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mercoledì 4 dicembre 2019

"Gli avvoltoi del Vaticano" di Alberto Melloni

"Gli avvoltoi del Vaticano" 
di Alberto Melloni

La solitudine di papa Francesco Più esposto e più vulnerabile: contro Bergoglio operazioni difficili da fermare, come ai tempi di Pecorelli



«La Roma che tu conosci e dalla quale fosti esiliato non accenna a mutare, come pareva che dovesse essere alla fine. Il cerchio dei vecchi avvoltoi, dopo il primo spavento torna. Lentamente, ma torna. E torna con sete di nuovi strazi, di nuove vendette».

Così don De Luca scriveva al cardinal Montini, nel luglio 1960: e leggeva con il dovuto fatalismo il conflitto fra la micidiale pazienza della curia più integrista e la primavera conciliare. Un conflitto che aveva favorito il "ricomporsi" di un cerchio prima frammentato.

È un pensiero, questo del 1960, che però si attaglia a questa fase in cui il pontificato sta entrando in un momento di solitudine istituzionale.

Il Papa, come tutti sanno, dice che il tempo è superiore allo spazio, i processi alle norme: e dunque non ha fatto norme o accelerato (con la sola eccezione del Segretario di Stato) il ricambio di persone nelle funzioni apicali: col risultato che di molte cose deve occuparsi lui.

La descrizione dell' ultimo scandalo finanziario che il papa ha fornito ai giornalisti sull' aereo di ritorno dal Giappone è stata da questo punto di vista esemplare e straziante: il Papa più evangelico di sempre che deve fare il "Papa-re", far funzionare nei suoi piccoli domini giustizia e polizia, deve chiedere troppo, deve autorizzare troppo e troppi e in questo perde i suoi.

E che dunque è assediato da una solitudine non psicologica (quella a un gesuita non fa né caldo né freddo) ma una solitudine istituzionale, generatasi dopo che il conflitto politico insanabile fra il Segretario di Stato Parolin e il sostituto Becciu è stato risolto togliendo a Becciu il suo ufficio, ma dandogli una porpora pesante.

La solitudine istituzionale del Papa s' è palesata in una sequenza di segnali che ne perimetrano la vastità.

Primo segnale, a marzo 2018 le dimissioni di don Dario Viganò: attratto nella trappola di una lettera firmata Ratzinger: al suo posto è andata una persona di valore come Paolo Ruffini, ma il segnale era dato. Poi è stata la volta a dicembre 2018 di monsignor Zanchetta, amico del papa e in funzione all' Apsa, colpito dalle accuse di molestie sessuali arrivate subito dopo l' avvio degli accertamenti sull' affare di Londra.

Quindi a ottobre scorso si è dimesso, col senso del dovere e dell' onore di un grande militare, Domenico Giani, il comandante della Gendarmeria: fermato mentre era all' opera, il che era un segnale.

Infine con il primo dicembre padre Fabian Pedacchio ha lasciato la funzione di segretario del Papa: carica invisibile, ma decisiva nel regolare l' accesso al pontefice. Segnali casuali? Potrebbero anche esserlo: ma non sono casuali gli effetti che ricadono tutti sul Papa. Francesco è oggi più afono: basti pensare alla condanna del possesso delle armi atomiche pronunciata dal Giappone, il cui peso geopolitico è stato immenso e la cui eco è stata nulla.

Francesco è più vulnerabile: perché le procedure di controllo tipiche degli Stati non fermano le operazioni opache né le fotocopiatrici degli investitori delusi né le tipografie che ricordano gli anni di Pecorelli.

Francesco è più solo, di una solitudine istituzionale: le persone che a Roma gli sono certo leali e vicine - direi almeno sei - possono confortare il peso esistenziale che essa genera, ma non annullarla; e possono solo vedere il cerchio dei vecchi avvoltoi. Ma non è più quello del 1960. Gli avvoltoi di oggi non sono vecchi.