LIBERTÀ D’ESPRESSIONE,
UNA BRUTTA ARIA
di Vladimiro Zagrebelsky
Due guerre che ci toccano da vicino inaspriscono le contrapposizioni, anche lontano dai campi di battaglia, dove è immenso il numero dei morti, dei feriti, delle distruzioni, dei patimenti. Cresce l’insofferenza per le opinioni altrui. Si vuole zittire, non si vuole ascoltare, si pretende di impedire l’esposizione delle idee altrui e quindi a tutti gli altri di ascoltarle. A chi vorrebbe ascoltarle non viene permesso. Si tratta delle posizioni assunte sulla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, nonché di quelle che riguardano il massacro compiuto da Hamas e la condotta dell’esercito israeliano, con la carneficina in corso a Gaza. Ma l’insofferenza per le idee degli altri non riguarda solo questi drammatici temi.
Tira una brutta aria per la libertà di espressione, pilastro della democrazia: essa riguarda soprattutto le idee, le valutazioni, i fatti che infastidiscono o offendono questa o quella parte dell’opinione pubblica, della società o delle forze di governo. Una libertà che non è solo di chi vuole esprimersi, ma anche di coloro che vogliono ascoltare. Chi zittisce l’avversario dimostra non solo arroganza, ma anche una singolare mancanza di curiosità, insieme all’impermeabilità a ogni dubbio: paura, anzi, del dubbio che gli argomenti altrui possono far nascere. Perché sentire cosa hanno da dire gli altri, anche se ritenuti avversari, può rafforzare le proprie idee, ma può invece indurre a cambiarle o, più probabilmente, può arricchirle nutrendole di sfumature o dubbi.
Ma ora, sempre più spesso, chi non si schiera anche militarmente a fianco dell’Ucraina è insultato come putiniano; chi trova intollerabile ciò che si commette a Gaza è, per ciò solo, insultato come antisemita. Ne seguono, per non essere ingiuriati, dolorose forme di autocensura. E sempre più spesso, soprattutto ma non solo sulle questioni che derivano dalla guerra in Palestina, avvengono nelle Università aggressioni di chi la pensa diversamente e forme varie di imposizione del silenzio.
Si sono visti simili gravi esempi, soprattutto contro gli Ebrei, negli Stati Uniti, in Inghilterra, Francia e ora Italia. E sembra sia rimasta assente la protesta di chi vorrebbe ascoltare le opinioni degli uni e degli altri: dappertutto, ma specificamente nelle Università che, come ha scritto il presidente Mattarella in solidarietà con Maurizio Molinari, sono luoghi incompatibili con chi pretende di imporre le proprie idee impedendo che possa manifestarle chi la pensa diversamente. Affrontando la gazzarra che gli ha impedito di parlare all’Università di Napoli del “Ruolo della cultura in un Mediterraneo conteso”, Molinari ha saputo gestire il conflitto con maggior maturità dei suoi contestatori. Infatti, ha rinunciato a parlare per evitare rischi al pubblico, ma ha invitato i suoi contradittori ad un confronto di idee. Ne ha ottenuto un rifiuto e così ha dimostrato da che parte integralmente stesse il torto.
Ma episodi come questi non dovrebbero concludersi così. Né è necessario rinviare alla discussione del grande tema dei limiti della tolleranza verso gli intolleranti. O dire -come è pur vero- che si pone un’esigenza di evoluzione culturale e civile. Poiché nel frattempo va ricordato anche alle autorità di governo che si tratta di gravi violazioni di libertà individuali e pubbliche e che vi è il dovere positivo di intervenire perché non si ripetano.
(Fonte: “La Stampa” - 17 marzo 2024)