Ibrahim Faltas*
L’indicibile dramma di 150 giorni di conflitto
Chi ridarà il sorriso ai bambini di Gaza?
Chi può affermare di aver vinto fino ad ora questa guerra?
Non può dirlo Hamas dopo l’attacco del 7 ottobre contro civili innocenti, perché sono i palestinesi a pagare il peso più alto di perdite di vite umane. Non possono dirlo gli israeliani che oltre alle perdite di vite, di soldati, di ostaggi vivono una divisione molto evidente nella società civile. Nessuno dei due popoli può vincere perché sta vincendo la sfiducia reciproca, sta vincendo l’odio, la violenza, la vendetta ai massimi livelli in Terra Santa da 75 anni fino ad oggi.
Non può dirlo la comunità internazionale che poteva vincere la pace perché non ci sono stati interventi concreti a favore di una vera pacificazione. Fino ad ora chi ha nelle mani la possibilità di fermare la guerra, non ha il coraggio di sconfiggere interessi e ipocrisie che la scatenano.
Lo scandalo è lo stesso che nella terza domenica di Quaresima ci fa vedere un Gesù insolito e diverso che chiede più onestà e più chiarezza nel cuore. È l’esempio giusto per capire cosa significa mettere a tacere la coscienza lanciando aiuti dal cielo, condannando a parole la violenza senza intervenire concretamente per fermare le armi in mani omicide. Papa Francesco con forza chiede di fermare le armi perché «il disarmo è un dovere morale». È una richiesta forte, giusta, urgente ma finora inascoltata. Le parole e i gesti apparentemente caritatevoli non tolgono la responsabilità di chi potrebbe fermare la guerra veramente e decisamente e non lo fa.
Il bilancio di 150 giorni di guerra è sconvolgente per i numeri di morti e di feriti, per la totale distruzione di case, di ospedali, di moschee, di chiese, di scuole.
Sono numeri che sconvolgono perché dietro ogni persona uccisa o ferita ci sono storie di vita, ci sono propositi che non si realizzeranno, ci sono speranze infrante in un futuro incerto. Gli edifici distrutti sono il simbolo visibile di una umanità distrutta: come faremo a ricostruire la fiducia fra gli esseri umani?
Entrambi i popoli hanno perso il senso di sicurezza che rappresenta la casa. Gli insediamenti israeliani, ai confini con Libano al nord e con Gaza al sud, sono vuoti per motivi di sicurezza e anche i coloni non hanno più casa. A Gaza un milione e mezzo di persone hanno avuto le loro abitazioni distrutte.
Gli ospedali non possono più curare e salvare. Distruggerli e renderli non operativi toglie la speranza di un aiuto da parte di chi vuole aiutare: tanti medici e infermieri sono stati uccisi e feriti mentre lavoravano senza orari e senza mezzi. I luoghi di culto erano luoghi di rifugio per l’anima: distruggerli o privarli di elettricità e acqua ha tolto a tanti anche un rifugio per salvarsi. Le scuole distrutte tolgono la speranza al futuro di tanti bambini e ragazzi che attraverso l’istruzione possono crescere per migliorare la società umana.
Chi ridarà il sorriso, la speranza e la fiducia ai 40.000 orfani di Gaza? I bambini e i loro accompagnatori arrivati in Italia mi hanno raccontato le loro storie, la loro sofferenza, le paure e i traumi che feriscono gli animi come le armi feriscono i corpi. È un bilancio che sconforta. 150 giorni di dolore che si aggiungono alla grande sofferenza della Terra Santa ferita e oltraggiata.
Cerchiamo in questo cammino quaresimale di avere il cuore puro e pieno di fede, speranza e carità. Confidiamo in Gesù Risorto che vince sulla morte e offre speranza all’umanità oppressa dal male.
*Vicario della Custodia di Terra Santa
(fonte: L'Osservatore Romano 04 marzo 2024)