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mercoledì 23 marzo 2022

Alberto Melloni: Il Papa e le due Europe - P. Alex Zanotelli: Noi cristiani dobbiamo osare la pace (video)

Alberto Melloni
Il Papa e le due Europe

Papa Francesco (ansa)

Francesco potrebbe andare a Kiev per cercare di fermare il conflitto

Ha parlato con Putin tramite l’ambasciatore russo a Roma; ha avuto un aspro scambio con Kyrill; ha telefonato a Zelensky, che forse spera in una processione di capi di Stato che salvi Kiev da altre devastazioni. Ora che la terza guerra mondiale a capitoli rischia di trovare il suo rilegatore Francesco si è mosso. Non come apice della diplomazia pontificia né come autorità riconosciuta dalla chiesa greco-cattolica, a lui fedele da oltre quattro secoli e maggioritaria nell’Ucraina oggi ancora libera. Primo papa che non ha vissuto la guerra mondiale, primo a condannare il possesso delle armi atomiche in barba ai dogmi della deterrenza — Francesco ha agito così perché pensa che la pace verrà saltando le mediazioni e/o esponendosi in prima persona. Ma questo ha davanti una “realtà” (si direbbe in bergogliano): posta là dove si scontrano da dieci secoli due Europe, due confessioni, due orologi.

L’Europa dei latini e l’Europa degli slavi, con i loro alfabeti ingannevolmente apparentati, hanno geografie esteriori ed interiori diverse. Se nelle mappe dove gli occhi romano-barbarici vedono terre, gli eredi dei variaghi e dei bizantini vedono una rete di fiumi, lo stesso accade quando alzano lo sguardo al Cielo.
Da un lato il cristianesimo latino (cattolico o protestante, non cambia) connotato dalla sua irredimibile pesantezza istituzionale; dall’altro l’ortodossia col suo lento contemplare il culto angelico.

E di conseguenza due concezioni del tempo, accomunate solo dal pensarsi nel “dopo Cristo”. In Occidente, tanto più dove hanno attecchito le mitologie nazi-fasciste, il solo orologio funzionante è quello del breve periodo; il cigolio della memoria promette invano i suoi “mai più” all’Occidente del progresso, e lo sguardo dell’angelus novus della visione di Benjamin, viene trascinato via per le ali da un vento di tempesta che accumula ai suoi piedi macerie mute. Ad est il potere, la cultura, la fede, misurano in millenni coi rintocchi lenti suonati da una sola campana. Il passato è un corpo incorruttibile ed icone immobili: tutto resta. E nel ripetersi lento delle polifonie e delle metanìe scorre l’invisibile: e dice che il vero non è erudizione, ma attesa che il dettaglio di ciò che sembra sempre uguale parli del passato al futuro, e viceversa.

Dunque i mille e trentaquattro anni che ci separano dal battesimo del principe e della Rus’nello Dniepr sono un riferimento decisivo per chi vuol parlare a e con quei popoli oggi. Zelensky, che parlando all’Italia invoca Kiev come culla di una fede venuta da Bisanzio alla Roma dove resero la testimonianza Pietro e Paolo, fa dunque una operazione “spirituale”, ma non meno precisa, anche se meno irritante per un palato occidentale, di quella del patriarca Kyrill. Crede di parlare ad una “nazione cattolica”, citando riferimenti valoriali poco seguiti; e chiede l’aiuto del cattolicesimo (che fa coincidere con l’Italia) per sottrarre a Mosca quel titolo mistico — “la terza Roma” — che non piacque a tutti gli zar e a nessuno dei patriarchi ecumenici, ma che nell’isolarsi dell’ortodossia russa è ritornato dal 1509, nuovo di zecca.

Là dove tutti i cristiani hanno ucciso altri cristiani (e tutti perseguitato gli ebrei) arruolare le chiese non è scandaloso, né per l’aggredito né per l’aggressore: il problema è riuscirci. L’obiettivo non è stato pienamente raggiunto in Russia, dove una parte del clero ha reagito all’allineamento del patriarca al Cremlino. Obiettivo plausibile per Zelensky: egli ha dalla sua la chiesa ortodossa autocefala nel 2018, e ora anche quella d’obbedienza moscovita del metropolita Onoufrij, sdegnata dalla mancata condanna del fratricidio da parte di Kyrill; e ha dalla sua parte i greco-cattolici usciti dalla clandestinità persecutoria solo nel 1990, la cui autorità però è nella prima Roma. A noi sembrerà un riferimento lontano: ma Zelensky, che in ogni parlamento cerca di trovare il tempo retorico più ficcante, parla alle camere italiane per parlare al papa e ripetere l’operazione con cui Izjaslav si fece riconoscere da Gregorio VII il regno che aveva riconquistato ai polacchi, nel 1075. Il papa si farà coinvolgere? Andrà a Kiev, nella passerella blindata dei capi di Stato? Potrebbe e se lo farà commuoverà il mondo.

Ma questo non sposterà l’esigenza di un gesto di penitenza con cui le chiese assumano il peso dei mille anni di divisione e dei cento di ecumenismo inconcludente. Una penitenza dei capi delle chiese, senza capi di Stato, a Bari da san Nicola o a Gerusalemme, ai piedi del Calvario, per chiedere il miracolo di vedere nella poca fede e nella poca unità cristiana l’origine di questo orrore. In alternativa c’è la libera uscita per le parole più sagge e per quelle più vane, in attesa che un trattato fermi un orrore che ne ricorda tanti e ne promette di nuovi.

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P. Alex Zanotelli: 
Noi cristiani dobbiamo osare la pace

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