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mercoledì 13 maggio 2020

Purtroppo c'è chi riesce a trasformare un momento di gioia collettiva in occasione per generare odio ...

Purtroppo c'è chi riesce a trasformare un momento di gioia collettiva in occasione per generare odio ...



Silvia Romano, troppe cattiverie sul web. 
Non siamo diventati migliori?
di Beppe Severgnini

Non esiste un nesso tra i costi della liberazione di Silvia, vittima di un gruppo criminale, e gli aiuti per famiglie e imprese, vittime del coronavirus. Era prevedibile, tuttavia, che una parte politica cercasse di costruirlo, quel nesso, per aizzare un’opinione pubblica che da due mesi dà prova di calma e maturità.



Da dove arriva tanta cattiveria? Una ragazza di 24 anni torna a casa dopo un anno e mezzo di prigionia in Somalia, uno dei luoghi più pericolosi al mondo. Silvia Romano, giovane milanese, torna in un’Italia affaticata da due mesi di pandemia e chiusure: una piccola luce in un periodo buio. Sembra impossibile non rallegrarsene. Invece in tanti — nei social, in televisione, sui giornali — sono riusciti a trasformare il sollievo in litigio. Il dolore di questi mesi non ci ha insegnato niente?

L’abito islamico? Il nuovo nome? La conversione? Non sono scelte provocatorie, come sostiene qualcuno. Non sono neppure scelte, come ritiene qualcun altro. Per adesso sono decisioni ingiudicabili. Impongono silenzio e pazienza: capiremo. Gli smargiassi che in queste ore gridano e giudicano, probabilmente, tremano di paura al pensiero di restare chiusi in ascensore. Non possono neppure immaginare cosa significa rimanere prigioniera di un gruppo terroristico islamista. Per un anno e mezzo. Da sola. Addormentarsi ogni sera non sapendo cosa può accadere dopo aver chiuso gli occhi.

La seconda meschinità contro Silvia Romano si può riassumere in cinque parole: «Doveva restare a casa sua». Chi gliel’ha fatto fare di andare in Africa?, chiedono in molti, scrivendolo dove possono. Guadagna così terreno l’idea che coloro che prestano aiuto umanitario in luoghi difficili del mondo siano soltanto poveri incoscienti. E lo Stato, quando sono in difficoltà, debba disinteressarsi di loro. Assurdo: e i medici in Africa? E i missionari? Padre Gigi Maccalli, prigioniero nel Sahel, va abbandonato perché ha scelto di aiutare il prossimo in Niger e non in provincia di Cremona, dov’è nato?



Uno Stato degno di questo nome deve occuparsi dei suoi cittadini, qualunque scelta compiano. Anche quando questa scelta non fosse condivisibile. Ci sono attività sportive che non hanno alcuno scopo umanitario, ma rendono talvolta necessario il soccorso. Lasciamo sole quelle persone su una montagna e in mezzo al mare? Sarebbe interessante porre questo dilemma a qualcuno dei feroci censori di queste ore, chiedendo di immaginare che la persona in pericolo di vita sia un figlio o una sorella. Sarebbero altrettanto intransigenti?

Una cosa si può concedere: la coreografia all’arrivo a Ciampino è sembrata eccessiva. L’Italia aveva bisogno di una buona notizia, ma si è esagerato. La forma ha finito per condizionare la sostanza, una bella sostanza: una ragazza che ha rischiato la morte è viva, e torna a casa. Ma l’Italia è psicologicamente provata, molte famiglie hanno avuto lutti e spese, e guardano al futuro con ansia. Non esiste un nesso tra i costi della liberazione di Silvia, vittima di un gruppo criminale, e gli aiuti per famiglie e imprese, vittime del coronavirus. Era prevedibile, tuttavia, che una parte politica cercasse di costruirlo, quel nesso, per aizzare un’opinione pubblica che da due mesi dà prova di calma e maturità.


Diverso il ritorno a Milano, ieri. L’arrivo in via Casoretto, lo zaino nero, la mascherina bianca, l’abito verde, un verde ospedaliero che resterà come un marchio su questo ansioso 2020. Tutto intorno, poliziotti che proteggevano, giornalisti che spingevano, abitanti del quartiere che applaudivano. Da tempo non si vedeva una calca così, in città. Non prendiamola come un’infrazione, qual era, ma come un presagio di normalità.
(fonte: Corriere della Sera 11/05/2020)


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Il merito di Silvia e quattro torti (d'altri). 
La vera gioia e la vergogna
di Marco Tarquinio

Silvia Romano, assieme a chi l’ha liberata, ha un merito immenso. Da sabato sera ci ha fatto dimenticare almeno un po’ il dolore lancinante dei morti da coronavirus (anche ieri troppi: 179). E ha fatto esplodere una vera e grande gioia in tanti italiani. La maggioranza, si può starne certi. ...

Silvia Romano, proprio lei, però ha anche torto. E non uno solo, ma ben quattro. Quali? Bisogna leggere o riascoltare – facendosi forza, e resistendo alla tristezza e all’indignazione – quelli che hanno fatto di tutto per prendersi la ribalta a strepiti e sputi (anche di carta) e hanno dato il "la" alla gazzarra digitale dei social che, dopo i giorni della solidarietà di fronte al martello invisibile del Covid-19, sono apparsi violentemente "riconvertiti", essi sì, al dilagare dell’odio e dello sberleffo atroce. Si sono presi una pesante responsabilità questi propagandisti del niente travestito da valori forti, e prima poi troveranno un specchio davanti al quale vergognarsi.

Per costoro, il primo torto della cooperante milanese è di essere tornata viva. Il secondo è di aver fatto tutto ciò che ha ritenuto necessario per non soccombere. Il terzo è di essere partita per l’Africa. Il quarto è di essere una donna, perché soprattutto le donne stanno a casa propria e non vanno a cercarsi guai a casa d’altri, e per di più "a casa loro"... Sono torti che si ritorcono su chi li immagina. E l’ordine non è casuale. Il primo è infatti il "motore" di tutto. Se Silvia fosse tornata in una bara, nessuno di quei signori avrebbe scatenato l’inferno delle parole senza grazia e senza pietà. ...


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La versione integrale della lettera aperta di Maryan Ismail 
a Silvia Romano

Pubblichiamo la lettera che Maryan Ismail, somala in Italia da 35 anni e docente di antropologia dell’immigrazione, ha inviato a Silvia Romano dopo la sua liberazione e l’annuncio della conversione all’Islam.

Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post. 

Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L'aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa. 

Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosidetto volto "perbene" . Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo. Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi.

Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare NON ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa.

Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro.

Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura , l'impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare?

Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche , yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda.

Comprendo tutto di Silvia.

Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere. E in un nano secondo. 

Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club Mediterranee... Nossignore è un incubo infernale, che lascia disturbi post traumatici non indifferenti.

Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito (che per cortesia non ha nulla di SOMALO, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura.

La sua non è una scelta di LIBERTA', non può esserlo stata in quella situazione.

Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una sua sacralità intangibile.

E poi quale Islam ha conosciuto Silvia? 

Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell'attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un'intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell'orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?

No non è Islam questa cosa. E' NAZI FASCISMO, adorazione del MALE. E' puro abominio. E' bestemmia verso Allah e tutte le vittime.

I simboli, sopratutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande valore. E quella tenda verde NON ci rappresenta. 

Quando e se sarà possibile, se la giovane Silvia vorrà , mi piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti, cibo, fogge, monili e abiti.
Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego,macawis, kooffi. 

I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che deriva dall'italiano).Ho l'armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia.

Adoriamo i colori della terra e del cielo. Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci , di poesie, di ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i nonni.

Abbiamo anche parti terribili come l'infibulazione (che non è mai religiosa, ma tradizionale), ma le racconterei come siamo state capaci di fermare un rito disumano.
Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie, senza aiuti, fondi e campagne di sostegno. 

Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici, mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in somalo.

Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato. Della fierezza e gentilezza del popolo somalo.

E infine ho trovato immorale e devastante l'esibizione dell'arrivo di Silvia data in pasto all'opinione pubblica senza alcun pudore o filtro. 

In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore.

Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura sono a tua disposizione.

Soo dhowaw, gadadheyda macaan. 🌹❤️🇸🇴 🇮🇹


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La testimonianza: 
«Gli abiti del rapimento: la custodia della tua vita»
di Susan Dabbous

... È complicato il rapporto tra te e chi ha in mano le chiavi della tua vita, c’è un gioco di ruoli che permette di limitare imprevedibili cambi di scena. Non volevo gettarlo quel vestito. E non capisco perché, con incomprensibile mancanza di delicatezza, qualcuno abbia pensato che Silvia Romano avrebbe dovuto cambiarsi, buttando via in poche ore quell’immagine di sé a cui si è probabilmente abituata e affezionata in questi 18 mesi spesi in prigionia dentro appartamenti lugubri.

Gli abiti del rapimento non sono qualcosa che si sceglie, sono indumenti calati dall’alto, sono conquiste che possono fare la differenza tra la vita e la morte. È davvero incredibile vedere come il caso della liberazione di questa donna abbia portato l’attenzione solo su quello indossava, senza notare la genuina potenza del suo sorriso, che è sempre lo stesso, che non si è trasformato né con gli abiti, né con la religione, e spero, dopo questo periodo, neanche con le polemiche. ...

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Vedi anche il post precedente: