RISVEGLIARE
SENZA ULTERIORI INDUGI
LE COSCIENZE
di Antonio Sciortino
Quelle leggi hanno ottant’anni. Ma la storia sembra non aver insegnato nulla. Passata invano. S’è perduta la memoria di una delle più vergognose pagine della storia d’Italia. Pagina infame, scritta da Mussolini e controfirmata da Vittorio Emanuele III. Quel re sabaudo la cui salma, l’anno scorso, è tornata in Italia. E che gli eredi, con qualche nostalgico monarchico, volevano nel Pantheon di Roma. Assieme ai grandi della nazione. Porte sbarrate, giustamente, hanno invocato gli ebrei. E non i soli. A ricordo delle discriminazioni, rastrellamenti e deportazioni nei lager nazisti. Grazie alle “leggi per la difesa della razza”, varate il 5 settembre 1938. Poche, oggi, le voci che si levano per risvegliare le coscienze anestetizzate. E per mettere in guardia dal pericolo del razzismo. Di ritorno. Avvolto da una generale indifferenza. E avallato dal continuo sminuirne gesti e parole. Che sono e restano esecrabili. Come la “tutela della razza bianca” dall’arrivo degli immigrati. Non una frase infelice. O un semplice “lapsus”, in campagna elettorale, di chi ora governa la più importante regione d’Italia. Ma parole razziste e farneticanti. Meritevoli di una pesante squalifica. E di espulsione dalla scena politica. Che non è avvenuta. Anzi! «È concepibile, nel 2018», s’è chiesto il responsabile della comunità ebraica di Roma, «dover ribadire agli ignoranti che non esiste una razza bianca da difendere, a ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali?». Ma l’humus che alimenta tanta vergogna, purtroppo, è in crescita. E si carica di odio razziale. Incivile e sprezzante. Come quello degli ultras laziali. Non hanno avuto alcuna remora a invadere di volantini le tribune dei romanisti, con la foto di Anna Frank in maglietta giallorossa. Evocando la stessa fine della giovane ebrea, in un lager, ai loro acerrimi avversari sportivi. Una vera dissacrazione della memoria. A qualificarla mancano le parole. Tanto è squallida. Quasi subumana. Senza un briciolo di pietà. E di rispetto.
È la cultura del nulla. Dell’abbrutimento totale. Una regressione umana e civile, di cui preoccuparci. E tanto. Sotto la spinta di un vento autoritario e xenofobo che soffia per l’Europa, mietendo consensi in crescita. E che lambisce anche settori di Chiesa. Forse, ultratradizionalisti. Ma non solo. Quegli stessi che rimproverano a papa Francesco parole e gesti a favore degli immigrati. «Sta esagerando», «è troppo!», dicono. Quasi a mettere un limite al Vangelo. O a sconfessarne parole come «ero forestiero e mi avete accolto». Preoccupazione raccolta da monsignor Nunzio Galantino, a fronte di un’intimidazione, a Como, contro volontari che assistevano i migranti. «Non concordo con chi minimizza questa deriva», ha detto, «giustificando sempre tutto, compreso il razzismo. Dovremmo imparare a chiamare per nome le cose».
Deriva pericolosa. Scricchiola la democrazia, se i poteri dello Stato si confondono. O, peggio, si contrappongono. Eliminando quel giusto equilibrio, che garantisce tutti. Nel rispetto della Costituzione. Le politiche della paura generano pregiudizi. E se l’ignoranza è il collante, il futuro è davvero fosco. Ancor più tetro con una cattiva informazione, che intorbida le acque. Avvelenando i pozzi della verità. Gli sbarchi sono in calo dell’80 per cento, ma i giornali enfatizzano l’invasione. Gli omicidi diminuiscono, ma si invoca una legge più permissiva per il possesso di un’arma. “Via lo straniero, via i problemi degli italiani”, pensano in molti. Così, si chiudono i porti. Ma i problemi reali restano. Anzi, si aggravano per l’incompetenza. E 1′inconcludenza politica, che tanto attivismo fatica a nascondere. Anche se appaga umori generali. Preghiere e “digiuno di giustizia”, di preti e suore a Montecitorio, sono una giusta protesta. Forse, è solo l’inizio. Ma non basta a salvarci da questa “bancarotta di umanità”. È tempo di “disobbedienza civile”. Senza indugi.
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