La mia generazione ha ancora conosciuto la grazia di una catechesi sui novissimi, cioè sulle “realtà ultimissime” che ci attendono tutti: morte, giudizio, inferno e paradiso. Su queste colonne abbiamo già offerto nel tempo di Avvento una riflessione sul giudizio; ora nel tempo pasquale vogliamo sostare sul tema della vita eterna, chiamata anche, come situazione finale, “paradiso” (da pardes, parola persiana che significa “giardino”: Ne 2,8; Qo 2,5; Ct 4,13).
Prima di andare al cuore della riflessione conviene però cogliere l’oggi nel quale viviamo, un oggi nel quale non solo il tema dei novissimi è sovente dimenticato ed evaso, ma in cui predomina il desiderio della vita presente, e dunque manca o non è esercitato il desiderio della vita eterna. Anche i cristiani, se non in certe ore di sofferenza, non si sentono più “esuli, … gementi e piangenti in questa valle di lacrime” – come si canta nell’antifona mariana Salve Regina–, e dunque non hanno molta attesa della vita in Cristo al di là della morte e sentono il paradiso come un sogno, una chimera. Sì, come ha scritto Benedetto XVI, i cristiani non sembrano volere la vita eterna, anzi la vita eterna appare ad alcuni un ostacolo al vivere bene oggi la vita in questo mondo...
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