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lunedì 21 febbraio 2022

Don Roberto Repole è il nuovo vescovo di Torino: “Vi voglio bene, spero ne vogliate anche a me” - Papa Francesco sceglie un prete di Torino come arcivescovo della città. “Opera della fantasia e dell’estro dello Spirito santo”

Don Roberto Repole è il nuovo vescovo di Torino:
“Vi voglio bene, spero ne vogliate anche a me”

Don Roberto Repole saluta la comunità diocesana alla Consolata di Torino 
il giorno dell’annuncio della sua nomina a vescovo eletto, 19 febbraio 2022 
(foto: Renzo Bussio_LaVoceEilTempo)

Don Roberto Repole, 55 anni, è il vescovo eletto dell’arcidiocesi di Torino e della diocesi di Susa. A darne l’annuncio sabato 19 febbraio 2022, presso il Santuario della Consolata a Torino, è stato l’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia, alla guida della Diocesi di Torino dal 2010 e amministratore apostolico di Susa dal 2019.

«Cari amici, sono lieto di comunicarvi che il Santo Padre ha nominato Arcivescovo metropolita di Torino e Vescovo di Susa il canonico don Roberto Repole, docente e direttore della Sezione torinese della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale. Il curriculum del nuovo pastore è ben conosciuto da tutti voi e per questo siamo riconoscenti al Santo Padre di questa nomina. Personalmente sono molto contento della scelta e auguro al mio successore ogni bene, mentre chiedo ai sacerdoti, religiosi e religiose e fedeli tutti di accogliere con gioia il nuovo Arcivescovo e di offrire a lui tutta la loro disponibilità a collaborare efficacemente al suo ministero, accompagnandolo fin da ora con la nostra accoglienza e la nostra preghiera. ...» 
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Dopo l'annuncio della nomina un lungo applauso e il primo intervento di don Roberto:

«Carissime sorelle e carissimi fratelli, tutti: religiose e religiosi, laiche e lai-ci, diaconi e presbiteri.

Come potete anche solo immaginare, ho il cuore colmo di emozione e all’interno c’è un guazzabuglio di sentimenti. Vi è certamente una profonda e intensa gratitudine al Signore, che mi invita ancora una volta e in maniera sempre più radicale alla sua sequela e al dono di me; e al carissimo papa Francesco, che mi ha scelto con un atto di grandissima fiducia. Ma confesso anche che in questi giorni ho dovuto combattere con l’ansia, sempre frutto del Nemico quando ci separa da Cristo e dai fratelli e ci fa sentire soli.

Al di sotto però delle onde di superficie, se scendo nel profondo, laddove lo Spirito Santo mi abita, trovo una pace profonda.

Mi consolano in particolare tre cose.

La prima è che io sono certo di non aver mai cercato in alcun modo un ministero come quello che oggi mi viene affidato. Ho avuto la grazia in questi anni di avere tantissimi contatti, che mi hanno arricchito nel mio percorso teologico e nella mia vita di fede. Ma ho sempre incontrato le persone per quello che erano, senza secondi fini. E per questo, la mia nomina ad arcivescovo di Torino e vescovo di Susa era umanamente del tutto imprevedibile. Non può essere opera semplicisticamente umana. Nella fede la leggo come l’opera della fantasia e dell’estro dello Spirito. E vivo allora sicuro che come la mano di Dio non mi ha mai abbandonato in questi anni e come, anzi, la sua presenza si è fatta con il tempo sempre più intensa, così continuerà ad affiancare i miei passi. Sono con Lui; e questo è anche ciò che desidero sempre di più, quello che più davvero mi interessa nella vita.

E poi ho la grande grazia di dover servire due Chiese che conosco, pur in modo evidentemente diverso. E anche voi conoscete me, con i doni che il Signore ha voluto farmi nella sua immensa bontà e con i miei limiti. La Chiesa di Torino è la mia Chiesa, tanto amata. È qui che ho ricevuto il dono più bello di tutti, quello della fede, quello della compagnia di Cristo. Penso con profonda gratitudine a tutte le sorelle e i fratelli che sono stati e sono per me la testimonianza di Cristo vivente e del suo amore. Penso a voi, con i quali camminiamo insieme; e penso a quelli che sono già nel Signore. Ci sono anche loro, anche oggi, qui. Gabriel Marcel faceva dire ad un personaggio del suo teatro che se il mondo fosse abitato solo da quelli che noi consideriamo i viventi, l’aria sarebbe semplicemente irrespirabile. Questo è particolarmente vero per la Chiesa. La Chiesa di Susa ho avuto modo di conoscerla, invece, soprattutto attraverso diversi incontri di formazione e di ritiro dei preti. Ne ho sempre raccolto la sensazione di una comunità in cui, con semplicità, si serve il Signore e ci si vuole bene.

Ecco, mi consola sapere che lo Spirito è già potentemente all’opera e la Chiesa c’è già. Io vi svolgerò un ministero e offrirò quello che umanamente potrò dare. Ma ci saranno altri ministeri e soprattutto ci saremo tutti noi, una cosa sola in Cristo. Le Chiese di Torino e di Susa non hanno solo un glorioso passato, hanno un presente, dove Dio è all’opera perché il Vangelo raggiunga davvero tutti; e per questo, tale presente può essere persino stimolante e avvincente.

Mi consola, infine, sapere che come cristiani non siamo certamente una potenza, né dobbiamo esserlo. Non abbiamo da offrire a queste nostre città nulla di tutto ciò che esse possono trovare già altrove e in abbondanza. Possiamo offrire, però, quello che nella nostra povertà Cristo ha deposto e depone continuamente in noi: la straripante bellezza del Vangelo, che può generare senso di vita per i più giovani, sollievo e compagnia per i più anziani, vicinanza e cura per i malati, accoglienza ospitale per tutti i poveri e gli emarginati.

Con questi sentimenti, ringrazio ancora di cuore il Santo Padre, e ringrazio l’arcivescovo Cesare Nosiglia, per tutto l’impegno che ha profuso e quello che ancora deve offrire per qualche mese (senza mettere limiti per il prosieguo). Ci affidiamo tutti alla Vergine Consolata, perché continui a suggerirci quello che Cristo ci chiede.

Vi voglio bene, confido tantissimo nel vostro bene e nella misericordia che ci useremo gli uni gli altri.

Ringrazio sin d’ora le Autorità civili e militari, confidando in una buona collaborazione. Sicuramente avremo modo nei prossimi mesi di incontrarci e di iniziare un dialogo proficuo.

Mi scuso sin da adesso con i giornalisti presenti, se non aggiungo altro a questo saluto. Avremo modo di incontrarci in un clima più calmo rispetto alle emozioni di questi giorni e poterci così parlare. Grazie di cuore!».

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Papa Francesco sceglie un prete di Torino come arcivescovo della città.
“Opera della fantasia e dell’estro dello Spirito santo”

Il nuovo arcivescovo, che subentra a monsignor Cesare Nosiglia, è don Roberto Repole, teologo, 55 anni. Le sue parole: "Ciò che offriamo è la bellezza del Vangelo che può generare cura per i malati e accoglienza di poveri ed emarginati". Continua la serie di scelte del pontefice a beneficio di sacerdoti di prima nomina o "di strada": le diocesi guidate da cardinali sono solo 6


Un prete di Torino alla guida della sua arcidiocesi. Papa Francesco ha nominato don Roberto Repole arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, unendo in persona episcopi le due sedi. Una scelta più unica che rara nell’episcopato italiano (nel 2000 don Angelo Spinillo fu nominato vescovo della sua diocesi di Teggiano-Policastro), dove, soprattutto per le sedi episcopali più importanti, vengono sempre nominati vescovi che provengono non solo da diocesi, ma anche da regioni diverse. Repole subentra a monsignor Cesare Nosiglia, oggi 77enne, che fu nominato nel 2010 arcivescovo del capoluogo piemontese da Benedetto XVI in vista di una porpora che, però, non è mai arrivata. Ratzinger non gliela diede negli ultimi concistori del suo pontificato e Bergoglio ha scelto di abbandonare, almeno in Italia, la prassi consolidata delle diocesi cardinalizie. Alla fine del 2019 Francesco ha affidato a Nosiglia anche il ruolo di amministratore apostolico di Susa, diocesi di fatto accorpata con quella del capoluogo piemontese.

“Ho il cuore colmo di emozione. La mia nomina ad arcivescovo di Torino e vescovo di Susa era umanamente del tutto imprevedibile” dice don Repole. “La mia nomina – aggiunge – non può essere opera semplicisticamente umana. Nella fede la leggo come l’opera della fantasia e dell’estro dello Spirito. E vivo sicuro che come la mano di Dio non mi ha mai abbandonato in questi anni e come anzi la sua presenza si è fatta con il tempo sempre più intensa, così continuerà ad affiancare i miei passi”. 
Monsignor Repole è nato il 29 gennaio 1967 a Torino. Dopo gli studi superiori svolti al seminario minore, è stato accolto in quello arcivescovile del capoluogo dove ha frequentato i corsi filosofico-teologici. Ha completato la formazione conseguendo la licenza e il dottorato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 13 giugno 1992. Ha ricoperto numerosi incarichi: vicario parrocchiale, docente di teologia sistematica alla Facoltà teologica di Torino e l’Istituto superiore di scienze religiose sempre del capoluogo, canonico della real chiesa di San Lorenzo, presidente dell’Associazione teologica italiana, preside della sezione di Torino della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, membro del Consiglio direttivo dell’Agenzia della Santa Sede per la valutazione e la promozione della qualità dell’università e facoltà ecclesiastiche. È stato, inoltre, coordinatore diocesano della pastorale universitaria e, per un quinquennio, membro della Commissione ecumenica diocesana. È stato anche collaboratore della parrocchia Santa Maria della Stella a Druento, in provincia di Torino, assistente ecclesiastico diocesano del Movimento ecclesiale di impegno culturale e membro del Consiglio presbiterale. 

Don Repole sottolinea di essere “certo di non aver mai cercato in alcun modo un ministero come quello che oggi mi viene affidato. E poi ho la grande grazia di dover servire due Chiese che conosco, pur in modo evidentemente diverso. La Chiesa di Torino è la mia Chiesa, tanto amata. È qui che ho ricevuto il dono più bello di tutti, quello della fede, quello della compagnia di Cristo. La Chiesa di Susa ho avuto modo di conoscerla invece soprattutto attraverso diversi incontri di formazione e di ritiro dei preti. Ne ho sempre raccolto la sensazione di una comunità in cui, con semplicità, si serve il Signore e ci si vuole bene”. “Le Chiese di Torino e di Susa – conclude – non hanno solo un glorioso passato, hanno un presente e tale presente può essere stimolante e avvincente. Ciò che offriamo è la straripante bellezza del Vangelo, che può generare senso di vita per i più giovani, sollievo e compagnia per i più anziani, vicinanza e cura per i malati, accoglienza ospitale per tutti i poveri e gli emarginati“.

La nomina del nuovo arcivescovo di Torino si pone sulla linea del declassamento dell’episcopato italiano attuato da Francesco fin dall’inizio del suo pontificato. Il Papa argentino, infatti, soprattutto per le sedi ecclesiastiche più importanti della Penisola, ha prescelto, per lo più, sacerdoti di prima nomina, che non avevano esperienze episcopali alle spalle, o preti di strada, più dediti alla pastorale degli scartati dalla società che con un passato di incarichi nelle rispettive curie diocesane, come avveniva precedentemente. Declassamento che si è concretizzato anche con la drastica riduzione dei cardinali alla guida delle arcidiocesi italiane. Tramontante, con Bergoglio, le tradizionali sedi cardinalizie, attualmente sono soltanto sei le diocesi della Penisola guidate da un porporato. Numero che scenderà presto a cinque con gli 80 anni, il 7 aprile prossimo, del cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, attualmente arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.

Gli altri porporati alla guida di una diocesi italiana sono: Giuseppe Betori a Firenze, che il 25 febbraio compirà 75 anni, l’età canonica delle dimissioni, ma che potrebbe avere una proroga biennale come avvenuto con Nosiglia, Giuseppe Petrocchi a L’Aquila, sulla soglia dei 74 anni, Matteo Maria Zuppi a Bologna, Paolo Lojudice a Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis. Da sottolineare, infine, che l’ultimo concistoro durante il quale Francesco ha imposto nuove berrette rosse si è tenuto il 28 novembre 2020. È molto probabile che alla fine del 2022 il Papa nominerà nuovi cardinali e solo allora si saprà quali arcivescovi italiani riceveranno la porpora, anche perché alcuni di essi hanno un profilo pastorale molto affine a quello di Francesco.
(fonte: Il Fatto Quotidiano, articolo di Francesco Antonio Grana 19/02/2022)