In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». […] Matteo 11,2-11

per i social
Perché tentennano anche i profeti? Alla scuola del dubbio, tutti impariamo a purificare la qualità della fede, anche Giovanni il gigante.

Giovanni, la roccia che sfidava il vento del deserto, è colto dal dubbio, eppure Gesù non perde la stima immensa che ha per lui: “È il più grande!” I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito, ed è per me conforto: io dubito, e Dio continua a volermi bene. Dubito, e la sua fiducia resta intatta.

Perché tentennano anche i profeti? Alla scuola del dubbio, tutti impariamo a purificare la qualità della fede, e anche in Giovanni convivono un israelita che si affida al rabbi galileo e un giudeo che non si fida. Ma la perplessità non spegne la passione del profeta per il Messia: “devo attendere un altro?”. Se mi deludi, io continuerò a cercare; se non sei tu, io non mi arrendo, continuerò a sperare.

La risposta ai nostri dubbi è semplice: se l’incontro con Lui ha cambiato in me qualcosa, se ha prodotto gioia, coraggio, fiducia, generosità, bellezza del vivere, se vivo meglio, allora è lui quello che deve venire! Semplice come un racconto, umile come la risposta di Isaia (I lettura): coraggio, fatti forza; povera come quella di Giacomo (II lettura): abbi pazienza, come il contadino d’inverno.

I fatti che Gesù elenca non hanno trasformato la storia, eppure quei piccoli segni ci bastano per guardare al mondo come ad un malato che può guarire. Quelle sei opere sono l’utopia di un altro modo di essere uomini, ed è sempre l’utopia che fa la storia. Sono le mani di Dio impigliate nel folto della vita, sono il centro della morale cristiana, sono goccia di fuoco divino caduta dentro di noi, che non si spegne perché la fede è fatta di due cose: occhi che sanno vedere oltre l’inverno del presente, e la speranza laboriosa del contadino che crede: fino a che c’è fatica c’è speranza.

Beato chi non si scandalizza di me. Gesù portava, porta ancora scandalo! Scandalo della misericordia, un Dio che invece di bruciare i peccatori, come annunciava il Battista, siede a tavola con loro. Scandalo della piccolezza: non stava con la maggioranza, cambiava il volto di Dio e le regole del potere, metteva la persona prima della legge e il prossimo al mio pari. E tutto con poveri mezzi, di cui il più scandalosamente povero è stata la croce.

Non speriamo di ottenere risposte che tolgano ogni dubbio; ci vuole eroismo a resistere su questa linea così poco munita, a pazientare, a darsi coraggio, a guardare germogli. Avrei preferito una risposta solare, evidente, chiara. Beato però chi non cerca l’evidenza ma la speranza. Beato chi accetta la fede come sentiero.

Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici di fronte a tutti i mali del mondo, con la sua corte dei miracoli a crescergli attorno evocata dai sei nomi: ciechi storpi lebbrosi sordi morti poveri…
Il settimo nome, quello che manca perché l’elenco sia completo, è il mio.

per Avvenire
Sei tu, o ci siamo sbagliati? Giovanni, il profeta granitico, il più grande, non capisce (…)

leggi su Avvenire