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venerdì 15 maggio 2020

La virtù della compassione nell'epidemia di Enzo Bianchi

La virtù della compassione 
nell'epidemia
di Enzo Bianchi

La Bisaccia del mendicante 
"Jesus" maggio 2020




Nell’emergenza che stiamo ancora vivendo a causa della pandemia di coronavirus è risuonata un’urgenza, una vocazione che molti hanno sentito come universale, senza frontiere e senza possibili fraintendimenti: la com-passione, il soffrire insieme.

A rendere più forte ed eloquente questa virtù è stata anche la rivelazione di un Dio che non viene più inteso come impassibile, privo di capacità di soffrire. Come in altri momenti storici, dei quali abbiamo chiara testimonianza nella storia di salvezza, il nostro Dio è apparso non solo il “Dio-con-noi”, l’Immanu-El, ma anche colui che ha la capacità di soffrire per amore: di soffrire insieme all’umanità, cioè agli esseri umani che ha generato quali “figli e figlie”, destinatari del dono del suo amore.

L’apatheia, virtù propria degli dèi pagani, è contestata nella Bibbia, la quale rivela al contrario un Dio che vede la sofferenza del popolo, ascolta il suo grido e “scende” per soffrire insieme a lui. 
Il nostro Dio è rachum, capace di tenerezza materna viscerale. Non è un caso che, nella sua prima rivelazione a Mosè, gli si presenti così: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto, ho ascoltato il suo grido a causa dei suoi oppressori. Conosco le sue sofferenze e dunque ‘scendo’, vengo in mezzo al vostro dolore per liberarvi” (Es 3,7-8).

Il nostro Dio è colui che nel salmo 91 promette al fedele che lo prega: “Nell’angoscia io sono con te” (v. 15). Nella rivelazione del suo Nome santo, ancora a Mosè, egli si manifesta come “il Signore, Dio di tenerezza e di misericordia, lento all’ira, grande nell’amore e nella fedeltà” (Es 34,6). Sì, il nostro Dio è davvero altro rispetto agli dèi antichi e a quelli dei filosofi. È un Dio che confessa: “Ho il cuore spezzato, le mie viscere fremono” (Os 11,8). È un Dio che si definisce padre pieno di compassione (cf. Ger 31,9) e madre piena di tenerezza (cf. Is 49,15).

Ma la rivelazione definitiva di questa compassione di Dio ci è stata fatta da Gesù, suo Figlio, colui che ha narrato Dio come “buona notizia”, spogliandolo di ogni immagine perversa, di ogni proiezione umana. Gesù non solo vive la compassione ma è sempre compassione fatta carne per chiunque incontra, sempre compassione che si china e si abbassa per incontrare chi è a terra, nella debolezza del peccato, della sofferenza o della morte. Quante volte i vangeli testimoniano che Gesù era “mosso dalla compassione”: non era mosso dalla vista del peccato, bensì dalla vista della sofferenza, perché Gesù possedeva questa sensibilità, questa vulnerabilità di fronte alla sofferenza altrui.

Comprendiamo allora perché la compassione dovrebbe essere la prima virtù del cristiano, in forza dell’esempio di Cristo e della rivelazione del nostro Dio vivente e vero. Dovrebbe inoltre esserlo anche come virtù sociale, quale necessario fondamento alla vita della polis. Martha Nussbaum ha ben messo in rilievo la qualità sociale della compassione: è una mediazione necessaria verso la giustizia; è un movimento dall’interesse proprio all’altruismo; è presa di coscienza del bisogno dell’altro; è relazione necessaria alla communitas. Non a caso la compassione è virtù centrale non solo nel cristianesimo ma anche nel buddhismo, e può essere una virtù percepita come universale anche da parte dei non credenti. André Comte-Sponville ha giustamente scritto che “condividere la sofferenza degli altri significa rifiutare di considerare una sofferenza come un fatto indifferente e un vivente come una cosa, un oggetto. Ecco perché, nel suo principio, la compassione è universale”.


In questa situazione di epidemia siamo stati spinti alla compassione in diversi modi e abbiamo potuto conoscere la nostra capacità di prossimità (anche a distanza) e di assunzione della cura dell’altro. Si tratta ora di tenere viva questa virtù, di esercitarla ascoltando il fremito del nostro cuore e delle nostre viscere. Infatti, l’unica cosa necessaria per gli altri e per noi, nella nostra impotenza e fragilità, è la compassione. Compassione universale, dalla quale nessun vivente deve essere escluso.