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sabato 18 agosto 2018

La metafora del ponte spezzato e l’Africa


Abbiamo tagliato i ponti col Mediterraneo. Mare nostro, diventato un muro, mare tradito. Con i respingimenti, i divieti di sbarco, le operazioni di dissuasione e i campi di detenzione/concentramento di migranti gestiti e finanziati senza scrupoli, il ponte si è spezzato. Ed è quanto è accaduto a Genova col ponte Morandi. I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli. Il ponte tagliato sul torrente Polcevera è una metafora delle nostre separazioni. Non saranno le mere soluzioni tecniche a riabilitarlo e neppure la ricerca delle responsabilità penali. La tragedia di Genova, vista da Mauro Armanino, nato a Chiavari, diventato operaio metalmeccanico e sindacalista FLM a Casarza Ligure, e oggi missionario in Niger al servizio dei migranti

Il ponte di Eraclito. Magritte

La metafora del ponte spezzato e l’Africa
di Mauro Armanino*

Quando c’è un incidente, un incendio, una voragine sulla strada, un’inondazione che spazza via un quartiere, qui (a Niamey, ndr) la gente dice ‘Inch’Allah’. Era la volontà di Dio che tutto sa, può e governa. Una visione monista e fatalista che contiene la parte di verità che le si vuole affidare. Altrove nel mondo, invece, si creano commissioni, si fanno inchieste e si arriva infine ad un rapporto che evidenzia le responsabilità dell’accaduto. Legittimo e forse anche doveroso passo, soprattutto per ridurre le possibilità che quanto accaduto torni ad accadere, almeno nella stessa forma. A suo modo ognuno ha una parte di ragione: nella realtà c’è una parte di spiegabile e un’altra parte invece da interpretare.
Il dolore delle famiglie che hanno perduto in modo brutale i loro cari e le ferite di un’intera città sono quanto accumuna le letture che si faranno dell’accaduto. C’è la difficoltà ad accettare il perché di una morte arrivata sotto questa forma. Ogni morte, lo crediamo, è particolare. Le circostanze e il contesto ne definiscono il mistero e l’unicità. I fatti non parlano da soli e abbisognano di interpretazione. Ed è a questo punto che, pena il fermarsi allo sdegno o alle accuse, il ponte spezzato può presentarsi come una metafora della nostra società. Le prime reazioni ‘ufficiali’ all’avvenimento lo confermano. Si cercano altrove le cause senza tentare di leggere i ‘segni dei tempi’ che questo ponte spezzato può offrire. 
Siamo in un paese che ha spezzato i ponti all’interno e all’esterno di sè. All’interno anzitutto, contribuendo a dividere un Paese che non sa più bene cosa o chi tenga assieme. La divisione è confermata tra l’altro con le parole, vere sciabolate nel vuoto dell’anima, o le squallide ricuperazioni di parte. E poi con le scelte economiche e politiche che confermano l’accettazione di una sociètà che viaggia a diverse velocità e intensità. Divisioni interne che quelle esterne evidenziano. Lo smarrimento della memoria, profondamente innato col capitalismo e profetizzato, tra gli altri, da Pasolini, è da tempo una realtà. L’oblio dal dove si viene preclude il senso della destinazione del viaggio. Si è censurata l’esperienza del mondo contadino, operaio e soprattutto l’epopea delle migrazioni. Esterne anzitutto, coi milioni di connazionali partiti altrove a cercar fortuna e poi delle migrazioni interne, dal sud al nord della Penisola, dalla campagna alla città.


Abbiamo tagliato i ponti col Mediterraneo. Mare nostro, mare – muro, mare chiuso, mare armato e infine mare tradito. Con respingimenti, divieti di sbarco, operazioni di dissuasione tramite la guardia costiera libica e campi di detenzione/concentramento migranti gestiti e finanziati, il ponte si è spezzato. Ed è quanto è accaduto a Genova col ponte Morandi. I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli, tra la Costituzione del Paese e la realtà vissuta, tra il tradimento delle esperienze di solidarietà e la chiusura ermetica allo straniero. Il ponte tagliato sul torrente Polcevera è una metafora delle nostre separazioni. Non saranno le mere soluzioni tecniche a riabilitarlo e neppure la ricerca delle responsabilità penali. Il ponte da ricostruire è quello delle coscienze e dei legami da ristabilire con la propria storia e con l’altro.


* Mauro Armanino è nato a Chiavari nel 1952. È stato operaio e sindacalista della FLM a Casarza Ligure. Volontario in Costa d’Avorio, sostitutivo del servizio militare. Ordinato prete missionario presso la Società delle Missioni Africane di Genova, è stato cappellano dei giovani in Costa d’Avorio fino al 1990. Dopo alcuni anni a Cordoba in Argentina è andato in Liberia per sette anni, dove ha conosciuto la guerra e i campi di rifugiati. Al ritorno da questa esperienza, è rimasto nel centro storico di Genova coi migranti e come volontario nel carcere di Marassi per gli stranieri di origine africana. Ora è in Niger per un servizio ai migranti e nella formazione. Sono stati pubblicati alcuni suoi libri dalla EMI, l’editrice missionaria (Isabelle, 5 nomi per dire Liberia, La storia si fa coi piedi). Con l’editrice Gammarò di Sestri Levante è uscito il libro-tesi La storia perduta e ritrovata dei migranti, per Hermatena (Bologna) ha pubblicato La nave di sabbia. Migranti, pirati e cercatori nel Sahel, Nomi di vento, La città sommersa. Il mondo altro dei migranti… i minatori del mare.
(fonte: COMUNEINFO)