VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)
31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023
Sabato, 4 febbraio 2023
GIUBA
9:00 Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati, le Consacrate e i Seminaristi presso la Cattedrale di Santa Teresa
11:00 Incontro privato con i Membri della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura Apostolica
16:30 Incontro con gli sfollati interni nella “Freedom Hall”
18:00 Preghiera Ecumenica presso il Mausoleo "John Garang"
***************************
INCONTRO CON GLI SFOLLATI INTERNI
“Freedom Hall” (Giuba)
Papa Francesco nella Freedom Hall con gli sfollati dei campi sudsudanesi
Il Papa agli sfollati del Sud Sudan:
siete il seme di rinascita della vostra terra
A Giuba, nella Freedom Hall, Francesco, in compagnia del primate anglicano Welby e del moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia Greenshields, incontra una rappresentanza degli abitanti dei vari campi: e lancia un appello al mondo: chiedo con il cuore in mano: soccorriamo questo Paese, non lasciamo sola la sua popolazione che tanto ha sofferto e soffre
Sono con voi, soffro per voi e con voi. Francesco è tra gli sfollati del Sud Sudan che lo accolgono nella Freedom Hall, vengono dal campo nei pressi della capitale e da quelli di altre parti del Paese, per l’occasione hanno indossato i loro ornamenti migliori, hanno provato per giorni e giorni balli e canti. Il Papa li abbraccia con parole che esprimono il desiderio condiviso di incontrarsi e che oggi si concretizza, dopo tanta attesa. Li guarda negli occhi, stringe le loro mani, alle grandi vittime di questo Paese devastato da violenza e odio, accanto a lui l’arcivescovo di Canterbury Welby e il moderatore della Chiesa di Scozia Greenshields, i “fratelli” che lo accompagnano in “questo pellegrinaggio di pace”. Poi il suo grido:
A tutti chiedo con il cuore in mano: soccorriamo il Sud Sudan, non lasciamo sola la sua popolazione, che tanto ha sofferto e soffre!
La Freedom Hall è gremita, si calcola che vi siano circa 2.500 persone al seguire l’incontro, occhi che non si staccano dal Papa. Non capiscono l’italiano, ma sanno che sta parlando a loro e per loro, che il Papa è la loro voce. Francesco guarda le potenti immagini di un video che racconta i campi sfollati, e poi rilancia il suo appello, già riposto ieri nelle mani dei governanti, “a far cessare ogni conflitto, a riprendere seriamente il processo di pace, perché abbiano fine le violenze e la gente possa tornare a vivere in modo degno”:
È proprio a motivo delle devastazioni prodotte dalla violenza umana, oltre che per quelle causate dalle inondazioni, che milioni di nostri fratelli e sorelle come voi, tra cui tantissime mamme con i bambini, hanno dovuto lasciare le loro terre e abbandonare i loro villaggi, le loro case. Purtroppo in questo martoriato Paese essere sfollato o rifugiato è diventata un’esperienza consueta e collettiva.
Il Papa nella Freedom Hall di Giuba all'incontro con gli sfollati interni del Sud Sudan
Solo pace, stabilità e giustizia, potranno garantire a queste persone “sviluppo e reintegrazione”, ma non si può perdere tempo, non si può più aspettare, dice, parole che fanno esplodere i presenti in un applauso.
Un numero enorme di bambini nati in questi anni ha conosciuto soltanto la realtà dei campi per sfollati, dimenticando l’aria di casa, perdendo il legame con la propria terra di origine, con le radici, con le tradizioni
il futuro non può essere nei campi per sfollati, perché i ragazzi, è la risposta del Papa a Joseph, che si fa interprete delle sofferenze dei più giovani, devono andare a scuola e devono giocare a calcio. La società sud sudanese dovrà crescere aperta, diventare un unico popolo, parlare in tutte le lingue che si parlano nel Paese, imparare ad accogliere chi è diverso, ritrovare una fraternità riconciliata e costruire l proprio avvenire assieme a quello dell’intera comunità:
E c’è assoluto bisogno di evitare la marginalizzazione dei gruppi e la ghettizzazione degli esseri umani. Ma per tutti questi bisogni c’è bisogno di pace. E c'è bisogno dell’aiuto di tanti, dell'aiuto di tutti.
Donne sudsudanesi ascoltamo il Papa nella Freedom Hall di Juba
In Sud Sudan perdura “la più grande crisi di rifugiati” dell’Africa, Francesco elenca i drammi che devastano il Paese: 4 milioni di sfollati, due terzi della popolazione colpita da insicurezza alimentare e malnutrizione, la previsione di una tragedia umanitaria che rischia di peggiorare. Poi rivolge il suo grazie a Sara Beysolow Nyanti, vice rappresentante speciale per la missione Onu in Sud Sudan, e ne riprende le parole.
Le madri, le donne sono la chiave per trasformare il Paese: se riceveranno le giuste opportunità, attraverso la loro laboriosità e la loro attitudine a custodire la vita, avranno la capacità di cambiare il volto del Sud Sudan, di dargli uno sviluppo sereno e coeso!
Le donne, tutte, dalle bambine alle nonne, vanno protette e rispettate, valorizzate e onorate, altrimenti non ci sarà futuro. Il pellegrinaggio ecumenico in Sud Sudan vuole dare “ali” alla speranza, perché anche dalla terra spoglia di un campo sfollati può nascere un “seme nuovo che porterà frutto”:
Vorrei dirvi: siete voi il seme di un nuovo Sud Sudan, il seme per una crescita fertile e rigogliosa del Paese. Siete voi, di tutte le diverse etnie, voi che avete patito e state soffrendo, ma che non volete rispondere al male con altro male. Voi, che fin d’ora scegliete la fraternità e il perdono, state coltivando un domani migliore.
Le vittime della violenza fratricida e devastante potranno essere i semi di speranza, alberi che assorbono l’inquinamento della violenza per restituire l’ossigeno della fraternità, nonostante l’oggi li veda “piantati” nel disagio e nella precarietà, che però non impedirà di “sperimentare” di essere “radicati nella stessa umanità”.
Francesco sollecita tutti ad una nuova “narrativa dell’incontro”, affinché si abbandoni quella caratterizzata dalla violenza, e ad intraprenderne un’altra, di pace, le cui prime pagine possano essere i giovani di etnie diverse:
Se i conflitti, le violenze e gli odi hanno strappato via dai buoni ricordi le prime pagine di vita di questa Repubblica, siate voi a riscriverne la storia di pace! Io vi ringrazio per la vostra forza d’animo e per tutti i vostri gesti di bene, che sono tanto graditi a Dio e rendono prezioso ogni giorno che vivete.
Francesco ringrazia chiunque si adoperi per questo Paese, dalle comunità ecclesiali, ai missionari, alle organizzazioni umanitarie e internazionali, in particolare alle Nazioni Unite, perché il Sud Sudan nonostante il suo “territorio tanto ricco di risorse”, va aiutato esternamente. Ricorda gli operatori umanitari che vi hanno perso la vita, spiega che la popolazione va accompagnata “sulla via dello sviluppo”, sostenendola nella sua crescita autonoma, con un appoggio, ad esempio, nell’agricoltura e nell’allevamento. L’ultimo pensiero del Papa, va a tutti quei rifugiati che hanno dovuto lasciare il Paese, a chi non può rientrare, il cui territorio è stato occupato, l’augurio è che “possano tornare a essere protagonisti del futuro della loro terra, contribuendo al suo sviluppo in modo costruttivo e pacifico”, e poi la benedizione speciale a tutti i bambini del Sud Sudan, chiesta da Nyakuor Rebecca, piccola sfollata del campo di Giuba:
Noi tre come fratelli daremo la benedizione: con mio fratello Justin e il mio fratello Iain, insieme vi daremo la benedizione. Con essa, vi raggiunga la benedizione di tanti fratelli e sorelle cristiani nel mondo, che vi abbracciano e vi incoraggiano, sapendo che in voi, nella vostra fede, nella vostra forza interiore, nei vostri sogni di pace risplende tutta la bellezza dell’essere umano.
(fonte: Vatican News, articolo di Francesca Sabatinelli 04/02/2023)
***************************
Nella Freedom Hall di Giuba si è vissuto uno dei momenti centrali della tappa sudsudanese del viaggio apostolico: Francesco ha ascoltato tre giovanissimi e, in un video, le parole di una coordinatrice Onu nel Paese
***************************
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!
Vi ringrazio per le preghiere, per le testimonianze e per il vostro canto! Ho pensato a voi a lungo, portando nel cuore il desiderio di incontrarvi, di guardarvi negli occhi, di stringervi le mani e di abbracciarvi: finalmente sono qui, insieme ai fratelli con cui condivido questo pellegrinaggio di pace, per dirvi tutta la mia vicinanza, tutto il mio affetto. Sono con voi, soffro per voi e con voi.
Joseph, hai posto una domanda decisiva: «Perché stiamo a soffrire nel campo per sfollati?». Perché… Perché tanti bambini e giovani come te stanno lì, anziché a scuola a studiare o in un bel posto all’aperto a giocare? Tu stesso ci hai dato la risposta, dicendo che è «a causa dei conflitti in corso nel Paese». È proprio a motivo delle devastazioni prodotte dalla violenza umana, oltre che per quelle causate dalle inondazioni, che milioni di nostri fratelli e sorelle come voi, tra cui tantissime mamme con i bambini, hanno dovuto lasciare le loro terre e abbandonare i loro villaggi, le loro case. Purtroppo in questo martoriato Paese essere sfollato o rifugiato è diventata un’esperienza consueta e collettiva.
Rinnovo perciò con tutte le forze il più accorato appello a far cessare ogni conflitto, a riprendere seriamente il processo di pace perché abbiano fine le violenze e la gente possa tornare a vivere in modo degno. Solo con la pace, la stabilità e la giustizia potranno esserci sviluppo e reintegrazione sociale. Ma non si può più attendere! Un numero enorme di bambini nati in questi anni ha conosciuto soltanto la realtà dei campi per sfollati, dimenticando l’aria di casa, perdendo il legame con la propria terra di origine, con le radici, con le tradizioni.
Il futuro non può essere nei campi per sfollati. C’è bisogno, proprio come chiedevi tu, Johnson, che tutti i ragazzi come te abbiano la possibilità di andare a scuola e pure lo spazio per giocare a calcio! C’è bisogno di crescere come società aperta, mischiandosi, formando un unico popolo attraverso le sfide dell’integrazione, anche imparando le lingue parlate in tutto il Paese e non solo nella propria etnia. C’è bisogno di abbracciare il rischio stupendo di conoscere e accogliere chi è diverso, per ritrovare la bellezza di una fraternità riconciliata e sperimentare l’avventura impagabile di costruire liberamente il proprio avvenire insieme a quello dell’intera comunità. E c’è assoluto bisogno di evitare la marginalizzazione dei gruppi e la ghettizzazione degli esseri umani. Ma per tutti questi bisogni c’è bisogno di pace. E c’è bisogno dell’aiuto di tanti, dell’aiuto di tutti.
Perciò vorrei ringraziare la Vice Rappresentante speciale Sara Beysolow Nyanti per averci detto che oggi è l’occasione per tutti di vedere quello che da anni sta accadendo in questo Paese. Qui infatti perdura la più grande crisi di rifugiati del Continente, con almeno quattro milioni di figli di questa terra sfollati, con l’insicurezza alimentare e la malnutrizione che colpiscono i due terzi della popolazione e con le previsioni che parlano di una tragedia umanitaria che può peggiorare ulteriormente nel corso dell’anno. Ma vorrei ringraziarla soprattutto perché lei e molti altri non sono rimasti fermi a studiare la situazione, ma si sono dati da fare. Lei, Signora, ha percorso il Paese, ha guardato negli occhi le madri assistendo al dolore che provano per la situazione dei figli; mi ha colpito quando ha affermato che, nonostante tutto quello che soffrono, non si sono mai spenti sui loro volti il sorriso e la speranza.
E condivido quanto ha detto su di loro: le madri, le donne sono la chiave per trasformare il Paese: se riceveranno le giuste opportunità, attraverso la loro laboriosità e la loro attitudine a custodire la vita, avranno la capacità di cambiare il volto del Sud Sudan, di dargli uno sviluppo sereno e coeso! Ma, vi prego, prego tutti gli abitanti di queste terre: la donna sia protetta, rispettata, valorizzata e onorata. Per favore: proteggere, rispettare, valorizzare e onorare ogni donna, bambina, ragazza, giovane, adulta, madre, nonna. Senza questo non ci sarà futuro.
E ora, fratelli e sorelle, guardo ancora a voi, ai vostri occhi stanchi ma luminosi che non hanno smarrito la speranza, alle vostre labbra che non hanno perso la forza di pregare e di cantare; guardo a voi che avete le mani vuote ma il cuore pieno di fede, a voi che portate dentro un passato segnato dal dolore ma non smettete di sognare un avvenire migliore. Noi oggi, incontrandovi, vorremmo dare ali alla vostra speranza. Ci crediamo, crediamo che ora, anche nei campi per sfollati, dove la situazione del Paese vi costringe purtroppo a stare, può nascere, come dalla terra spoglia, un seme nuovo che porterà frutto.
Vorrei dirvi: siete voi il seme di un nuovo Sud Sudan, il seme per una crescita fertile e rigogliosa del Paese. Siete voi, di tutte le diverse etnie, voi che avete patito e state soffrendo, ma che non volete rispondere al male con altro male. Voi, che fin d’ora scegliete la fraternità e il perdono, state coltivando un domani migliore. Un domani che nasce oggi, lì dove siete, dalla capacità di collaborare, di tessere trame di comunione e percorsi di riconciliazione con chi, diverso da voi per etnia e provenienza, vi vive accanto. Fratelli e sorelle, siate semi di speranza, nei quali già s’intravede l’albero che un giorno, speriamo vicino, porterà frutto. Sì, sarete voi gli alberi che assorbiranno l’inquinamento di anni di violenze e restituiranno l’ossigeno della fraternità. È vero, ora siete “piantati” dove non volete, ma proprio in questa situazione di disagio e precarietà potete tendere la mano a chi vi è accanto e sperimentare che siete radicati nella stessa umanità: da qui bisogna ripartire per riscoprirsi fratelli e sorelle, figli in terra del Dio del cielo, Padre di tutti.
Carissimi, a ricordarci che una pianta nasce da un seme sono le radici. È bello che qui la gente tenga molto alle radici. Ho letto che in queste terre «le radici non vanno mai dimenticate», perché «gli antenati ci ricordano chi siamo e quale dev’essere la nostra strada... Senza di loro siamo perduti, impauriti e senza bussola. Non c’è futuro, senza passato» (C. Carlassare, La capanna di Padre Carlo. Comboniano tra i Nuer, 2020, 65). In Sud Sudan i giovani crescono facendo tesoro dei racconti degli anziani e, se la narrativa di questi anni è stata caratterizzata dalla violenza, è possibile, anzi, è necessario inaugurarne, a partire da voi, una nuova: una nuova narrativa dell’incontro, dove quanto si è patito non sia dimenticato, ma venga abitato dalla luce della fraternità; una narrativa che metta al centro non solo la tragicità della cronaca, ma il desiderio ardente della pace. Siate voi, giovani di etnie diverse, le prime pagine di questa narrativa! Se i conflitti, le violenze e gli odi hanno strappato via dai buoni ricordi le prime pagine di vita di questa Repubblica, siate voi a riscriverne la storia di pace! Io vi ringrazio per la vostra forza d’animo e per tutti i vostri gesti di bene, che sono tanto graditi a Dio e rendono prezioso ogni giorno che vivete.
Vorrei rivolgere una parola grata anche a quanti vi aiutano, spesso in condizioni non solo difficili, ma emergenziali. Grazie alle comunità ecclesiali per le loro opere, che meritano di essere sostenute; grazie ai missionari, alle organizzazioni umanitarie e internazionali, in particolare alle Nazioni Unite per il grande lavoro che svolgono. Certo, un Paese non può sopravvivere di sostegni esterni, per lo più avendo un territorio tanto ricco di risorse! Ma ora sono estremamente necessari. Vorrei anche onorare i tanti operatori umanitari che hanno perso la vita, ed esortare al rispetto per chi aiuta e per le strutture di sostegno alla popolazione, che non possono diventare obiettivi di assalti e vandalismi. Accanto ai soccorsi urgenti, credo sia molto importante, in prospettiva futura, accompagnare la popolazione sulla via dello sviluppo, ad esempio aiutandola ad apprendere tecniche aggiornate per l’agricoltura e l’allevamento, così da facilitare una crescita più autonoma. A tutti chiedo con il cuore in mano: soccorriamo il Sud Sudan, non lasciamo sola la sua popolazione, che tanto ha sofferto e soffre!
In conclusione, desidero rivolgere un pensiero ai tanti rifugiati sud sudanesi che stanno fuori dal Paese e a quanti non possono rientrare perché il loro territorio è stato occupato. Sono loro vicino e auspico che possano tornare a essere protagonisti del futuro della loro terra, contribuendo al suo sviluppo in modo costruttivo e pacifico. Nyakuor Rebecca, mi hai chiesto una benedizione speciale per i bambini del Sud Sudan, proprio perché possiate crescere tutti insieme nella pace. Noi tre come fratelli daremo la benedizione: con mio fratello Justin e mio fratello Iain, insieme vi daremo la benedizione. Con essa, vi raggiunga la benedizione di tanti fratelli e sorelle cristiani nel mondo, che vi abbracciano e vi incoraggiano, sapendo che in voi, nella vostra fede, nella vostra forza interiore, nei vostri sogni di pace risplende tutta la bellezza dell’essere umano.
Guarda il video
***************************
Massimiliano Menichetti racconta l'incontro del Papa con gli sfollati interni del Sud Sudan
***************************
Guarda il video integrale
***************************
Vedi anche il post (all'interno i link a quelli precedenti):