Giovani generazioni al Forum di Davos
Dal 16 al 20 gennaio si è svolto il Forum Economico Mondiale (WEF) 2023 a Davos, in Svizzera, dal titolo Cooperation in a fragmented world. Il summit voleva essere un’occasione importante per affrontare le crisi drammatiche del mondo d’oggi, nell’ottica della cooperazione. Questo perché le grandi sfide che ci coinvolgono – l’uso delle fonti energetiche, i cambiamenti climatici, le pandemie, lo squilibrio tra Nord e Sud del mondo, le migrazioni, le violenze delle dittature, le guerre – non possono essere affrontate da singoli paesi, ma da una comunità internazionale di nazioni che collaborano tra loro.
Siamo ad un punto di svolta e occorrono scelte coraggiose e rapide per affrontare la realtà critica e complessa in cui ci troviamo, prima di arrivare ad un punto di non ritorno. Già se ne era parlato nel Forum del 2022 e il titolo emblematico, History at a turning point, lo annunciava. Purtroppo, nell’ultimo anno non solo non si sono registrati miglioramenti, ma il concetto stesso di cooperazione è andato ancor più in crisi, anche a seguito della devastante guerra in Ucraina. Tant’è che oggi si parla di ‘policrisi’, cioè di una molteplicità di crisi che sembrano intersecarsi ed alimentarsi l’una con l’altra, come sostenuto dallo storico dell’economia Adam Tooze (è suo l’articolo Welcome to the world of the polycrisis, pubblicato da Financial Times il 28 ottobre 2022).
Particolarmente significativo nel Forum 2023 è risultato l’intervento del segretario dell’ONU António Guterres che, per indicare la situazione odierna, ha usato espressioni quali «uragano di categoria 5» o «tempesta perfetta», accusando le imprese energetiche di aver tenuto nascoste le loro gravi responsabilità sui cambiamenti climatici. Gli stati devono investire molto di più per affrontare adeguatamente la crisi energia-clima.
Molte altre voci istituzionali hanno focalizzato l’attenzione su temi più strettamente economici. In particolare, la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, dopo aver assicurato all’Ucraina gli aiuti militari necessari, ha annunciato il lancio del piano industriale per il Green Deal europeo, con l’obiettivo di assegnare alla UE una posizione di avanguardia nelle tecnologie pulite, con l’impegno di azzerare le emissioni climalteranti. La presidente della BCE Christine Lagarde ha prospettato un 2023 migliore del previsto: ci sarà solo una piccola contrazione nell’eurozona e non la recessione che si temeva. Secondo Lagarde il mercato del lavoro è vivace, mentre il tasso d’inflazione è ancora troppo elevato e la BCE lotterà per riportarlo al 2%.
La voce dei giovani
Il 19 gennaio è stata la volta della voce dei giovani: le quattro attiviste di Fridays For Future Greta Thunberg (Svezia), Vanessa Nakate (Uganda), Helena Gualinga (Ecuador) e Luisa Neubauer (Germania) – insieme a vari sostenitori – hanno animato il summit accusando i top-manager dell’energia di aver ingannato i politici e la gente sugli effetti catastrofici dell’uso dei combustibili fossili sull’ambiente e sui conseguenti cambiamenti climatici. Greta era reduce da una manifestazione pacifica di solidarietà verso i giovani occupanti di Lutzerath, in Germania, che protestavano contro l’espansione della locale miniera di carbone.
A Davos le giovani generazioni hanno avanzato la richiesta di fermare la costruzione di nuovi impianti per estrazioni di carbone, petrolio o gas tramite una petizione che è già stata firmata da circa un milione di persone e che è rintracciabile in rete qui.
La richiesta è stata simbolicamente consegnata ad alcuni amministratori delegati (CEO) di multinazionali di fonti fossili che si trovavano al Forum.
Come Greta ha fatto presente, chi doveva prendere più a cuore la questione climatica erano proprio «le persone che più stanno alimentando la distruzione del Pianeta». Da qui l’invito a non prenderle in considerazione: «Sembra che stiamo ascoltando loro piuttosto che le persone che sono effettivamente colpite dalla crisi climatica, le persone che vivono in prima linea, e questo ci dice quanto sia assurda la situazione». «Le persone che stanno investendo in combustibili fossili – ha aggiunto Greta – in qualche modo sono le stesse su cui sembriamo fare affidamento per risolvere i nostri problemi. Hanno però dimostrato più e più volte che non stanno dando la priorità a questo, ma all’avidità personale, all’avidità aziendale e ai profitti economici a breve termine».
Dalle giovani di FFF è arrivato l’invito a prestare la massima attenzione alle ricerche e ai dati forniti dal mondo scientifico che da molto tempo invita ad abbandonare l’uso delle fonti fossili e ad accelerare lo sviluppo e la diffusione delle rinnovabili.
Le attiviste hanno potuto incontrare il direttore esecutivo della IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia) Fatih Birol che ha convenuto sulla inopportunità di investire in nuovi giacimenti di petrolio. Tuttavia, secondo Birol, occorre mantenere un mix energetico ampio per potere far fronte alla crescente richiesta mondiale, anche per sopperire ai deficit causati dalla guerra in Ucraina. Lo stesso ha comunque confermato che la transizione energetica verso le rinnovabili procede ancora a rilento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
La questione del divario tra Nord e Sud del mondo è stato ripreso da Vanessa Nakate che, riferendosi in particolare all’Africa, ha fatto presente come i fondi di risarcimento loss and damage siano del tutto insufficienti per i Paesi più colpiti dalle catastrofi climatiche, nonostante gli impegni sottoscritti nella recente COP 27 di Sharm el-Sheikh. «L’urgenza della crisi è evidente; le persone stanno morendo e i nostri leader non vedono i cambiamenti che stanno avvenendo. Io sono frustrata e sono ferita da ciò che sta accadendo e dalla inazione».
Le parole di Greta, Vanessa e degli altri attivisti di FFF possono essere prese poco sul serio se non con ostilità o con dileggio, come si vede da certi interventi sui social network. Ma quello che loro lamentano è profondamente reale. Anche in questi ultimi anni i danni climatici sono cresciuti in intensità e numerosità. E il consumo mondiale di energia da fonti fossili continua a crescere: in percentuale ricopre oltre l’80% del fabbisogno. Le rinnovabili (fotovoltaico, eolico e idroelettrico), pur in crescita in termini assoluti, forniscono a malapena un 15% del totale.
Consumi energetici nel mondo, divisi per fonti, dal 2000 al 2021 (BP report 2022).
Troppo poco per poter parlare di transizione energetica. Troppo poco per poter centrare gli obiettivi dell’ONU in Agenda 2030. Troppo poco per puntare alla decarbonizzazione totale entro il 2050. Sono ancora molto forti le resistenze a passare ad un mondo sostenibile, a emissioni zero (o quasi), da parte delle grandi aziende del settore energetico e da parte di gran parte del capitale ancora saldamente ancorato ad un modello economico tipo lineare, estrattivo.
Una ragione di speranza è riposta proprio nelle nuove generazioni che, grazie anche alle iniziative di Greta e di FFF, si stanno mobilitando da alcuni anni per cambiare la mentalità di chi detiene le chiavi del potere. Nella giusta convinzione che il modo di domani è il loro.
(fonte: Settimana News, articolo di Luigi Togliani 1 febbraio 2023)