SENZA MISTICA
LA POLITICA MUORE
di Maria Pia Baccari
Raccontare in poche battute i tratti salienti della vita di Giorgio La Pira è compito arduo: studioso, romanista, membro dell’Assemblea costituente, sindaco di Firenze, “uomo di governo, pubblico amministratore locale, forma una personalità monolitica, che ha il suo fulcro in una profonda carica mistico-religiosa […] La Pira sindaco non rientra nei normali schemi amministrativi; egli stesso dichiara che la legge in virtù della quale amministra è quella del Vangelo e del diritto romano [..]” (così scriveva nel 1963 G. Grosso, La Pira Giorgio, in Novissimo Digesto Italiano, IX).
Nei giorni scorsi è giunta la notizia che il Papa ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante le “virtù eroiche” del politico nato a Pozzallo: un passo avanti verso il processo di beatificazione. Forse l’aspetto sul quale riflettere è: come può un giurista, uomo politico del ‘900 salire agli onori degli altari? La risposta è nel fatto che tutta l’azione di La Pira è impregnata dall’orazione.
La Pira trascorreva ore, anche della notte, in preghiera, davanti al Santissimo. Nel 1936 fu accolto a Firenze nella comunità domenicana di san Marco dove viveva, nella cella 6. Grazie a dispensa papale (1928) poté essere terziario domenicano (1925) e terziario francescano. Il modo migliore per comprendere Giorgio La Pira romanista e riflettere sulla santità della Sua esistenza è quello di descrivere la vita utilizzando il suo pensiero e, in particolare, la prima pagina della copia dei Digesta di Giustiniano dove sono presenti molteplici note autobiografiche che indicano i momenti salienti, a partire da “Anno 1924” “Con la mente più chiara/e l’anima più aperta/ in attesa di un venire cui la speranza non ha mai cessato di/ tendere e la Fede mai cessato di sollevare/ E sempre con umiltà/ A 20 anni – epoca di luce e inizio di Unione col Maestro” fino all’ultima annotazione del 2 febbraio 1974, ultimo anno dell’insegnamento universitario.
L’analisi delle note autobiografiche, ricche di citazioni bibliche e di pensieri umili e devoti, con riferimenti a feste religiose, ad esempio l’8 dicembre 1954 [Immacolata: trenta anni dopo], con un richiamo alla conversione religiosa del 1924, conferma l’intuizione di Giuseppe Grosso: è evidente l’inscindibilità dei vari aspetti del pensiero e dell’azione, siano essi di scienza giuridica, di politica, di religione.
Le note sono scritte con una grafia “complessa” da decifrare, e sono onorata di avere passato diversi giorni (quando ero assistente di diritto romano alla Sapienza) per leggere e comprendere quanto scritto (vedi la trascrizione delle note in Index, 23,1995). Delle venticinque note autobiografiche ben quattro fanno riferimento al beato Contardo Ferrini, professore di diritto romano a Pavia, al quale Giorgio La Pira dedica il volume La successione ereditaria intestata e contro il testamento (1930): “A Contardo Ferrini che per tutte le vie mi ricondusse alla casa del Padre”. Le date sono: 10 luglio 1926; 17 ottobre 1927; 29 aprile 1930; 8 febbraio 1931. Per comprendere l’incisività di Ferrini e del diritto romano nella vita di La Pira trascrivo l’annotazione alla data del 17 ottobre 1927: “Nel 25° anniversario della morte di C. Ferrini (17 ottobre 1902) e nel giorno stesso in cui ne viene introdotta la causa di beatificazione, il Signore mi chiama, attraverso la decisione della Facoltà giuridica fiorentina, all’insegnamento del diritto romano”.
Giorgio La Pira scriveva al suo maestro Emilio Betti il 21 febbraio 1927: “Io ho ben netta dinanzi a me la meta che debbo prefiggermi (e che mi sono prefissa): lo studio del diritto romano – Ella lo sa – mi è particolarmente caro: esso trascende il senso comune di studio, per assumere – direi – valore di strumento della mia medesima formazione interiore. Ha un valore ideale grandissimo e costituisce il tratto caratteristico della mia ‘persona’”.
Giorgio La Pira ribadiva: “Dobbiamo diventare responsabilmente profeti della pace escatologica. Per questo occorre la fede” e per questo pregava ed esortava a leggere il libro di sant’Alfonso Maria de’ Liguori Del gran mezzo della preghiera. La preghiera per Giorgio La Pira è un “problema politico”. L’espressione è di Jean Danielou, L’orazione problema politico(Roma 1993, p. 31): “faccio riferimento a La Pira quando dice che la società umana comporta due elementi essenziali: le case per gli operai ed i monasteri, vale a dire il servizio e l’adorazione”.
Nel 1939 La Pira scrisse: “Il nostro tempo – per tanti aspetti così tragico! – è ormai maturo per ricostruire attorno alla sede di Pietro quell’unità fra le nazioni vanamente cercata altrove. Molti indici lo dimostrano: nello smarrimento universale non brilla oggi che una sola speranza: quella del Pontificato romano. Et fiet unum ovile et unus pastor (S. Giov. 10,16)”. “Il fondamento della giustizia e, quindi, della pacifica convivenza umana è la fides. Il popolo romano considerò questo principio di giustizia come la base di ogni virtù e di ogni grandezza”.
Nella lettera del 1° e del 3 agosto 1959, inviata a Giovanni XXIII, aveva definito il viaggio che avrebbe intrapreso a Mosca un “viaggio orante”. Nel fare la cronaca dello stesso ai monasteri di clausura che lo avevano accompagnato con le loro preghiere riferì quanto detto al Metropolita Nicola, di essere …”venuto per fare il ‘ponte mariano di orazione’ fra Fatima e Mosca, fra Chiesa di oriente e Chiesa di occidente: e ciò proprio nella festività dell’Assunta: perché l’assunzione è misteriosamente legata alle apparizioni (Lourdes, Fatima, ecc.) ed è, come la resurrezione di Cristo, il fondo stesso del mistero della storia della Chiesa e dei popoli” (Lettera del 3 aprile 1960, G. La Pira, Lettere alle claustrali, a cura di Giuseppe Lazzati, Milano 1978). Già in uno scritto giovanile (1922) inedito, Mosca e Roma, Mosca viene definita “città sacra”.
La Pira ebbe a dire “La pace del mondo passa da Mosca e da Roma (da Pietro!). Come la Madonna ha detto” (Lettera a Giovanni XXIII del 2 dicembre 1961). Sul “pellegrinaggio” a Mosca e sulla profezia di Fatima ho un ricordo personale. Con la mia famiglia ad Assisi nell’estate dei primi anni Sessanta, partecipai al convegno della Pro Civitate Christiana e La Pira fece un discorso sul viaggio a Mosca, preceduto dal pellegrinaggio a Fatima, sull’efficacia della preghiera e sull’avvento di una grande epoca storica (Un capitolo di teologia della storia: Fatima, 1963).
Un riferimento infine alla città natia di Giorgio La Pira: Pozzallo, luogo oggi salito alle cronache quotidiane per gli sbarchi di migranti dalle coste africane.
Tra i molteplici scritti di La Pira sul Mediterraneo e sulle “famiglie di popoli” e sull’intera famiglia umana mi limito a citare alcuni punti della lettera scritta nell’ottobre 1968 al presidente dell’Istituto di biologia umana dell’Università di Tunisi: “L’uomo mediterraneo – la civiltà mediterranea, la spiritualità e la cultura mediterranea, che nel corso dei secoli si sono radicate lungo le sponde di questo grande lago di Tiberiade – ha ancora oggi (ed avrà ancora domani, nel corso dei secoli che verranno) una “funzione permanente” da svolgere per l’edificazione della storia nuova del mondo! Perché? Perché questa “civiltà mediterranea” poggia – per così dire – su tre fondamenti di roccia […]. Su questi tre fondamenti sono, per così dire, iscritti – come nelle pietre fondamentali della Gerusalemme celeste – tre nomi: quello di Gerusalemme (il senso della storia); quello di Atene (il metodo logico e scientifico e la bellezza e contemplazione artistica); quello di Roma (l’organizzazione scientifica e tecnica – per tutte le genti – del diritto e della politica). […] Il compito fondamentale dell’uomo mediterraneo si precisa sempre più, dunque, sempre più si amplia: indicare il senso della storia, l’idea motrice che la finalizza; ed indicare il significato di fondo delle grandi componenti che danno volto a questa nostra età tanto nuova e tanto avventurosa: la componente nucleare – apocalittica! – quella spaziale, quella demografica e quella liberatrice e contestativa […]” (G. La Pira, Il sentiero di Isaia, Firenze 1978).
La Pira uomo di orazione e di fede è strettamente connesso con La Pira uomo di pace. Numerosissime le missioni che Giorgio La Pira aveva intrapreso dopo decenni di rapporti intessuti con tutto il mondo per “abbattere muri e costruire ponti”. Non è possibile qui ricordarle, mi limito a qualche cenno utilizzando le parole che Giorgio La Pira rivolse a Ho Chi Minh nel corso della sua visita in Vietnam nel 1965: “La pace è indivisibile e la situazione mondiale contemporanea ci fa rendere conto che l’umanità è sempre su uno stretto crinale, da una parte del quale sta la totale distruzione del pianeta”.
In sintesi possiamo dire: “Si tratta d’una vita che seppe fondere in un solo impulso prospettive scientifiche, prospettive politiche e prospettive religiose” (B. Albanese).
(Fonte: Il Sussidiario - 30.07.2018)
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