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lunedì 19 marzo 2018

A 24 ANNI DALLA MORTE - Don Peppe Diana: dal suo essere sacerdote nasceva l’impegno civile, la lotta alla camorra, l’attenzione a giovani e immigrati

A 24 ANNI DALLA MORTE

Don Peppe Diana: dal suo essere sacerdote nasceva l’impegno civile, la lotta alla camorra, l’attenzione a giovani e immigrati

Fu ucciso la mattina del 19 marzo 1994, mentre si accingeva a celebrare la Messa nella parrocchia San Nicola a Casal di Principe. A Natale 1991 era stato il promotore del documento "Per amore del mio popolo", condiviso con gli altri parroci della Forania. Un documento, secondo i suoi confratelli, di grandissima attualità anche oggi, perché invita a non arrendersi al male e a cercare il bene comune


Sono passati 24 anni dal 19 marzo 1994, quando don Peppe Diana venne ucciso dalla camorra, mentre si accingeva a celebrare la Messa nella parrocchia di San Nicola a Casal di Principe. La comunità di Casal di Principe e la diocesi per questo 24° anniversario della sua morte hanno organizzato tre momenti. Il primo si è svolto venerdì 16 marzo: una Via Crucis per le vie adiacenti la parrocchia San Nicola, che si è conclusa con l’ultima stazione presso la casa di don Diana.“Questa prima tappa rappresenta un segno tangibile di vicinanza alla figura di don Peppe, unendo la sua tragica fine al sacrificio e alla passione di Gesù”, spiega mons. Franco Picone, successore di don Peppe Diana alla guida della parrocchia di San Nicola a Casal di Principe e vicario generale della diocesi di Aversa.

“Don Peppe ha concluso qui il suo ministero con il dono della sua vita il 19 marzo 1994, io sono arrivato il 29 ottobre dello stesso anno – ci racconta mons. Picone -.

La morte di don Peppe ha segnato come uno spartiacque in questo territorio: non immediatamente, è stato un seme che ha prodotto frutti durante gli anni.

A livello civile, a distanza di 24 anni per la morte di don Peppe e per l’impegno di Chiesa, associazioni e magistratura, il fenomeno della camorra a Casal di Principe per buona parte è stato debellato”. Come frutti ecclesiali, “dopo un primo momento di smarrimento, c’è stato un ricompattarsi dei gruppi parrocchiali, come l’Azione cattolica e la Caritas. Ora abbiamo un pullulare di attività per bambini, ragazzi, giovani, opere di carità”. Il secondo momento per ricordare don Diana è stato la celebrazione della Messa, domenica 18 marzo, per l’accoglienza nel centro parrocchiale di una famiglia eritrea, giunta in Italia grazie ai corridoi umanitari attivati dalla Caritas in collaborazione con la Cei. “Noi in parrocchia – afferma il vicario generale – abbiamo un centro di accoglienza per immigrati, voluto proprio da don Peppe Diana.

Nell’attenzione ai migranti è stato un precursore.

In questi anni ci è sembrato opportuno rinnovare la memoria di don Peppe anche attraverso atti semplici ma concreti”. Lunedì 19 marzo sono previsti un momento di festa e riflessione con i bambini in parrocchia e la Messa presieduta dal vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo. “I giovani del territorio conoscono la figura di don Diana – racconta mons. Picone -: da una generazione all’altra si tramanda il suo ricordo, anche attraverso le iniziative delle scuole. Qui in parrocchia i ragazzi non trovano un museo, ma la narrazione viva di una storia che porteranno nel loro cuore”.

Don Peppe Diana era un vulcano sempre propositivo in mezzo a noi e, anche se ci è stato tolto, continua a lavorare dal cielo per ispirarci a fare il bene seguendo le piste che ci ha ispirato lui”, afferma mons. Carlo Aversano, oggi parroco del SS. Salvatore a Casal di Principe, che, con don Diana e gli altri sacerdoti della Forania, nel Natale 1991 firmò la lettera “Per amore del mio popolo”, distribuita in tutte le chiese.“Si trattava della sintesi di un documento dell’episcopato campano del 1982. Ritenevamo che nei nostri territori era necessario un richiamo preciso come suggerivano i nostri vescovi. Vivevamo un periodo molto difficile per la presenza pervasiva della camorra. Da quel Natale 1991 è iniziata la battaglia della Chiesa sul territorio”. È “un documento che ha un grande valore anche oggi perché noi come Chiesa non dobbiamo mai smettere di combattere il male che è sempre presente. Dobbiamo essere sempre capaci di proporre il positivo. Qui a Casale dei cambiamenti ci sono stati, ma è soprattutto nostro impegno evitare che attecchisca di nuovo il male. Noi non ci arrendiamo mai e il documento di quel Natale 1991 ricalca il richiamo di Gesù.

La nostra presenza come Chiesa nel territorio è fondamentale”.

Dopo la morte di don Diana “sono sorte molte associazioni che sul territorio stanno facendo tanto e partecipano al nostro cammino ecclesiale: la nostra è una società variegata, c’è chi crede e chi no, ma tutti accolgono il messaggio del bene che diventa più fruttuoso quando si riesce a camminare insieme”.

Anche per don Armando Broccoletti, ora parroco di San Rocco a Frattamaggiore, ma alla guida della parrocchia Spirito Santo, a Casal di Principe, negli anni di don Diana, di cui era il confessore, “Per amore del mio popolo” è “un documento sempre attuale. Mi ricordo che era l’inizio del dicembre 1991 quando venne da me don Peppino con un foglietto dove aveva abbozzato il testo nel quale si rifaceva al testo dei vescovi campani del 1982. Lo rivedemmo insieme e decidemmo di pubblicarlo.

Eravamo consapevoli che era un documento dirompente e profetico

perché conteneva le parole forti dei vescovi, attualizzandole per il nostro territorio, in modo da renderlo efficace anche in vista delle elezioni che ci sarebbero state di lì a poco. Vedevamo che le cose andavano fuori ogni regola, la presenza del crimine era ingombrante, nessuno poteva più parlare o esprimere critiche. Questo, come pastori, ci faceva troppa impressione, abituati dall’altare a dire tutte le cose con franchezza. Facemmo poi sottoscrivere il documento da tutti i parroci. E a Natale 1991 lo pubblicammo”. Secondo il sacerdote,“quel documento è ancora attuale perché anche oggi si è smarrito il senso del bene comune, gli ideali sono finiti sulle nuvole e si pensa solo agli interessi personali. E questo non sta bene. Allora, noi avevamo un unico scopo: far capire alla nostra gente di dover scegliere a rappresentarla persone con a cuore veramente il bene comune in modo da dare un futuro ai giovani”. Don Armando ricorda di don Peppe “l’entusiasmo, la sua attenzione ai bisogni degli altri e il coraggio di denunciare le storture. Ha lasciato una grande eredità spirituale ai giovani: li invitava a prendere in mano il loro futuro e a mettersi in gioco. Da allora sono nate delle belle iniziative tra i giovani.

L’impegno civile di don Peppe, naturalmente, nasceva dal suo essere sacerdote

e dallo spendersi per il popolo di Dio che gli era stato affidato: traeva da questo la sua energia. L’anno in cui è morto avevamo programmato per la Quaresima di stare ogni sera in una parrocchia. La sera prima della sua morte alle 23,20 ci siamo salutati vicino alla mia parrocchia. Venivamo da una liturgia penitenziale a Villa Literno. Il 19 marzo ci saremmo ritrovati tutti nella parrocchia di San Nicola perché era l’onomastico di don Peppe. Eravamo uniti, lavoravamo tutti cuore a cuore. Quando è stato ucciso, sono stato tra i primi a correre e la prima domanda che mi sono posto davanti al suo corpo senza vita è stata: ‘Perché tu?’. Io, ad esempio, ero a Casal di Principe da più tempo, già dal 1977, mentre don Peppe era arrivato solo dal 1989”. Pochi anni che sono bastati a quel prete “con l’odore delle pecore” a lasciare tanti semi di bene che sono cresciuti, ma che vanno sempre custoditi.
(fonte: SIR articolo di Gigliola Alfaro 19/03/2018)

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