grande? Ma oggi abbiamo trovato in te il nostro unico medicamento, Figlio di Dio. Noi e il mondo tutto non troveremo né salvezza né pace, se non torniamo a incontrarti di nuovo nella mangiatoia di Betlemme. Amen».

Grazie, e vi auguro un santo Natale e un felice anno nuovo 2017![a braccio]

Quando, due anni fa, ho parlato delle malattie, uno di voi è venuto a dirmi: “Dove devo andare, in farmacia o a confessarmi?” – “Mah, tutt’e due”, ho detto io. E quando ho salutato il Cardinale Brandmüller, lui mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Acquaviva!”. Io, al momento, non ho capito, ma poi, pensando, pensando, ho ricordato che Acquaviva, terzo generale della Compagnia di Gesù, aveva scritto un libro che noi studenti leggevamo in latino, i padri spirituali ce lo facevano leggere, si chiamava così: Industriae pro Superioribus ejusdem Societatis ad curandos animae morbos, cioè le malattie dell’anima. Tre mesi fa è uscita una edizione molto buona in italiano, fatta dal padre Giuliano Raffo, morto recentemente; con un buon prologo che indica come si deve leggere, e anche una buona introduzione. Non è un’edizione critica, ma la traduzione è bellissima, ben fatta e credo che possa aiutare. Come dono di Natale, mi piacerebbe offrirlo ad ognuno di voi. Grazie.


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