Enzo Bianchi
Non chiudiamo gli occhi
C'è la voglia di dimenticare. Ma abbiamo davanti a noi un popolo abbandonato da chi gli ha assicurato protezione, milioni di persone gettate sulla strada dell'esilio a piangere i morti, città in macerie
La Repubblica - 20 giugno 2022
Questa mattina al supermercato ascoltavo gente che si sfogava ad alta voce: “Basta con questa guerra! Non ne voglio più sentir parlare…”, e poco dopo: “La facciano loro la guerra se la vogliono fare, ma ci lascino in pace e non pretendano da noi aiuti”.
Spesso ormai mi capita di sentire frasi simili che manifestano la volontà di non vedere, non sapere, non essere raggiunti da informazioni sulla guerra russa in Ucraina. C’è voglia di dimenticare e l’unica preoccupazione riguarda il danno che subiremo con l’aumento dei prezzi e la crisi delle fonti di energia…
A quattro mesi dall’inizio dell’aggressione omicida intrapresa da Putin abbiamo davanti a noi un popolo abbandonato da quanti gli hanno assicurato protezione, milioni di persone gettate sulla strada dell’esilio a piangere ogni giorno i morti che aumentano e le vittime di questa barbarie, città in macerie diventate inabitabili. Abbiamo anche la certezza di torture, di stragi e di tutto ciò che nella guerra è apocalisse di orrore.
Di fronte a questa innegabile realtà l’errore più grande rimane comunque la lettura del conflitto come guerra tra il bene assoluto e il male assoluto, una lettura che distingue i buoni dai cattivi, e non vede la realtà di una terra insanguinata con persone uccise perché mandate al macello, obbligate, senza poter scegliere liberamente e senza una conoscenza del perché di questa guerra. Giovani russi e ucraini, mercenari ceceni, siriani, muoiono in numero di cinquecento circa ogni giorno, e per loro non ci sarà più né vita, né relazioni, né affetti, c’è solo il nulla e lo strazio disperante di quelli che hanno lasciato.
Noi occidentali e cristiani proviamo orrore e ci risulta incomprensibile l’appoggio che il Patriarca di Mosca Kirill ha dato a questa guerra consacrandola come un’azione benedetta da Dio, e additando nell’occidente il nemico demoniaco, un’incarnazione odierna dell’Anticristo. Ma non si può dire che l’intera Chiesa ortodossa russa segua Kirill. Non la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, che nel concilio del 27 maggio ha ribadito la sua condanna della guerra rivendicando la propria indipendenza. Non il metropolita Mark di Germania, del Patriarcato di Mosca, che ha definito la guerra “un crimine” e l’idea di denazificare l’Ucraina “un’assurdità”. Non l’ex-numero due del patriarcato, il metropolita Ilarione – vescovo non solo intellettualmente raffinato ma grande teologo e vero cristiano, per me vero amico da decenni – rimosso per essersi mostrato in disaccordo, ma anche altri vescovi e preti e monaci che hanno organizzato veglie di preghiera per la pace o si sono pronunciati in modo critico o profetico contro questa guerra. E ne hanno pagato il prezzo con la destituzione dai loro incarichi, perdendo ogni possibilità di esercitare il proprio ministero in Russia.
Papa Francesco lo sa, e per questo i suoi interventi, che non sono dettati da prudenza diplomatica ma sono profetici, vogliono essere un servizio alla verità anche a costo di irritare quanti non riescono a comprendere che il Papa segue solo il messaggio scandaloso del Vangelo, che non conosce né strategie, né doppiezza nelle parole. È con parole di questo tipo che Francesco ha parlato a Kirill, è con parole di questo tipo che Francesco chiede che si ponga subito fine alla guerra per salvare il popolo ucraino!
Questo significa certamente l’elaborazione di un compromesso che preveda che le parti in guerra non solo cessino le ostilità, ma giungano anche a rinunciare alle pretese che han dato origine al conflitto. Solo se non si rappresenta l’altro come il male assoluto si può sperare in un margine negoziale che non condanni milioni di innocenti alla fame. Deve imporsi la razionalità: o fermare la terribile strage, o continuare la guerra sapendo che non ci saranno vincitori. Non può essere altrimenti, se non si vuole l’allargamento del conflitto a dimensione planetaria.
(fonte: blog dell'autore)