Francesco vada al confine,
non si tiene un Papa fuori dalla porta
Raggiunga la linea della cosiddetta terra di nessuno tra Russia e Ucraina: lì, su un altare semplice all’aperto, senza folla, celebri una messa e nell’omelia chieda a Putin di fermare lo scempio
Adesso — come per primo fra il leader occidentali ha denunciato Mario Draghi — alla tragedia del popolo ucraino si affianca quella del grano. Ventidue milioni di tonnellate ferme nei silos sul punto di marcire; le navi mercantili bloccate nei porti del Mare d’Azov e del Mar Nero infestati dalle mine e controllate dalla flotta russa; convogli via terra bloccati e impossibilitati a partire. E decine di migliaia, centinaia di migliaia di bambini, donne, uomini, esseri umani che in Africa e nei Paesi del Terzo Mondo, presto, e già sta succedendo, moriranno di fame. Una guerra spietata, ingiusta, dovuta all’invasione ingiustificabile di una nazione sovrana, eccidi, stupri, morti, il pericolo che si allarghi e non finisca mai, e una catastrofe umanitaria.
Il tempo è stretto. Le diplomazie, sono in stallo. Le parole servono a poco. Rispondendo al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana nell’intervista pubblicata il 3 maggio che ha fatto il giro del mondo, Papa Francesco ha detto: «Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di far arrivare il messaggio a Putin che io ero disposto a andare a Mosca. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo insistendo, anche se temo che Putin non possa e non voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tutta questa brutalità come si fa a non fermarla?» Appunto. E intanto è trascorso un mese, e i mucchi dei cadaveri stanno crescendo. «A Kiev – ha detto più avanti il Papa – per ora non vado, sento che non devo andare, io prima devo andare a Mosca. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…».
Un regista cinematografico audace e talentuoso, quale potrebbe essere Sorrentino, il Papa, tutto vestito di bianco, oppure coperto solamente da un saio, lo porterebbe sulla Piazza Rossa; lo farebbe inginocchiare davanti al Cremlino in attesa di essere ricevuto dallo zar, e alla fine quel portone si aprirebbe. Ma in un film.
Il Papa, invece, deve andare per davvero. Perché le visite, le telefonate, le parole hanno fatto fino ad ora un buco nell’acqua. Il Papa deve andare, perché ora serve un gesto forte, e questo gesto lo può compiere soltanto lui. Pensa che non sia ancora il momento di andare a Kiev? Certo: irriterebbe il dittatore e gli concederebbe ulteriori possibilità di spargere la versione di essere accerchiato. Non vuole andare a Mosca a convincerlo, come il santo da cui ha preso il nome fece nel 1219, durante la quinta crociata, recandosi in Palestina per parlare col signore dell’altro campo, e cioè al-Malik al-Kalim, nipote del Saladino? Vada lo stesso in Ucraina. Vada al confine fra l’Ucraina e la Russia, sulla linea del confine, o nella cosiddetta terra di nessuno. Lì, su un altare semplice, all’aperto, senza seguito, senza folle oceaniche ad acclamarlo, celebri una messa e, nell’omelia, chieda a Putin di fermare lo scempio. Quella terra di nessuno è la porta. E non si tiene un Papa alla porta.
(fonte: Corriere della Sera, articolo di Giorgio Montefoschi 01/06/2022)