dalle missioni in Africa al rione Sanità di Napoli
Padre Alex Zanotelli non festeggia i compleanni, quindi l’unico regalo che si aspetta per i suoi 80 anni – il 26 agosto – è un «campo biblico», che non so cosa sia ma di sicuro non sembra una torta con le candeline. Dopo una vita trascorsa in Africa, dal 2004 fa il missionario al rione Sanità di Napoli, più noto per la camorra che per aver dato i natali a Totò. Il comboniano abita in un bugigattolo annesso al campanile della basilica di Santa Maria della Sanità, tre stanze di 6 metri quadrati, una sopra l’altra, collegate da una scala a chiocciola ripida e stretta. Non ha né tv né telefonino: a tenerlo in contatto con il mondo provvede Felicetta Parisi, una pediatra in pensione. «Il cellulare sarebbe utile, lo ammetto. Ma poi passi il tempo a parlare con chi non vedi. È la fine delle relazioni umane».
In più per costruirlo serve il coltan.
«Minerale insanguinato. In Congo la lotta per accaparrarselo ha ucciso almeno 4 milioni di persone. Ora è cominciata la guerra del cobalto, indispensabile per le batterie delle auto elettriche».
Dall’Africa al rione Sanità. Perché?
«Si combatte anche qui. Non c’è un asilo comunale, non c’è una scuola media, non c’è lo Stato. L’unico istituto superiore, l’alberghiero Caracciolo, l’anno scorso ha perso la metà degli allievi e nel primo biennio 74 su 100 sono stati bocciati. Siamo la più grande piazza d’Europa per lo spaccio di droga. I giovani entrano nelle paranze e si esercitano con le stese, sparatorie a scopo intimidatorio. Ragazzini dai 12 ai 15 anni ti attaccano di giorno armati di coltello, senza motivo, animati da una rabbia incontenibile. Stiamo assistendo a una violenza senza precedenti, dice Patrizia Esposito, presidente del tribunale per i minorenni».
Spaventoso.
«Ho pregato il comandante della polizia municipale: metta due vigili fissi alla Sanità, per dare un segno che la legalità non è morta. Sa che cosa mi ha risposto? “E vabbé, padre, ma lei deve promettermi che chiederà al comandante dell’Arma di mandare due carabinieri a proteggerli”».
Sembra una barzelletta.
«Qui i bambini pensano che chi si alza alle 7 per andare al lavoro sia uno sfigato, che l’onesto sia uno stupido, che la vita valga zero. Trent’anni di televisori sintonizzati tutto il giorno su Rete 4 e Canale 5 hanno distrutto ogni valore».
Mi perdoni, ma non capisco il nesso.
«Vedono fin da piccoli un tipo di vita che non potranno mai avere. Padre Ernesto Balducci mi raccontò che quando nel 1960 propose a don Lorenzo Milani di portare la televisione a Barbiana, fu sbattuto fuori dalla porta con queste parole: “La tv non puoi controllarla. Sarebbe come combattere la prostituzione infilando una prostituta nel letto di un uomo”».
E lei che infanzia ha avuto?
«Bella. A Livo, alta Val di Non, 150 anime includendo le galline. Mio padre era un antifascista. Gli squadristi gli spararono, ma scampò. Fino alla morte gli è rimasta nel braccio destro una pallottola. Sette figli. Io sono il primo. Si figuri lo smarrimento di un povero falegname quando gli dissi che volevo farmi prete, anziché aiutarlo a bottega».
A che età entrò in seminario?
«A 11 anni, dai comboniani a Trento. Ero uno zuccone. Mi mandarono a studiare teologia negli Stati Uniti, a Cincinnati. Fu uno choc: Babilonia affascina. Poi il primo incontro con l’Africa, in Sudan, a El Obeid».
Perché si fece prete?
«Se la vita la tieni per te, muori. Se la dai per gli altri, vivi. Ha ragione Eric Fromm: le nostre società sono necrofile, capaci solo di guardarsi l’ombelico».
Le manca Korogocho, la bidonville di Nairobi dove ha trascorso 11 anni?
«Molto. Nella capitale del Kenya 3 milioni di abitanti su 4 vivono di spazzatura in 200 baraccopoli. Era impensabile che io volessi stare in mezzo a loro. Korogocho significa caos. Appeni arrivi, perdi subito i 20 chili di sovrappeso degli occidentali. Ti salta la testa. Sei tentato di pensare che anche Dio sia solo una balla. Sono stato convertito dai miserabili».
Che cosa cercano gli africani che approdano in Italia?
«Fuggono dalla fame e dalle guerre. L’Europa non capisce che entro il 2050 avremo anche 250 milioni di rifugiati climatici, 50 milioni dalla sola Africa, che per tre quarti diventerà inabitabile a causa del riscaldamento globale».
Se lei fosse il ministro dell’Interno, come affronterebbe l’emergenza?
«Non terrei i disperati lontani dai porti: è contro le leggi del mare. Ma qui è la Ue stessa che si è chiusa, la Germania per prima. L’Onu ha riconosciuto 65 milioni di rifugiati. L’86 per cento di loro ha trovato riparo nel Sud del mondo. È mai possibile che il restante 14 per cento metta in crisi l’Europa? Questo è egoismo retto a sistema. Il Libano ha 6 milioni di abitanti e ha accolto 1,5 milioni di siriani fuggiti dalla guerra. Ebbene, nel 2017 in Italia sono arrivati 130.119 profughi. Mi rivolgo agli industriali: gli italiani non fanno figli, vi serviranno ogni anno 250.000 nuovi lavoratori. Chi piegherà la schiena nelle concerie vicentine?».
Lei ha invocato la disobbedienza civile contro il governo, citando il pastore luterano Kaj Munk, ucciso nel 1944, che disse: «Quello che a noi manca è una santa collera!». Gli italiani non sembrano in collera con Matteo Salvini.
«No, non lo sono. È uscito fuori il nostro razzismo. Se io chiedo soldi per le adozioni a distanza, ne raccolgo a palate. Ma per quelle ravvicinate, nulla. Mi meraviglio che i vescovi non abbiamo mai stilato un documento sulla Lega. “Avevo fame, avevo sete, ero forestiero...”. Il giudizio finale sarà su questo».
Porte aperte, anzi porti, alle Ong?
«Salvano vite. Bloccarle è da criminali. L’Italia è sotto accusa davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia per la violazione dei diritti dei migranti. Come si fa ad abbandonarli in Libia? I libici non si sentono africani. I neri li considerano abids, schiavi. Li massacrano».
Però nella prefazione del libro «L’industria della carità» lei scrisse di avere l’impressione che le Ong servissero «più a noi che non agli impoveriti».
«Confermo. Le organizzazioni umanitarie dell’Onu bruciano l’80 per cento delle risorse per il loro mantenimento. Il personale dell’Alto commissariato per i rifugiati sverna in hotel di lusso accanto ai campi profughi. Gli otto uomini più ricchi del pianeta, con in testa Jeff Bezos di Amazon, posseggono quanto 3,6 miliardi di poveri e fanno tanta carità, a condizione che non si tocchi il sistema».
So di un privato che intasca 3,5 milioni l’anno, netti ed esentasse, ospitando i richiedenti asilo in edifici fatiscenti.
«Contesto questo tipo di accoglienza. È un business. Come quello degli hotel decrepiti riaperti per loro a Napoli».
Chi le tolse la direzione di «Nigrizia»?
«Il Vaticano, dietro pressioni di Andreotti, Craxi e soprattutto Spadolini, ministro della Difesa. Il motivo scatenante fu lo scandalo sulla cooperazione italiana in Africa. Flaminio Piccoli, presidente della Dc, mi ricoprì d’insulti al telefono: “Mai avrei pensato d’essere pugnalato alle spalle da un mio conterraneo”».
L’hanno definita manicheo, antiamericano, diffidente, pauperista e semplicistico, che è sempre meglio di semplicione. Si riconosce?
«Manicheo neanche nei tacchi. Anti Usa lo accetto: ho visto che cosa ha fatto in Africa il sogno americano. Pauperista e semplice sì, me lo chiede il Vangelo».
«Il Foglio» l’ha anche qualificata come «missionario presbiteriano»?
«La prima che sento. Che significa? Non seguo molto i giornali. Verso sera ascolto solo Radio 24, l’emittente del nemico».
«La Zanzara» di Giuseppe Cruciani?
«No, per carità. M’interessano i focus sulle dinamiche della finanza».
Quanto spende per campare?
«La mia pensione di anzianità va ai comboniani. Vivo di offerte».
Vota?
«Sì, e non mi chieda per chi. Ogni volta è una sofferenza indicibile».
Che cosa pensa del M5S?
«È un grande guazzabuglio. Deve decidere da che parte stare. Tra Roberto Fico e Luigi Di Maio c’è un abisso. Il primo è cresciuto con noi».
Beppe Grillo ha detto che Walter Veltroni ha capito che cos’è l’Africa dopo essere venuto a trovarla a Korogocho.
«Veltroni è un uomo onesto, a volte ingenuo come politico. Nella baraccopoli pianse».
Però quando lei lo supplicò di cancellare la Coca-Cola dagli sponsor del Comune di Roma, non la accontentò.
«È vero. Queste sono le scelte concrete. In Campania stiamo lottando per l’acqua pubblica. Ho incontrato Luca Lanzalone, il manager messo dai 5 Stelle alla presidenza dell’Acea, partner della Gori, che gestisce gli acquedotti vesuviani. Mamma mia! Un uomo così sprezzante... Mi rivolgerò a Virginia Raggi, gli ho detto. E lui: “Il sindaco non conta nulla, decido io”».
Adesso mi parli di Dio, padre Alex.
«Karl Marx si sbagliava, la religione non è l’oppio dei popoli. Senza spiritualità, non resta nulla. Dio è profondamente radicato nei poveri. Ma non è il Dio tappabuchi di noi occidentali. È il Dio di Florence».
Chi è Florence?
«Una ragazza bellissima di Korogocho, prostituta a 11 anni, morta di Aids a 17, abbandonata anche dalla madre. Era in agonia. Accorsi di notte nella sua baracca. Non c’era la luce, non la vedevo. Pregava così: “Mungu mi mama”, Dio è mamma. Allora le chiesi che volto avesse l’Altissimo. Restò in silenzio per cinque minuti. Alla fine esalò: “Alex, sono io il volto di Dio”».
Zanotelli, un magnifico ottantenne dalla parte del torto
Auguri. In occasione dei suoi 80 anni, una cosa va riconosciuta al comboniano: la sua visione profetica si alimenta dell’attualità presente e della conoscenza storica. Quando diceva che ciò che accade nelle periferie del mondo sarebbe inevitabilmente accaduto anche ai confini delle civiltà ricche, vedeva ciò che adesso accade in Europa
Per festeggiare gli 80 anni di Alex Zanotelli voglio partire da un ricordo personale: quando, nel lontanissimo 2007, eravamo a Nairobi per il Forum Sociale Mondiale, la prima tappa della grande manifestazione inziale transitò per Korogocho, la bidonville dove aveva vissuto per oltre un decennio tra quei «dannati della terra», come avrebbe detto Frantz Fanon, che allora, come ora, rappresentavano in realtà l’avanguardia di un mondo che si andava tragicamente polarizzando tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.
Già allora la sua riflessione politica, e non solo pastorale, verteva sul fatto che è nelle periferie del vasto e globalizzato impero liberista che vanno cercati e compresi, non solo gli effetti più disumani di questo sistema, ma anche le dinamiche antropologiche di formazione dei suoi anticorpi, la possibilità, in altre parole, che in queste situazioni nascano i germi di un nuovo umanesimo, le modalità valoriali che sostengono, animano e costruiscono, le fondamenta di un sistema-Mondo liberato da quella cappa di oppressione e disuguaglianze che oggi lo avvolge e ci avvolge tutti.
Allora Alex non era più in Kenya, era tornato in Italia, ma la memoria della sua presenza, dei suoi gesti, ma soprattutto della capacità di ascolto politico, oltre che umano, era vivissima ed informava ancora di sé i tanti gruppi autorganizzati che si muovevano per migliorare le condizioni della bidonville: malati di Aids, bambini con famiglie in povertà estrema, gruppi per la gestione delle risorse idriche, tutti avevano avuto da Alex un supporto, uno scambio, un gesto di empatia.
Sono passati tanti anni da allora, certo si è chiusa una fase, durata oltre un decennio, in cui il Movimento Sociale Mondiale sembrava poter dialogare con il potere politico in modo costruttivo e paritario, costituirsi in opinione pubblica globale proponendo le sue priorità in tema di Diritti umani ed ambientali, di democrazia economica sociale e culturale, di parità di genere e rispetto delle diversità culturali, di Beni Comuni.
Ma una cosa va riconosciuta ad Alex Zanotelli ora come allora: la sua visione profetica che, come tutte le visioni del futuro, si alimenta dell’attualità presente e della conoscenza storica, ma anche della forza dei simboli.
Quando diceva che ciò che accade nelle periferie del Mondo prima o poi sarebbe inevitabilmente accaduto anche nei confini delle civiltà ricche e apparentemente stabili delle nazioni industrializzate, vedeva ciò che adesso accade in Europa e non solo.
Quando fu uno tra i primi ad ammantarsi della bandiera della Pace durante la guerra di Bosnia, esprimeva simbolicamente una posizione radicale contro ogni conflitto che mette una parte dell’umanità contro un’altra, ma anche l’umanità contro il Mondo che lo ospita.
Oggi Zanotelli è in prima linea nella difesa dei diritti umani legati alle migrazioni. Le crepe aperte nella solidarietà continentale dalla gestione tirannica ed ideologica dei corpi migranti, il disconoscimento delle radici fondanti del patto Europeo attraverso la palese violazione delle Convenzioni internazionali, europee e nazionali sui Diritti dei migranti da parte delle forze populiste e sovraniste, xenofobe e razziste, ci pongono dinanzi ad uno scenario che aveva denunciato sin dai tempi di Nairobi.
Per questo l’accoglienza è un diritto ed un dovere, nei confronti di chi ce la chiede ma anche di noi stessi, di un Mondo a misura di ospitare la Vita e non qualche vita. E allora, Alex, voglio augurarti anche a nome de il manifesto una sola cosa: che tu possa ancora a lungo ed in salute stare seduto dalla parte del torto.
«Il Trentino ha perso la sua anima»
«Salvini? Non basterà il razzismo a liberarci da chi ha fame»
Padre Alex, domenica prossima tu compi 80 anni: che bilancio ti senti di fare della tua vita?
Sono contento. Contento di essermi giocato la vita per gli emarginati, i più poveri, quelli che non contano, memore delle parole di Gesù: se la vita la tieni per te, sei morto. Se sei capace di giocartela per gli altri, allora vivi. Su questo insegnamento di Gesù ho impostato la mia vita. E a 80 anni mi sento quindi più vivo che mai.
Hai rimpianti? Qualcosa che avresti voluto fare, e non sei riuscito a fare?
Tantissime sono le cose che avrei voluto fare, e non ho fatto. Ma la vita non si vive per fare delle cose. La si spende per una causa giusta: per gli altri.
Ti sei mai pentito di qualche scelta fatta?
No. Da tante battaglie sono uscito sconfitto, ma seppur se ne esce sconfitti quando si è voce di minoranza, non mi sono mai pentito delle scelte che ho portato avanti, e delle strade che ho imboccato.
Qual è la sconfitta che senti più pesante?
Non aver vinto la battaglia a favore dei più poveri. Tutt’oggi facciamo parte di un sistema che permette a otto uomini più ricchi al mondo di avere tanto quanto i tre miliardi e 600 milioni di persone più povere di questo mondo. Le statistiche dei summit di Davos affermano che un 1% della popolazione mondiale dispone di più ricchezze del restante 99%. Ho speso la mia vita per gli emarginati, e non sono riuscito a scalfire minimamente le coscienze.
Questa è per me una sconfitta pesante.
Qual è stata la figura più importante della tua vita?
Mio padre. Eravamo sette fratelli e sorelle e ci diceva: figli miei, camminate sempre a testa alta. Io lo posso fare perché non l’ho mai piegata di fronte a nessuno. Era antifascista, e gli squadristi gli spararono, ma riuscì a scappare. Fino alla morte gli è rimasta una pallottola nel braccio destro. E poi mia madre, l’altra figura fondamentale della mia vita. Il suo esempio ha inciso in me nel profondo.
Tra le persone che hai incontrato sul tuo cammino, chi ricordi?
Noi tutti siamo le persone che incontriamo, io sono stato profondamente influenzato da grandi testimoni. Martin Luther King, per esempio, nei miei anni di studi negli Stati Uniti. Poi Desmond Tutu, nella lotta contro l’apartheid. O in America Latina figure come il vescovo di Recife Helder Camara.
Padre Alex, perché ti sei fatto prete?
Fin da quando ero ragazzino a Livo, in val di Non, sentivo che la vita è bella se la si dona per qualcosa di grande. Poi un giorno, è passato da Livo un missionario comboniano che mi ha detto: perché non vieni anche tu in Africa? E da lì è partita la mia avventura con Comboni. Gli anni di formazione li ho fatti a Trento, in via Missioni Africane 17, dove oggi c’è la sede dell’Adige.
Il Trentino di 80 anni fa, quando sei nato, oggi non esiste più. Non c’è più quasi nessuno che pensa di farsi missionario, e di spendere la propria vita in Africa per gli emarginati. Le chiese sono vuote, i preti vecchi e stanchi.
Il cuore del problema è il vuoto umano, prima che cristiano. Quando io ero bambino a Livo, sentivo che c’era una comunità. Eravamo tutti poveri, ma quando una famiglia perdeva una mucca, tutti nel paese ne prendevano un pezzo per aiutare quei malcapitati. C’era una solidarietà sociale, che era il terreno su cui è nata la cooperazione (che oggi ha preso altre strade). Oggi giro per le nostre valli trentine, per i miei paesi, e non trovo più comunità.
Cosa è successo?
Credo, purtroppo, che il Trentino abbia perso la sua anima. Un tempo la sera nei nostri paesi vedevi gente in piazza, insieme, a parlare. Bambini che giocavano per strada. Oggi giro e non vedo nessuno. Tutti chiusi nelle case da soli o davanti al televisore. Se viene meno l’anima umana di una comunità, crolla anche quella cristiana. E l’Europa oggi è pagana. Credo sia tempo di fare missione in Europa. Anche la Chiesa deve farsi un profondo esame di coscienza di ciò che ha fatto, e di ciò che non ha fatto.
Qualche valore positivo ci sarà ancora, nelle nostre vallate!
Sì, c’è ancora grande generosità della gente. E questo è molto positivo. Ma mi capita di vedere che si è generosi quando si parla di adozioni a distanza, un po’ meno quando c’è bisogno di accogliere i nostri fratelli rifugiati e profughi. Allora, in molti casi, la generosità e l’accoglienza vengono meno.
Secondo te, c’è ancora fede nelle nostre comunità?
Io sono andato con questo dubbio a Korogocho. Quasi quasi stavo per dar ragione a Marx, sulla religione come oppio dei popoli. In Africa i poveri mi hanno convertito: la loro fede era di gran lunga più grande della mia. In loro c’era la forza della vita, e siccome io credo in un Dio, che è il Dio della vita, questo slancio vitale è la vita, che qui da noi in tanti hanno perso.
Ma la religione serve ancora?
Mai come oggi l’Occidente ha bisogno della religione, cioè di Dio. Se non si mostra loro il volto di Dio, ripiegheranno su dei surrogati. L’uomo è certo un animale politico ed economico, ma è soprattutto un animale religioso. Cerca un senso alle cose.
Se c’è questo bisogno religioso, perché la Chiesa non riesce a rispondervi?
La Chiesa in Occidente è diventata parte del sistema: questo è il problema. Guardiamo a cosa succede in Polonia dove, rosario in mano, si cerca di respingere ai confini chi bussa per fame alla porta dell’accoglienza. Si è sposato il sistema, che quindi usa la Chiesa. Verranno a convertirci dal Sud del mondo.
Padre Alex, tu hai paura della morte?
(Qualche attimo di silenzio...) No, mi sento tranquillo. Ho talmente amato la vita, giocandomela per gli altri, che sento che sono vivo, anche se ho 80 anni.
Come te lo immagini l’Aldilà?
Io credo nel Dio della vita, e so che quello che mi attende è questo.
Padre Alex, alle ultime elezioni del 4 marzo il primo partito del Trentino e della tua valle di Non è stata la Lega di Matteo Salvini. Ti ha colpito?
Io dico come la penso: mi vergogno dei miei paesi che hanno votato Salvini. A Livo più del 50% ha votato Lega. Vuol dire che si è sposato il Vangelo dell’odio. Non si può mettere assieme il Vangelo di Gesù e quello dell’odio: o uno o l’altro.
Esiste ancora profezia, secondo te, nella Chiesa trentina?
No, per me in questo momento la nostra Chiesa è una Chiesa spenta. Tutta la ricchezza straordinaria che avevamo, di pensiero, di testimoni, di figure illuminanti, mi sembra perduta. Incontro preti che sono brave persone, ma non vedo nei loro occhi la speranza. E se la Chiesa non è profetica, non esiste.
È per questo che incide poco o nulla, la Chiesa, nella cultura politica e civile italiana?
Purtroppo - e qui papa Francesco ha messo il dito nella piaga - si mostra tutta l’incapacità di coniugare fede e vita. Facciamo culto, facciamo messe, ma che non hanno nulla a che fare con la vita concreta. Allora non è esperienza di Dio, è intimismo religioso.
Cosa ne pensi del governo 5Stelle-Lega?
Il governo 5Stelle-Lega è solo il governo di Salvini. È lui la stella brillante. È lui che detta la politica, specie quella estera. Io conoscevo bene Beppe Grillo e glielo dissi quando decise di buttarsi in politica: non è la via giusta. Da allora ho reciso i ponti con lui. Oggi la politica dei 5Stelle è solo campagna elettorale continua, non sono capaci - e non lo sono mai stati - di governare. Non sanno avere le mani in pasta dentro i problemi. Il passaggio che abbiamo avuto nella politica italiana dalla Dc e dal Pci a questi di oggi è incredibile: quelli avevano una cultura politica e una preparazione, e personale politico. Avranno fatto i loro sbagli, ma non avevano la presunzione di venire dal niente e avere la bacchetta magica per risolvere tutto da soli, in un mondo così complesso. La verità la si cerca, la si cerca insieme. Non si presume di saperla e di imporla agli altri.
Padre Alex, otto anni trascorsi in Sudan, undici in Kenya: ti manca l’Africa?
Moltissimo. L’umanità che hanno i poveri, qui non sappiamo nemmeno cosa sia. Per questo ho deciso di venire a Napoli, in Italia, nel rione Sanità: perché la missione è qui. Dal lato umano l’Africa mi manca profondamente. I poveri sono capaci di esprimerti, anche con i gesti, il loro sostegno. Qui da noi ognuno pensa e vive per sé. È una società consumista che ci ha ridotti a merci.
Ma si diventa missionari in seminario o in Africa?
Solo quando si ha lo stesso odore dei poveri, si possono capire i poveri. Un giorno a Korogocho arrivò un giornalista dall’Italia per intervistarmi. Scrisse: padre Zanotelli puzza. È vero, puzzavo. Ma solo se vivi da dentro la povertà vivi la missione. La fai, vivendola.
Di fronte a tale miseria, ti sei mai chiesto: Dio, dove sei?
Tantissime volte me lo sono chiesto. È stata la tentazione più grossa che ho avuto. Per me era inconcepibile vedere tanta sofferenza. La risposta me l’hanno data i poveri: sono stati loro a convertirmi, a trasmettermi un’altra idea di Dio, non quello tappabuchi a cui pensavo io, che risolve i problemini. I poveri mi hanno rivelato un’immagine diversa di Dio. Come Florence, prostituta a 11 anni per volontà della mamma, che è morta poi a 17 per Aids. Le chiedevo: chi è Dio per te. E lei: Dio è mamma. Le dicevo: per te che volto ha Dio? Lei mi rispondeva: sono io il volto di Dio. E il suo volto era pieno di piaghe e di devastazione. Ecco cosa mi ha insegnato quella ragazza: Dio agisce per mezzo di noi. Dio piange quando vede la sofferenza di questi disastri, e chiede a noi di agire.
Padre Alex, tu vivi da 14 anni a Napoli tra delinquenza e spaccio di droga. La situazione è peggiorata in questi anni: come fai a parlare di speranza?
La speranza nasce da noi, se noi riusciamo a cambiare. Cominciando dalle periferie. Io mi batto perché a Napoli ci siano scuole, aperte dal mattino alla sera. Solo così si può vincere lo spaccio in una metropoli che è il più grande mercato della droga d’Europa.
Hai parlato di fede e di speranza. Lasciami una domanda sulla carità. Ho letto un tuo scritto nel libro «L’industria della carità», in cui dicevi che «le Ong servono più a noi che agli impoveriti». Sei in piena sintonia con Salvini...
Direi proprio di no. Il libro è stato scritto qualche anno fa. Io le Ong le ho conosciute bene. Ci sono organizzazioni come l’Onu che spendono l’80% di ciò che raccolgono per mantenersi. Ci sono tante Ong che sono solo funzionali a se stesse. Io questo stigmatizzo delle Ong. Non il fatto che salvano dei disperati in mare, cosa che invece fa tanto arrabbiare Salvini. Lui gioca sulla pelle degli altri. L’unica cosa che condivido con la Lega è che tutta l’Europa è responsabile di questo, e deve darsi da fare per salvare vite umane e accogliere questi migranti.
Padre Alex, perché in Italia è rinato il razzismo?
Quando ho iniziato a fare il missionario, io sono partito per convertire, e sono stato invece convertito. Bisogna mettersi continuamente in discussione, a livello personale, di idee, di atteggiamento verso l’altro. Il razzismo nasce dalla presunzione di superiorità.
Non è che il razzismo è rinato per paura della globalizzazione e per l’insicurezza economica, oltre al fatto che ci sono partiti e leader che prosperano elettoralmente soffiando sul fuoco delle paure?
È vero, c’è anche questo: abbiamo paura di perdere il nostro benessere. Ma se il nostro benessere è fatto sulla pelle degli altri, lo possiamo accettare? Se è fatto sulla pelle del pianeta, lo possiamo accettare? Se non capiamo che stiamo mettendo seriamente in pericolo il mondo, la vita, perché abbiamo perso il senso del limite, non basterà il razzismo a salvarci. Dobbiamo toglierci dalla testa l’idea che noi siamo Dio, e che nessuno ci deve toccare ciò che riteniamo nostro. Come si può possedere, se nel mondo in questo momento mentre stiamo parlando c’è chi non ha il minimo per sopravvivere e per una dignità umana?
Padre Alex, tu come ti definiresti? Un pauperista, un radicale, un fondamentalista, un prete di santa romana Chiesa?
Semplicemente un povero discepolo di quel povero Gesù di Nazareth
Secondo te, nell’epoca di facebook e dei «mi piace» su ogni stupidaggine che qualcuno spara, è possibile ancora concepire una «cultura del noi», o ormai esiste soltanto l’apoteosi dell’«io», esaltato dal narcisismo digitale?
La cultura dell’«io» sta distruggendo l’uomo. Ma non possiamo rassegnarci a questo. Dobbiamo fermarci prima di sprofondare nell’abisso. Se invece proseguiremo in tale «cultura di morte», non ci sarà futuro per tutti noi. Nemmeno per il pianeta, come ci ricorda papa Francesco nella «Laudato Sii». È tempo di ricostruire una «civiltà dello stare bene», riscoprire la capacità di volersi bene, di darci una mano reciprocamente. È quella che Paolo VI chiamava «la civiltà dell’amore».
Cosa ne pensi dei social? A volte sembra l’antilingua di cui parlava George Orwell in 1984: si chiamano social, e sono quanto di più antisociale ci possa essere.
A dir la verità è una domanda che andrebbe posta a qualcun altro, perché io i social non li uso, e sono totalmente al di fuori di tali meccanismi. Per me vale più una chiacchierata insieme all’altro, guardandosi nel volto, che tutto questo parlarsi addosso inutile su facebook. Io non voglio demonizzare nulla, ma di ogni cosa dobbiamo sempre domandarci: serve a darci e a trasmettere più umanità, o ci toglie umanità?
Una curiosità: sono passati 40 anni da quando sei stato nominato direttore di Nigrizia nel 1978. Come andò a finire veramente quella volta che ti hanno rimosso? La Chiesa ti difese?
Avevamo scritto degli editoriali che non sono piaciuti. Uno l’avevo titolato «Il volto italiano della fame africana». Ponevo delle domande sulla legge che fu finanziata a metà anni Ottanta «per debellare la fame nel mondo», con una montagna di soldi da spendere. Erano 1900 miliardi delle vecchie lire. Ci chiedevamo se venivano utilizzati per colmare la fame dei poveri, o invece la fame di coloro che gestivano quei miliardi. È venuto fuori il putiferio. Flaminio Piccoli mi fece una telefonata terribile, mi ricoprì di insulti, mi disse che da un trentino, da un suo conterraneo, non si sarebbe mai aspettato una pugnalata del genere. E sbattè giù il telefono. Poi si mossero Craxi, Spadolini, Andreotti. Noi, invece, andammo avanti, con i «Beati i costruttori di pace», con l’appello firmato dai vescovi del Triveneto di allora. Non l’avessimo mai fatto. Dal governo arrivarono pressioni fortissime in Vaticano. I comboniani mi difesero, il superiore generale respinse le mie dimissioni. Ma quando scrissi che c’era la mano dei socialisti in tutta quella gestione dei fondi, e il rischio era di sperperarli, la reazione fu violenta. Avevamo scritto anche del commercio italiano di armi, e come il nostro Paese prosperava sulla morte di tanti innocenti. Né più né meno che la verità scrivemmo, ma si scatenò la fine del mondo. Il Corriere della Sera e il Giornale lanciarono una campagna di stampa contro di noi, sostenendo che mettevamo a rischio la sicurezza dell’Italia con quelle denunce. Spadolini fece comperare pagine sui grandi giornali nazionali per attaccarci. La goccia che ha fatto traboccare il vaso fu quando scrivemmo un altro editoriale dal titolo: «Date a Cesare quel che è di Cesare....». Dal governo tornarono alla carica in Vaticano. Fui convocato a Roma, e mi dissero: qui l’hai fatta proprio grossa, non possiamo più difenderti. Devi dimetterti da direttore. I comboniani provarono a difendermi ancora, inutilmente. Dovetti rassegnare le dimissioni».
Padre Alex, secondo te per l’Africa ci sarà futuro? Cina, India, Russia stanno acquisendo terre e possedimenti, investendo enormi capitali. Cosa ne pensi?
È vero, continua la depredazione. In più c’è il problema enorme dei cambiamenti climatici, e avanza la desertificazione. In Europa non capiamo che entro il 2050 avremo 250 milioni di rifugiati climatici, 50 milioni dalla sola Africa, che per tre quarti diventerà inabitabile a causa del riscaldamento globale. Non lo dico io, lo dicono gli scienziati, e i rapporti ufficiali delle Nazioni Unite. Alla fine del secolo ci sarà un aumento della temperatura di tre gradi e mezzo, se siamo fortunati. Altrimenti l’aumento sarà di cinque gradi. E in Africa si arriverebbe a più 8 gradi, rispetto ad oggi.
Che politiche occorrerebbero per l’Africa, secondo te?
Aiutarli a casa loro.
Lo dice anche Salvini, la pensi come lui.
No, io dico aiutarli davvero a casa loro. I nostri governanti in Africa ci vanno solo per trattare il commercio di gas e di petrolio, non per conoscere e capire quali sono i bisogni dell’Africa. Nel frattempo stiamo vendendo armi a tutti, in barba alla legge 185. Dieci miliardi di euro in armi sono lo scorso anno abbiamo commerciato. Come si fa in questo modo ad aiutare gli africani a casa loro? Fornendo loro le armi per uccidersi? E poi ci domandiamo come mai scappano e arrivano sulle nostre coste!
Domenica compi 80 anni: come lo festeggi il compleanno?
Lo festeggerò con i giovani del quartiere Sanità di Napoli. Facciamo un campo biblico. La speranza viene da loro. Ci sono ancora tantissimi bravi giovani in questo Paese.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Pensi di restare a Napoli per sempre? Tornerai a trascorrere la tua vecchiaia in Trentino, a Livo? O sogni ancora di tornare in Africa, come il tuo confratello comboniano padre Mariano Prandi, che a 75 anni è di nuovo in partenza per il Congo?
No, no, non torno a Livo certamente. Sono tentato di chiedere ai miei superiori di lasciarmi partire di nuovo per l’Africa. È il mio sogno. Anche se so che la priorità della missione è qui, nelle periferie delle nostre città, per testimoniare un modo diverso di vivere e di costruire il domani. Per dare speranza.
Vuoi dire qualcosa ancora ai trentini?
Dico loro: sono orgoglioso di essere trentino, amo la mia terra. Ma la mia preghiera che rivolgo a tutti i trentini è questa: ritornate ai valori grandi che hanno fatto grande la nostra terra, quelli che mi hanno fatto sognare da bambino, il senso dello stare insieme, del lavorare insieme, di volersi bene, di sentire che siamo un’unica umanità. Allora noi trentini vivremo la felicità.