DAVID MARIA TUROLDO.
ALLA RICERCA DEL VOLTO
DELL’UOMO E DI DIO
di Adriana Masotti
Una figura piuttosto imponente, inginocchiata davanti alla statua della Vergine Addolorata: così ricordo padre David Maria Turoldo, di passaggio una sera, nel Santuario della Madonna delle Grazie di Udine. Noto per la predicazione, le prese di posizione a favore dei poveri e della pace e per i testi poetici, è stato e rimane una voce rilevante in ambito ecclesiale e culturale, un testimone della passione per Dio e per l’umanità. L’anno 2022, celebrando i trent’anni dalla morte, ha contribuito ad aprire percorsi di approfondimento della figura del sacerdote nato a Coderno, in Friuli, il 22 novembre 1916 in una famiglia contadina poverissima. Oggi riposa sotto una croce di legno nel piccolo cimitero del Priorato di Sant’Egidio di Fontanella nel bergamasco.
«Sono un pellegrino, un vagabondo», diceva di se stesso, e lo fu davvero in Europa, Stati Uniti, Canada, Messico, Sud Africa, allontanato in alcuni casi dalle autorità ecclesiastiche timorose delle sue critiche a una Chiesa che amava con passione e che, in tempi preconciliari, immaginava rinnovata, sempre vicinissima ai più bisognosi. Profeta, disturbatore delle coscienze, padre Turoldo è una «voce baritonale da cattedrale e da deserto», secondo l’espressione dell’amico cardinale Gianfranco Ravasi. Le sue esequie, celebrate dal cardinale Carlo Maria Martini a Milano, sono state un atto di riconoscimento di una voce per anni ignorata.
La storica Mariangela Maraviglia, autrice della biografia David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992) (Morcelliana, 2016), incontrandoci, sottolinea subito che la cifra fondamentale di Turoldo è stata la sua partecipazione costante alle cose del mondo. «Una partecipazione che trovava le sue radici nella miseria sofferta nel Friuli della sua infanzia: proprio in quell’esperienza avrebbe trovato le motivazioni profonde per la lotta contro l’ingiustizia combattuta per tutta la vita». Una partecipazione che si accompagna alla scoperta della Bibbia che era per lui «il grande codice culturale di valore universale per liberare l’umanità da tutti i suoi limiti».
Di padre Turoldo si è detto che è stato allo stesso modo alla ricerca del volto dell’uomo e del volto di Dio. Un «innamorato del terrestre alla ricerca costante, spesso affannosa e sofferta, del volto di Dio». Maravaglia cita Gabriel del Sarto per sottolineare che la poesia di padre David è il tentativo «di amare e tenere insieme: la polvere della terra, le infinite galassie, il nome di Dio». Questo amore richiama in causa quella bontà del creato che Turoldo apprendeva dalla Bibbia, un creato benedetto dall’incarnazione di Cristo. Secondo Maravaglia ha significato «fedeltà alla storia e all’umanità del suo tempo e anche impegno per il ristabilimento di un “giusto rapporto” tra l’umanità e le cose».
In lui una fede forte, ma anche il dubbio. A questo proposito la storica suggerisce che «la sua grande domanda di Dio nascondesse un vero interrogativo, un vero dubitare di fronte al silenzio di Dio, ma che il dubitare di Turoldo fosse sempre nella forma del dialogo, una sorta di corpo a corpo combattuto come Giacobbe con l’angelo nell’intento di strappare Dio al suo mistero». Un dubitare che si risolve alla fine nel volto di Cristo che, nel condividere lacrime, paure, vulnerabilità di noi umani, colma la distanza e appare, come scrive Turoldo «la sola risposta all’infinito silenzio». Un’altra citazione: Carlo Bo ha affermato che «Turoldo nascendo ha avuto due doni da Dio: il dono della fede e il dono della poesia». È stato «indubbiamente un poeta, cioè capace di cogliere e captare con le “antenne dei sensi” suoni e silenzi delle cose, della storia, di Dio».
Maravaglia parla della poesia di Turoldo «sempre tuffata nella Bibbia da cui ricavava citazioni, immagini, personaggi» come di «un richiamo». Cita Oltre la foresta, poesia contenuta nel volume Canti ultimi: «Fratello ateo nobilmente pensoso /alla ricerca di un Dio che io non so darti, /attraversiamo insieme il deserto. / Di deserto in deserto andiamo oltre la foresta delle fedi, / liberi e nudi verso il nudo Essere e là, / dove la parola muore, / abbia fine il nostro cammino».
Emerge il richiamo alla fratellanza oltre le diversità, anche nella ricerca di Dio. «Il trentennale dalla morte non è trascorso senza memoria», afferma Maravaglia spiegando che «la sua qualità di poeta è quella che più facilmente può attraversare le generazioni e continuare a parlare anche molto oltre la storia del suo tempo». Dunque l’auspicio della storica che «non si perda lo “stile” della sua vita: lo stare nel cuore della storia con la postura vigile di chi la prende sul serio, condividendo fino in fondo le speranze e le tragedie che la abitano, sposando con audacia le grandi utopie di rinnovamento sociale ma anche rispondendo ai concreti bisogni di solidarietà quotidiana». E che sopravviva anche il secondo aspetto del suo interrogarsi incessantemente, del suo appello al silenzio di Dio che si placa nel volto amorevole di Cristo: «È questo stile di apertura, audacia, accoglienza tra gli uomini e il creato che mi auguro si possa trasmettere alle presenti e alle future generazioni».