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sabato 29 febbraio 2020

CORONA VIRUS - Card. Scola: "Non esiste il castigo divino Milano ce la farà" - Intervista di Paolo Rodari

CORONA VIRUS
Card. Scola: "Non esiste il castigo divino
 Milano ce la farà"


Intervista di Paolo Rodari 
al card. Angelo Scola, 
arcivescovo emerito di Milano
(testo parziale)



«Nel 1576 Milano venne investita dalla peste. La chiamarono la peste di san Carlo. Perché un uomo, san Carlo appunto, la visse in modo differente, senza paura, arrivando a dare la vita per gli altri e in questo modo facendo sì che tutti addirittura definissero la stessa peste usando il suo nome. Se questi giorni di paura, legittima, ci facessero ritornare a un modo di vivere le relazioni così, come fece san Carlo, non sarebbero giornate andate sprecate. Proprio in quei giorni trovo un' indicazione su come stare dentro queste prove».

Ha scelto di abitare a Imberido di Oggiono, Angelo Scola, dopo aver lasciato la guida dell' arcidiocesi di Milano a Mario Delpini. Ha deciso di fare ritorno ai manzoniani luoghi della sua infanzia, vicino a «quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno», distante appena dieci chilometri da Malgrate, il paese dove nacque 78 anni fa da suo padre Carlo, camionista, e da sua madre Regina, guantaia e casalinga.


Quando era bambino visse situazioni analoghe a quella di oggi?
«Per certi versi sì. Ricordo le piccole bare bianche dei funerali dei bambini, fra questi alcuni miei cugini, che se ne andavano per polmonite e tubercolosi. Io stesso a vent'anni fui colpito dalla tubercolosi. C' erano anche allora paura e smarrimento. Anche se le famiglie facevano tanti bambini e dunque, seppure nel dolore unico e insieme terribile, le morti erano mitigate dalla presenza dei tanti che restavano. Inoltre, c' era un riferimento netto e chiaro alla fede nella risurrezione per cui tutto era vissuto alla fine con speranza».

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La Chiesa ha preso provvedimenti, ad esempio in Lombardia, sospendendo le messe. Condivide?
«Pienamente. Sono contento del comunicato dei vescovi lombardi che accompagnano il popolo di Dio in questa fase. Ci è chiesto di fare come durante la quaresima ambrosiana nella quale il venerdì si rinuncia all' eucaristia. E così si comprende meglio, nella mancanza, il valore del ricevere il Signore».

Si parla molto dell' effetto economico che questi giorni avranno sul Paese. Cosa pensa?
«L' aspetto economico è importante, ma occorrerebbe affrontare il tema della rigenerazione della comunità civile. Questi giorni devono secondo me far comprendere la necessità che in una società plurale o l' Io vive come relazione o non vive. Dal diffondersi del coronavirus può nascere un diverso senso di unità, e una riflessione per una politica che favorisca la condivisione dentro questa pluralità. Questa narrazione reciproca ancora non c' è mentre sarebbe necessaria».

È cristianesimo la visione per la quale dietro il coronavirus vi sarebbero dei castighi divini?
«È una visione scorretta. Dio vuole il nostro bene, ci ama e ci è vicino. Il rapporto con lui è da persona a persona, è un rapporto di libertà.
Certo, conosce e prevede gli avvenimenti ma non li determina.
Quando gli chiedono se le diciotto persone morte sotto il crollo della torre di Siloe abbiano particolari colpe Gesù smonta la questione: "No, io vi dico, non erano più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme". Per i cristiani Dio comunica attraverso le circostanze e i rapporti. Anche da questa circostanza potrà emergere un bene per noi. Fra i tanti insegnamenti la necessità di imparare a stare nella paura portandola a un livello razionale».

(Fonte: Pubblicato su "La Repubblica" il 27.02.2020 - testo parziale)


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