VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)
31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023
Venerdì, 3 febbraio 2023
KINSHASA - GIUBA
8:30 Incontro con i Vescovi presso la sede della CENCO
10:10 Cerimonia di congedo presso l’Aeroporto Internazionale "Ndjili" di Kinshasa
10:40 Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale "Ndjili" di Kinshasa per Giuba
15:00 Arrivo all'Aeroporto Internazionale di Giuba
15:00 Cerimonia di benvenuto
15:45 Visita di cortesia al Presidente della Repubblica presso il Palazzo Presidenziale
16:15 Incontro con i Vicepresidenti della Repubblica
17:00 Incontro con le Autorità, con la Società Civile e con il Corpo Diplomatico nel giardino del Palazzo Presidenziale
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Sud Sudan in festa per l'arrivo di Francesco, la lunga attesa diventata realtà
La gioia palpabile per l'approdo del Papa nel Paese africano contrasta con le ferite aperte di una nazione e una città, la capitale Giuba, che si mostrano per quello che sono, tra povertà diffusa e lotta per trovare un equilibrio di riconciliazione interno, fiduciose che il viaggio apostolico porterà a un nuovo inizio
Papa Francesco riceve il saluto di un bambino al suo arrivo in Sud Sudan (Vatican Media)
Benvenuto Francesco, nel tuo primo viaggio in Sud Sudan. Il Papa in questo Paese ora è realtà, e i canti e gli slogan che lo accolgono a Giuba, con queste parole, tradiscono l'emozione e la felicità per un sogno che in molti credevano irrealizzabile, soprattutto dopo l'annullamento del viaggio del luglio scorso , quando a venire fu il cardinale Pietro Parolin, che portò con sé il dolore di Francesco per aver dovuto cedere al rinvio a causa delle cure al ginocchio. Ad accogliere il Papa all'arrivo a Giuba, proveniente dalla RDC, ai piedi dell'aereo Ati dalla livrea azzurra, è il presidente Salva Kiir, incontrato da Francesco nel 2019 a Casa Santa Marta, assieme ai vicepresidenti, un evento le cui immagini, il Papa che si inchina per baciare i piedi ai governanti di un Paese divorato dalla violenza sin dalla sua nascita, nel 2011, sono ancora vive nella memoria dei sud sudanesi.
Giuba offre la sua speranza
Le danze che accolgono Francesco in aeroporto sono l'espressione dell'immensa gioia che il popolo sta vivendo per la sua presenza, che per tanti qui significherà essere confermati in una fede che è rimasta salda, nonostante la violenza fratricida che non ha mai smesso di distruggere vite e di provocare sfollati, come quelli che Francesco incontrerà domani nella Freedom Hall, da molti definito il più intenso tra gli appuntamenti che il Papa avrà nel Paese fino al giorno della sua partenza, il 5 febbraio. Ad aprirsi agli occhi del Papa, al quale è stata intitolata quella che forse è l'unica strada asfaltata della città, His Holiness Pope Francis Road (Via Sua Santità Papa Francesco), che conduce direttamente alla nunziatura e che è stata conclusa frettolosamente nelle ultime ore notturne, non è una città tirata a lucido. La polvere che sommerge strade mai costruite è ancora tutta là, come le enormi buche che si aprono improvvisamente sullo sterrato. Giuba in queste ore è paralizzata, circondata da uno strettissimo cordone di sicurezza, e certamente non si è imbellettata. Si presenta a Francesco per quello che è, con le sue baracche di lamiera e fango, con i cumuli di immondizia e le fogne a cielo aperto, con i bambini vestiti di stracci e senza scarpe. Ciò che offre è però qualcosa di molto prezioso: la speranza di un popolo tutto alla ricerca di pace e unità, di un Paese intero che, nonostante il ricchissimo sottosuolo, è schiacciato da guerra, da povertà, e ora anche da un clima impazzito che si manifesta con alluvioni continue e devastanti per la già disgraziata economia, e che non fanno altro che ingrossare le file già spaventose di rifugiati e sfollati interni.
Un pellegrinaggio ecumenico per la pace
Giuba, per incontrare il Pontefice, si è preparata facendo sua la riflessione sul valore della riconciliazione, che qui resta una profonda sfida ma che è portato avanti da tutti coloro che vedono nel Papa colui che potrà parlare ai leader per incitarli, affinché l'accordo di pace del 2018 tra gruppi rivali non continui ad essere inutile carta e per sollecitarli a lavorare insieme per il bene del loro popolo. Il pellegrinaggio ecumenico che inizia oggi di Francesco, dell'arcivescovo di Canterbury Welby e del moderatore della Chiesa di Scozia Greenshields, giunti prima del Pontefice, vuole essere quindi testimonianza di pace e giustizia, in solidarietà con il popolo, affinché non si debbano più piangere i morti e distruzione.
Gli appuntamenti di oggi
Il Papa subito dopo l'arrivo e l'incontro con il presidente e i vicepresidenti, presso il palazzo presidenziale, incontrerà le autorità la società civile e il corpo diplomatico presso il giardino dello stesso palazzo, ai quali rivolgerà il suo primo discorso di questa tappa sud sudanese, subito dopo vi sarà il trasferimento alla nunziatura apostolica dove concluderà la giornata.
(fonte: Vatican News, articolo di Francesca Sabatinelli 03/02/2023)
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INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO
Giardino del Palazzo Presidenziale (Giuba)
Venerdì, 3 febbraio 2023
L’auspicio del Pontefice per il Paese “dono del Nilo”
Scorrano fiumi di pace sbocci la riconciliazione
La seconda tappa del viaggio apostolico in Africa inizia con un’immagine che rimarrà a lungo: l’arrivo di Papa Francesco all’aeroporto di Giuba, sotto un sole implacabile, insieme all’arcivescovo di Canterbury e al moderatore della Chiesa di Scozia, per un pellegrinaggio ecumenico di pace in Sud Sudan, volto a sbloccare la situazione di stallo del Paese.
Il motto della visita è emblematico: «Prego perché tutti siano una cosa sola» (Giovanni 17). È un viaggio di pace, ma anche un viaggio ecumenico. Per andare verso la pace e la concordia è necessario fare un passo avanti e camminare insieme, e dall’aeroporto della capitale prende forma una pagina importante; la narrazione condivisa tra cristiani, alle prese con le stesse domande, le stesse paure e preoccupazioni per i problemi che affliggono il mondo di oggi.
Dopo aver trascorso tre giorni nella Repubblica Democratica del Congo, Francesco è arrivato in Sud Sudan. Ai piedi dell’aereo è stato accolto dal presidente della Repubblica, Salva Kiir Mayardit, e da tre bambini che che gli hanno offerto un mazzo di fiori di tamarindo e una colomba.
Dopo la Guardia d’onore e l’esecuzione degli inni, il Papa e il capo dello Stato si sono diretti verso la “Vip Lounge” dell’aeroporto, dove ha avuto luogo la presentazione delle delegazioni e dove si sono trattenuti per un breve incontro.
Fuori la gente sorride, saluta; si respira un’aria molto tranquilla e rilassata in questa parte del Sud Sudan che oggi si sente lontana dal clima di guerra civile con cui ha convissuto per molti anni.
Giuba è una città in festa, con migliaia di persone lungo l’itinerario di cinque chilometri che separa lo scalo aereo dal palazzo presidenziale, dov’è diretto il Papa: sono venuti anche da lontano per dargli il benvenuto. Piccoli rami di alberi hanno sostituito gli striscioni e le bandiere di altre visite papali per salutare il corteo di automobili; e particolarmente festosi sono stati i canti delle donne che hanno accompagnato l’intero percorso, lungo quella che era fino a poco tempo fa l’unica strada asfaltata della capitale. Sopra le teste dei tanti bambini svettavano numerosi cartelloni con grandi foto che ritraevano l’incontro del 2019 in Vaticano: quello tra il Papa e le principali autorità politiche di questo giovane Paese.
Una volta a Giuba il vescovo di Roma ha compiuto la visita di cortesia al capo dello Stato, insieme con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields. All’ingresso della residenza i tre leader religiosi sono stati accolti dal presidente Salva Kiir Mayardit, che il Papa ha poi incontrato in privato nel suo studio, dopo aver firmato il libro d’onore. «Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità», ha scritto Francesco.
Il momento è stato suggellato dalla presentazione della famiglia del capo dello Stato e dallo scambio di doni: il Pontefice ha lasciato una formella della medaglia commemorativa del viaggio. Contemporaneamente, nell’adiacente “Board Room” erano riuniti i vice presidenti della Repubblica — Riek Machar Teny Dhurgo, James Wani Igga, Taban Deng Gai, Rebecca Nyandeng Garang De Mabior (vedova di John Garang, leader dell’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan ed ex vice presidente) e Hussein Abdelbagi — insieme ai cardinali Parolin, segretario di Stato, e Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, agli arcivescovi Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e van Megen, nunzio apostolico in Sud Sudan; all’arcivescovo di Canterbury e al moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Ad essi si sono poi uniti Papa Bergoglio e il presidente sud sudanese per un incontro, durante il quale il primo ha donato ai cinque vicepresidenti altrettante medaglie d’argento del viaggio.
Infine, con 40 minuti di ritardo rispetto alla tabella di marcia indicata dal protocollo, la delegazione ha raggiunto il giardino della residenza per il primo appuntamento pubblico nel Paese: quello con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, scandito dai discorsi del capo dello Stato, dell’arcivescovo Welby, del pastore Greenshields e dello stesso Francesco.
Nell’elegante giardino, allestito per l’occasione con sobrietà e curato nei minimi particolari, si sono ritrovati rappresentanti degli organismi internazionali operanti nella regione, i diplomatici accreditati a Giuba, insieme a diverse organizzazioni non governative e a una massiccia presenza della stampa internazionale oltre ai 70 giornalisti del seguito papale.
Il Sud Sudan è diventato indipendente solo di recente, nel 2011. La guerra civile del 2013 ha portato a un ingente esodo della popolazione e a una crisi umanitaria definita “catastrofica” da molti organismi di assistenza internazionale. Le ferite del Paese sono ancora aperte e c’è molta attesa per i frutti che la visita del Papa e il suo messaggio di pace e speranza porteranno.
Francesco ha iniziato il suo discorso intorno alle 18 e ha parlato in modo franco, diretto, immediato, interrogandosi su un camino di pace che ancora stenta a decollare, nonostante gli accordi e la promessa di libere elezioni che si sarebbero dovute tenere proprio in questo mese di febbraio e che invece sono state nuovamente rinviate. Quindi ha tracciato la strada per ripartire sul lungo e faticoso cammino della pace: «Abbiamo intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre», ha detto.
Molto applaudito è stato il passaggio in cui ha indicato l’unica parola mancante nella travagliata storia sud sudanese, un termine che indica una volontà concreta di cambiamento: basta! Per il Pontefice occorre dire basta «senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione!».
Il presidente sud sudanese da parte sua ha voluto subito mettere sul tavolo la carta più attesa, la più desiderata: «In onore della storica visita — ha assicurato — ci sarà la ripresa dei colloqui di pace», un primo risultato che è un seme su cui costruire.
Inoltre Radio Tamazuy — emittente indipendente il cui nome in arabo significa “mescolanza” essendo costituita da giornalisti di diverse etnie — ha reso noto che il capo dello Stato ha graziato 71 detenuti che stavano scontando condanne diverse. Con un decreto che è stato letto sulla South Sudan Broadcasting Corporation (Ssbc) di proprietà statale — riferisce la radio — Kiir ha concesso la grazia a 36 reclusi nel braccio della morte e a 35 condannati per reati minori, ordinando alle autorità carcerarie di eseguire l’ordine. Il capo dello Stato non ha fornito motivazioni per il gesto, ma nel dicembre scorso, la nunziatura apostolica in Sud Sudan gli aveva consegnato una lettera del Papa, rivolta a tutti i leader del mondo, in cui egli invocava clemenza per i detenuti.
Al termine, il Papa si è diretto alla sede della nunziatura apostolica distante circa due chilometri dal Palazzo presidenziale: nell’edificio collocato temporaneamente in uno stabile nella zona delle ambasciate il Pontefice pernotta durante il soggiorno in Sud Sudan.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Silvina Pérez 04/02/2023)
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Nel suo saluto al Papa il presidente della Repubblica sudsudanese definisce la visita una “pietra miliare storica” e ricorda il ritiro spirituale del 2019 in cui Francesco baciò i piedi ai leader del Paese per implorare la pace, quindi annuncia la disponibilità a riprendere i colloqui mediati dalla Comunità di Sant’Egidio con i gruppi di opposizione non firmatari
L’arcivescovo di Canterbury Justin Welby ricorda l’incontro in Vaticano del 2019 e non nasconde la delusione per i mancati progressi verso la pace. Il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia Greenshield chiede ai leader politici di mettere in pratica la propria fede al servizio dei più vulnerabili e emarginati
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DISCORSO DEL SANTO PADRE
Signor Presidente della Repubblica,
Signori Vice-Presidenti,
illustri Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose,
insigni Rappresentanti della società civile e del mondo della cultura,
Signore e Signori!
Grazie, Signor Presidente, per le sue parole. Sono lieto di essere in questa terra che porto nel cuore. La ringrazio, Signor Presidente, per l’accoglienza che mi ha rivolto. Saluto cordialmente ciascuno di voi e, attraverso di voi, tutte le donne e gli uomini che popolano questo giovane e caro Paese. Vengo come pellegrino di riconciliazione, con il sogno di accompagnarvi nel vostro cammino di pace, un cammino tortuoso ma non più rimandabile. Non sono giunto qui da solo, perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme. Eccomi dunque a voi con due fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, che ringrazio per quanto ci diranno. Insieme, tendendovi la mano, ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace.
Abbiamo infatti intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono. Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto. Fratelli e sorelle, è l’ora della pace!
Frutti e vegetazione qui abbondano, grazie al grande fiume che attraversa il Paese. Quanto l’antico storico Erodoto diceva dell’Egitto, ossia che è un “dono del Nilo”, vale anche per il Sud Sudan. Davvero, come qui si dice, questa è una “terra della grande abbondanza”. Vorrei dunque lasciarmi trasportare dall’immagine del grande fiume che attraversa questo Paese recente ma dalla storia antica. Nei secoli gli esploratori si sono inoltrati nel territorio in cui ci troviamo per risalire il Nilo Bianco alla ricerca delle sorgenti del fiume più lungo del mondo. Proprio dalla ricerca delle sorgenti del vivere comune vorrei incominciare il mio percorso con voi. Perché questa terra, che abbonda di tanti beni nel sottosuolo, ma soprattutto nei cuori e nelle menti dei suoi abitanti, oggi ha bisogno di essere nuovamente dissetata da sorgenti fresche e vitali.
Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: hanno bisogno di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica: è l’ora. Illustri Autorità, i vostri “figli” e la storia stessa vi ricorderanno se avrete fatto del bene a questa popolazione, che vi è stata affidata per servirla. Le generazioni future onoreranno o cancelleranno la memoria dei vostri nomi in base a quanto fate ora perché, come il fiume lascia le sorgenti per avviare il suo corso, così il corso della storia lascerà indietro i nemici della pace e darà lustro a chi opera per la pace: infatti, come insegna la Scrittura, “l’uomo di pace avrà una discendenza” (cfr Sal 37,37).
La violenza, invece, fa regredire il corso della storia. Lo stesso Erodoto ne rilevava gli sconvolgimenti generazionali, notando come in guerra non sono più i figli a seppellire i padri, ma i padri a seppellire i figli (cfr Storie, I,87). Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51). Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace! E su questo, Signor Presidente, mi viene al cuore quel colloquio notturno che anni fa abbiamo avuto in Uganda: la sua volontà di pace era lì... Andiamo avanti su questo!
Torniamo alle sorgenti del fiume, all’acqua che simboleggia la vita. Alle fonti di questo Paese c’è un’altra parola, che designa il corso intrapreso dal popolo sud sudanese il 9 luglio 2011: Repubblica. Ma che cosa vuol dire essere una res publica? Significa riconoscersi come realtà pubblica, affermare, cioè, che lo Stato è di tutti; e dunque che chi, al suo interno, ricopre responsabilità maggiori, presiedendolo o governandolo, non può che porsi al servizio del bene comune. Ecco lo scopo del potere: servire la comunità. La tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi. Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze.
Fondamentale, per la vita di una Repubblica, è lo sviluppo democratico. Esso tutela la benefica distinzione dei poteri, così che, ad esempio, chi amministra la giustizia possa esercitarla senza condizionamenti da parte di chi legifera o governa. La democrazia presuppone, inoltre, il rispetto dei diritti umani, custoditi dalla legge e dalla sua applicazione, e in particolare la libertà di esprimere le proprie idee. Occorre infatti ricordare che senza giustizia non c’è pace (cfr S. Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della XXXV Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2002), ma anche che senza libertà non c’è giustizia. Va perciò data a ogni cittadina e cittadino la possibilità di disporre del dono unico e irripetibile dell’esistenza con i mezzi adeguati a realizzarlo: come scriveva Papa Giovanni, «ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita» (S. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 6).
Il fiume Nilo, lasciate le sorgenti, dopo aver attraversato alcune zone scoscese che creano cascate e rapide, una volta entrato nella pianura sud sudanese, proprio nei pressi di Giuba diventa navigabile, per poi addentrarsi in zone più paludose. Analogamente, auspico che il tragitto di pace della Repubblica non proceda ad alti e bassi, ma, a partire da questa capitale, diventi percorribile, senza rimanere impaludato nell’inerzia. Amici, è tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map! In un mondo segnato da divisioni e conflitti, questo Paese ospita un pellegrinaggio ecumenico di pace, che costituisce una rarità; rappresenti un cambio di passo, l’occasione, per il Sud Sudan, di ricominciare a navigare in acque tranquille, riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi. Sia per tutti un’occasione per rilanciare la speranza, non solo per il governo, per tutti: ciascun cittadino possa comprendere che non è più tempo di lasciarsi trasportare dalle acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche. Fratelli e sorelle, è tempo di navigare insieme verso il futuro! Insieme. Questa parola non va dimenticata: insieme.
Il percorso del grande fiume ci aiuta ancora, suggerendoci la modalità. Nel suo prosieguo, presso il lago No si unisce a un altro fiume, dando vita a quello che viene chiamato Nilo Bianco. La limpida chiarezza delle acque scaturisce dunque dall’incontro. Questa è la via, fratelli e sorelle: rispettarsi, conoscersi, dialogare. Perché, se dietro ogni violenza ci sono rabbia e rancore, e dietro a ogni rabbia e rancore c’è la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti, la direzione per uscire da ciò è solo quella dell’incontro, la cultura dell’incontro: accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro. Questo atteggiamento, essenziale per i processi di pace, è indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società. E per passare dall’inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro è decisivo il ruolo che possono e vogliono svolgere i giovani. Siano perciò assicurati loro spazi liberi di incontro per ritrovarsi e dibattere; e possano prendere in mano, senza paura, il futuro che a loro appartiene! Vengano coinvolte maggiormente, anche nei processi politici e decisionali, pure le donne, le madri che sanno come si genera e si custodisce la vita. Nei loro riguardi ci sia rispetto, perché chi commette violenza contro una donna la commette contro Dio, che da una donna ha preso la carne.
Cristo, il Verbo incarnato, ci ha insegnato che più ci si fa piccoli, dando spazio agli altri e accogliendo ogni prossimo come fratello, più si diventa grandi agli occhi del Signore. La giovane storia di questo Paese, dilaniato da scontri etnici, ha necessità di ritrovare la mistica dell’incontro, la grazia dell’insieme. C’è bisogno di guardare al di là dei gruppi e delle differenze per camminare come un unico popolo, nel quale, come accade al Nilo, i vari affluenti apportano ricchezze. Fu proprio attraverso il fiume che i primi missionari, più di un secolo fa, approdarono a questi lidi; alla loro presenza si è aggiunta nel tempo quella di tanti operatori umanitari: tutti vorrei ringraziare per la preziosa opera che svolgono. Penso però anche ai missionari che purtroppo trovano la morte mentre seminano la vita. Non dimentichiamoli e non ci si dimentichi di garantire a loro e agli operatori umanitari la necessaria sicurezza, e alle loro opere di bene i necessari sostegni, affinché il fiume del bene continui a scorrere.
Un grande fiume, tuttavia, può a volte esondare e provocare disastri. In questa terra lo hanno purtroppo sperimentato le tante vittime di inondazioni, alle quali esprimo la mia vicinanza, appellandomi perché non siano fatti loro mancare opportuni aiuti. Le calamità naturali raccontano un creato ferito e sconquassato, che da fonte di vita può tramutarsi in minaccia di morte. Occorre prendersene cura, con uno sguardo lungimirante, rivolto alle generazioni future. Penso, in particolare, alla necessità di combattere la deforestazione causata dall’avidità del guadagno.
Per prevenire le esondazioni di un fiume è necessario mantenerne pulito il letto. Fuor di metafora, la pulizia di cui il corso della vita sociale abbisogna è la lotta alla corruzione. Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza. L’urgenza di un Paese civile è prendersi cura dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili e disagiati. Penso soprattutto ai milioni di sfollati che qui dimorano: quanti hanno dovuto lasciare casa e si trovano relegati ai margini della vita in seguito a scontri e spostamenti forzati!
Affinché le acque di vita non si tramutino in pericoli di morte è fondamentale dotare un fiume di argini adeguati. Vale lo stesso per la convivenza umana. Anzitutto va arginato l’arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte. Altri argini sono imprescindibili per garantire il corso della vita sociale: mi riferisco allo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, al bisogno di infrastrutture vitali e, in modo speciale, al ruolo primario dell’alfabetismo e dell’istruzione, unica via perché i figli di questa terra prendano in mano il loro futuro. Essi, come tutti i bambini di questo Continente e del mondo, hanno il diritto di crescere tenendo in mano quaderni e giocattoli, non strumenti di lavoro e armi.
Il Nilo Bianco, infine, lascia il Sud Sudan, attraversa altri Stati, s’incontra con il Nilo Azzurro e giunge al mare: il fiume non conosce confini, ma congiunge territori. Similmente, per raggiungere uno sviluppo adeguato è essenziale, oggi più che mai, coltivare relazioni positive con altri Paesi, a cominciare da quelli circostanti. Penso anche al prezioso contributo della Comunità internazionale nei riguardi di questo Paese: esprimo riconoscenza per l’impegno volto a favorirne la riconciliazione e lo sviluppo. Sono convinto che, per apportare proficui contributi, sia indispensabile la reale comprensione delle dinamiche e dei problemi sociali. Non basta osservarli e denunciarli dall’esterno; occorre coinvolgersi, con pazienza e determinazione e, più in generale, resistere alla tentazione di imporre modelli prestabiliti ma estranei alla realtà locale. Come disse San Giovanni Paolo II trent’anni fa in Sudan: «Devono essere trovate delle soluzioni africane ai problemi africani» (Appello alla Cerimonia di benvenuto, 10 febbraio 1993).
Signor Presidente, distinte Autorità, seguendo il percorso del Nilo ho voluto inoltrarmi nel cammino di questo Paese tanto giovane quanto caro. So che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette, ma vi prego di credere che ciò nasce dall’affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace. Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà. Il Signore del cielo, che ama questa terra, le doni un tempo nuovo di pace e di prosperità: Dio benedica la Repubblica del Sudan del Sud! Grazie.
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Dialogo, riconciliazione, responsabilità: le parole del Papa per la pace in Sud Sudan
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Vedi anche il post (all'interno i link a quelli precedenti):