Nel cammino
il senso della vita
di Enzo Bianchi
Alberto Giacometti, Homme qui marche (Projet puor Chase Manhattan Plaza), 1959 |
Ho camminato tanto nella mia vita, e ora che sono vecchio non posso più camminare a lungo, ma in me si è molto accresciuto il desiderio di fare passeggiate.
Camminare significa mettere un piede davanti all’altro e spingersi verso un altrove, lasciando che il proprio corpo si muova e percorra un tragitto segnato da altri che hanno camminato prima di noi, fino a lasciarne le tracce. “Camminando si apre cammino”, aveva ben intuito il grande poeta Machado. Camminare è decisivo per noi umani, ma purtroppo lo scopriamo tardi, così come tardi ci accorgiamo che la vita è un cammino da percorrere giorno dopo giorno, verso una meta che non sempre abbiamo chiara davanti a noi. Non rifletto dunque sul cammino dei pellegrini sulle vie sante, che portano a Compostela, Roma o Gerusalemme.
Oggi il camminare non è più una pratica quotidiana necessaria, perché ricorriamo all’automobile o ai mezzi pubblici. Un tempo, invece, lungo la strada c’era sempre gente che camminava con i suoi bagagli, con i suoi “fagotti” e con pesi da portare, a volte schiaccianti.
Oggi i medici raccomandano di dedicare almeno mezz’ora al giorno al camminare spedito, perché questo è un esercizio benefico per la salute del corpo, ma secondo me lo è soprattutto per la salute della mente e dello spirito. Anche perché, se si cammina veloci, lo si fa da soli, e allora, nella concretezza del mettere un passo dietro l’altro, silenzio e solitudine diventano fecondi, stimolati da tutti i sensi accesi dal camminare.
Non a caso il filosofo greco Diogene ripeteva, di fronte agli interrogativi più difficili: “Solvitur ambulando”, “camminando il problema sarà risolto”. E quando si passeggia in due, allora la conversazione, lo scambio, gli sguardi incrociati, diventano linguaggi carichi di complicità, affettività e tenerezza.
Camminare insieme a un altro è mai inutile, mai tempo perso, ma guai a fare passeggiate, soprattutto in mezzo alla natura, eliminando il silenzio con musiche o voci immesse direttamente nei padiglioni auricolari. Solo nel silenzio, infatti, si può fare l’esperienza che “niente è senza voce”, come scriveva Paolo di Tarso. Sì, quando cammino e non resto distratto o chiuso in me, ogni cosa ha un messaggio da offrirmi, anzi diventa essa stessa una parola.
È così che emergono presenze insospettate, domande essenziali, e avvengono anche dialoghi immaginari con una volpe che ci osserva o con un corvo che ci saltella davanti… Nel camminare, soprattutto in campagna e tra i boschi, c’è un’adesione del corpo alla terra che ci fa sentire più che mai terrestri. Noi abitiamo la terra, non il cielo e neppure il mare, e la sentiamo percorribile a piedi. Camminare su questa terra è immergersi in un flusso di vita in cui siamo co-creature, tutte conviventi – umani, animali, alberi, muschi, fiori, sassi –, e in questo fiume spetta a noi farci loro voce e loro pensiero, in una reale comunione. Mi diceva un monaco dell’Athos: “Ho camminato tanto nella mia vita, e ora che sono vecchio e paralizzato alle gambe posso dirmi: ‘Siediti e cammina!’”.
Pubblicato su: La Repubblica (03/02/2020)