L’ANZIANO ELI E IL GIOVANE SAMUELE
a cura di Aurelio
Antista,
carmelitano
P. Aurelio Antista (foto di repertorio) |
Secondo dei
MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2018
"Trasmettere è generare
Il compito degli adulti verso le nuove generazioni"
promossi
dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
Samuele è uno
dei personaggi più singolari e determinanti del Primo Testamento perché si colloca all’origine di due istituzioni
fondamentali di Israele: il Profetismo
e la Monarchia.
Samuele vive
in un tempo di crisi e di incertezza, quando il passato non è ancora tramontato
e il nuovo, il futuro non lo si intravede ancora con chiarezza. Questo periodo
di transizione richiede la presenza e l’azione di una personalità carismatica e
ricca come quella di Samuele, appunto.
Egli è una
figura complessa e multiforme: citata 123 volte nell’AT e 3 volte nel NT,
riveste ruoli diversi: Sacerdote
(1Sam 7,9), Giudice (1Sam 7,15), e
soprattutto Profeta. Quest’ultima
funzione gli si attacca addosso come un nome proprio, così da rendere familiare
a tutto il popolo il titolo Nabì Samuel,
il Profeta Samuele. E’ il profeta più
ascoltato nella storia di Israele. In questa molteplicità di ruoli Samuele
mostra una personalità matura ed equilibrata. E questo perché egli è “uomo di
Dio”. Più tardi, infatti, nel libro del Siracide, Samuele è chiamato “L’amato dal Signore” (Sir 46,3).
1. Samuele: un figlio domandato
e donato
Cerchiamo,
allora, di conoscere da vicino quest’uomo maturo,
saggio, amato dal Signore di nome Samuele. Come spesso avviene nella
tradizione biblica, all’origine di personaggi famosi e illuminati, c’è un
intervento diretto di Dio: ad esempio, il dono della maternità ad una donna
sterile. E’, appunto, il caso di Anna, madre di Samuele.
Anna è moglie
di Elkana un uomo che ha due mogli. L’altra si chiama Peninna. Anna vive con
dolore la sua condizione anche perché è sterile, e in più si sente frustrata
perché incapace di competere con la rivale, la quale ha figli e figlie e non
manca di umiliarla a motivo della sua sterilità. Ogni anno Elkana con tutta la
famiglia si reca al Tempio di Silo dove c’è il sacerdote Eli e i suoi figli
Cofni e Pincas. In uno di questi pellegrinaggi Anna si prostra alla presenza
del Signore e lo prega con intensità; gli chiede il dono di un figlio con
questo voto: “Signore, se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo
offrirò al Signore tutti i giorni della sua vita” (1Sam 1,10-11). Anna prega
sottovoce muovendo solo le labbra. Eli, che la osserva da lontano, ritiene che
sia ubriaca, le si avvicina e la rimprovera: “Fino a quando rimarrai ubriaca?
Liberati dal vino che hai bevuto”. Ma Anna gli risponde: “Io sono una donna
affranta e non ho bevuto vino; sto solo sfogandomi davanti al Signore”.
Ricevuta la spiegazione della donna, Eli le dice una parola di consolazione e
di speranza: “Va’ in pace e il Dio di Israele ascolti la domanda che gli hai fatto”.
“Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi”, gli risponde la donna.
Anna è molto
credente. La sua sarà, magari, una religiosità popolare che si esprime nel voto;
però ha il senso profondo di Dio come di colui che è al di là di tutto e può
tutto, e a lui si affida con abbandono totale. Con fede, appunto.
Eli mostra di
essere un sacerdote maggiormente preoccupato di assicurare il buon ordine nel
Tempio, che di star vicino alla gente e di comprenderne i problemi e le
esigenze. Quando vede Anna comportarsi in quel modo, invece di accertarsi di
ciò che sta accadendo, la rimprovera. Tuttavia Eli è un uomo la cui parola è
determinante; infatti, la fede di Anna è tanto grande che, quando il sacerdote
le dice di andare in pace, si sente riempire il cuore di serenità: “Se ne andò
per la sua strada, mangiò e il suo volto non fu più come prima”. La sua
certezza di essere esaudita dal Signore è stata confermata dalle parole del
sacerdote.
Nel prosieguo
del racconto è detto che “tornato a casa Elkana si unì a sua moglie e il
Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un
figlio e lo chiamò Samuele. Perché –diceva- dal Signore l’ho impetrato” (1,19-20).
Per alcuni anni la madre cresce ed educa il figlio; poi, dopo averlo svezzato,
lo porta al Santuario di Silo lo affida al sacerdote Eli dicendogli: “Per
questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho
chiesto. Perciò anch’io lo dono al Signore. Per tutti i giorni della sua vita egli
è ceduto al Signore” (1,27-28).
Per ben 4
volte il testo fa riferimento allo “svezzamento” del bambino. “L’essere
svezzato”, nel linguaggio biblico indica l’età e la condizione di uno che si
apre alla vita ed è in grado di assumersi delle responsabilità. Ovviamente
aiutato da una guida, da qualcuno che lo accompagni.
Samuele
diventa il segno della nuova presenza di Dio in mezzo al suo popolo: infatti,
egli viene “chiesto” al Signore
perché possa essere “donato” al
Signore. L’autore sacro ripete più volte il verbo donare. Samuele, quindi, è “frutto” del dono reciproco che si fanno
l’uno all’altra il Signore e Anna; ma questo riguarda anche il popolo di cui
Dio è il Signore. La scena della “presentazione” lo evidenzia in modo chiaro:
“Per tutti i giorni della sua vita, egli è ceduto al Signore” (1,28) e così “il
fanciullo rimase a servire il Signore” (2,11). Si intuisce, quindi, che Samuele
non solo colma il bisogno di maternità di Anna, ma anche l’esigenza che c’è in
Israele di un profeta che trasmetta al popolo la parola del Signore.
La crescita e
la formazione di Samuele avviene nel Tempio sotto la guida di questo anziano
sacerdote il quale trasmette al giovane la fede nel Signore e le tradizioni dei
Padri.
2. Una voce nella notte
Fermiamo la nostra attenzione sul
cap. 3 del primo libro di Samuele che contiene il racconto del suo incontro con
il Signore, la missione che da lui riceve e il ruolo di guida e di discernimento
di Eli.
Ascoltiamo la
pagina di 1 Sam 3, 1-21.
E’ un testo
che cattura l’attenzione di chi lo legge o lo ascolta. Un testo che si gusta
già al primo contatto per la sua semplicità e il chiaro svolgimento.
In apertura ci
viene offerto un quadro deprimente che descrive la realtà: “La parola del Signore era rara in quei
giorni, le visioni non erano frequenti”. Il Signore tace, non fa sentire la
sua voce perché non c’è chi lo ascolta: né il popolo, né i custodi primari
dell’Alleanza: i sacerdoti. Il popolo è distratto perché coltiva altri interessi
e perché impegnato in lotte intestine e divisioni tra le tribù; mentre i
sacerdoti Cofni e Pincas, figli di Eli, “erano uomini perversi; non
riconoscevano il Signore né le usanze dei sacerdoti nei confronti del popolo”
(2,12). Ad esempio: nei sacrifici prendevano dalla pentola, con un forchettone,
quella parte di carne che non spetta a loro (cf. 2,12-14). Ma facevano anche di
peggio: “Essi giacevano con donne che prestavano servizio all’ingresso della
tenda del convegno” (2,22). L’anziano padre li rimprovera ripetutamente ma
senza la necessaria determinazione e autorevolezza. Ed essi non lo ascoltano. Come
dire che i figli di Eli sono sacerdoti immorali e lontani dal popolo; invece di
aiutarlo a onorare il Signore, danno cattivo esempio e sfruttano la gente che
si reca al Tempio per offrire i sacrifici.
“Le visioni non erano frequenti”, come dire che manca nel popolo e
in chi lo guida una visione di futuro illuminato dalla Parola di Dio; manca un
progetto di vita per il quale spendersi.
In questo
contesto di sterilità morale, spirituale e sociale, e di povertà di relazioni
umane, il fanciullo Samuele è affidato alle cure e alla formazione di Eli.
Samuele è addetto al servizio del Tempio nelle vesti di “ministrante” o
“chierichetto”, diremmo oggi; e lo fa con dedizione e diligenza.
Il Tempio di
Silo custodisce l’Arca del Signore,
segno quasi sacramentale della presenza di Dio in mezzo al popolo. Il giovane
vivendo nel Tempio ha quindi occasione di stare particolarmente vicino a Dio, ma
senza avere esperienza diretta di lui. Vale anche per Samuele l’affermazione
che “in quel tempo la parola del Signore
era rara, le visioni non erano frequenti”.
Ma proprio in
questa situazione di buio e di sterilità, tempo di decadenza religiosa e
morale, avviene qualcosa di nuovo e di inatteso: il Signore prende l’iniziativa
per rivelarsi al giovinetto e, tramite lui, a tutto il popolo. E’ notte, Eli
riposa nella sua stanza. Anche Samuele è coricato al suo posto. Il Signore lo
chiama per nome: “Samuele”. Il ragazzo prontamente risponde “eccomi”, poi si
alza e corre da Eli e gli dice: “Mi hai chiamato, eccomi!” Il sacerdote, a sua
volta, lo rassicura: “Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire”. La scena
si ripete allo stesso modo per tre volte. Questo fatto si presta a qualche
sottolineatura: da parte di Dio, la paziente attesa del ritmo di crescita e di
apertura del giovane; da parte di Samuele, la prontezza all’ascolto e la piena
disponibilità all’obbedienza espresse in quell’eccomi ripetuto più volte; da parte dell’anziano sacerdote,
l’incapacità, sulle prime, di cogliere l’azione di Dio e, in un secondo tempo,
il suo discernimento dell’intervento divino e l’apertura a coglierne il
messaggio.
Da qui il
suggerimento a Samuele, circa la risposta da dare alla voce se lo chiamerà ancora: “Parla,
Signore perché il tuo servo ti ascolta”. Consegnando questa risposta, Eli
fa di Samuele “un discepolo di Dio”, e non più “un discepolo proprio”. Quando
il Signore lo chiama per la quarta volta, Samuele prontamente risponde: “Parla
perché il tuo servo ti ascolta”. E così avviene l’incontro a tu per tu con il Signore, un incontro, una esperienza che cambia
totalmente la vita di Samuele e lo rende profeta e portavoce di Dio in mezzo al
popolo.
Singolare la
forza di questa espressione: “Parla,
Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Samuele la riceve da Eli che, a
sua volta, la riceve dalla tradizione religiosa di Israele. “Parla”: è Dio colui che parla; “il tuo servo ti ascolta”: l’uomo è
anzitutto ascolto e accoglienza. In una brevissima frase è descritta tutta
l’antropologia teologica della Bibbia: l’uomo è ascolto di una parola che
Dio pronuncia.
Così, il
giovane Samuele passa da una esistenza buona, di servizio, ad una coscienza
profonda del mistero dell’uomo e di Dio: l’uomo è accoglienza, Dio è
iniziativa, parola, comunicazione, dono di sé, amore.
Il senso della
Parola di Dio che Samuele acquisisce con il passare del tempo, diventa per lui
qualcosa di connaturale: “In seguito il Signore si mostrò altre volte a
Samuele, dopo che gli si era rivelato in Silo” (3,21). Pertanto, a partire da una religiosità
devozionistica, Samuele giunge alla familiarità col mistero di Dio. E’ il
cammino attraverso il quale si va formando in lui “il profeta”, un cammino di
bontà, di onestà sincera, di ascolto, di accoglienza della Parola al cui
servizio pone tutta la sua vita e le sue energie.
3. Il contenuto della
rivelazione
Torniamo per
un attimo al dialogo notturno tra il Signore e il giovane Samuele. Il contenuto
della rivelazione di Dio ci appare deludente oltre che amaro. Ci saremmo
aspettati un oracolo riguardante il suo futuro di profeta, la promessa di
grandi opere che avrebbe compiuto nel tempo, o altro di particolarmente
significativo. E invece no! Il contenuto di quanto gli viene rivelato in quella
notte, riguarda la fine del santuario di Silo e della famiglia di Eli. Una
notizia che proprio lui, l’allievo, il discepolo deve comunicare al maestro. Un
compito davvero ingrato e difficile da assolvere, per Samuele.
“Che cosa
significa per la vita di Samuele” questo annuncio difficile da dare?, si chiede
il card. Martini nel suo commento di questa pagina biblica: “A me sembra che
sia importante. Il ragazzo ha vissuto fino a quel momento quasi sotto il timore
di Eli, nella minorità, nell’obbedienza e forse nella paura di esprimersi. Il
Signore gli chiede di prendere posizione come adulto, di saper dire delle cose
spiacevoli.
E’ una tappa determinante per
l’esistenza di una persona passare da una condizione passiva ad una condizione
nella quale si devono affrontare situazioni difficili uscendo da un ordinamento
ricevuto. E in questo consiste proprio la missione profetica: non accontentarsi
di ciò che pensa l’opinione comune, ma avere la libertà e il coraggio di
pronunciare, quando è necessario, parole diverse e scomode. Naturalmente
occorre una grazia particolare di Dio, ed è la grazia con la quale inizia la
missione profetica di Samuele!” (C.M. Martini, Samuele, Profeta religioso e civile, p. 47).
Il mattino dopo,
Eli chiede a Samuele: “Che discorso ti ha fatto il Signore? Non tenermi
nascosto nulla”. Dopo un attimo di esitazione Samuele gli racconta tutta la
verità. La reazione di Eli alla rivelazione manifesta la sua grandezza d’animo
e la serena obbedienza a Dio: “E’ il Signore! , commenta, faccia ciò che a lui
pare bene”(3,18).
E così avviene
la “consegna”: con la poca autorità che gli rimane, Eli fa l’investitura
ufficiale di Samuele quale “profeta del Signore”, e lo proclama davanti a tutto
il popolo, “da Dan fino a Bersabea”, cioè dal nord al sud del paese. “Samuele
acquistò autorità perché il Signore era con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue
parola (3,19).
4. Quale trasmissione da Eli a
Samuele?
Alla luce di
questi eventi, mi sembra opportuno delineare meglio la figura e il magistero di
Eli nei confronti del giovane Samuele lungo il cammino della sua formazione.
Eli ci viene
presentato come un sacerdote tradizionale: uomo del culto, dell’osservanza,
custode e gestore del Tempio e delle sue liturgie. La sua attenzione è rivolta
al passato: le solite cerimonie, i soliti sacrifici rituali, tutto scontato secondo
il detto “Si è fatto sempre cosi!”. La sua preghiera è formale e, quindi, sterile;
infatti, non vive un’esperienza di intimità con il Signore e non è abituato a
meditare e a gustare la Parola
di Dio da cui attingere la luce necessaria che illumina il cammino della vita.
Certo, nel
contesto del servizio liturgico Eli proclama e spiega la Parola , ma non crede
realmente alla sua trascendenza, né alla sua aderenza alla storia e alla vita
concreta del popolo e del singolo credente.
Però Eli è un uomo onesto e
integro, fedele alle osservanze della Legge e aperto ad accogliere il divino,
anche se personalmente non ha mai fatto l’esperienza di un vero incontro con
Dio. Egli rimane chiuso in un orizzonte che sa guardare solo al passato,
incapace di aprirsi al futuro e alle novità che Dio prepara e propone a tutti
con la sua Parola e con gli eventi della storia.
Eppure, Eli è
preoccupato di tenere accesa la lampada nel Tempio: “La lampada di Dio non era spenta”. Questa simboleggia la presenza
del Signore in mezzo al suo popolo e la fede del popolo nel Dio dell’Alleanza.
La lampada del Tempio, seppure smorta e flebile, tuttavia resiste e rimane accesa.
L’autore sacro
ci ha detto che al tempo dei fatti, quando Samuele viene affidato alle sue
cure, Eli è molto anziano, “i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non
riusciva più a vedere” (3,2 ). La sua miopia non è solo fisica ma soprattutto
spirituale; tale condizione è determinata sia dall’età avanzata, e ancor più
dalla grande amarezza che gli procurano i figli Cofni e Pincas, i quali con i
loro comportamenti scorretti disonorano il sacerdozio e la dignità del loro
ministero al servizio del popolo di Dio. Eli, quindi, è un uomo spiritualmente
depresso, ma anche deluso e impotente di fronte alla situazione di degrado
morale che si è venuto a creare nella sua famiglia e nel Tempio. L’oscurità dei
suoi occhi è riflesso del vuoto di senso che ha assunto la sua vita.
L’arrivo e
l’affidamento di Samuele alla sua guida cambia radicalmente la situazione nella
vita di Eli: la prima cosa che risalta con evidenza ai suoi occhi è il
contrasto tra l’atteggiamento docile e disponibile del giovane sempre pronto a
obbedire, a confronto con gli scandali dei figli nell’esercizio del loro
ministero di sacerdoti. Questi comportamenti così distanti tra loro, per un
verso accrescono in Eli il dolore e il rammarico per il suo fallimento di
padre, per altro verso gli procurano gioia e soddisfazione per la crescita in
bontà di Samuele. Si affeziona a lui in modo viscerale, tanto da chiamarlo “figlio mio”: “Torna a dormire figlio mio” (3,6). Questa presenza è per
Eli una sfida a ritrovare in sé nuova energia vitale e gli restituisce la
capacità di essere padre, educatore e maestro.
L’evento più
significativo in tal senso è, ovviamente, il discernimento della chiamata del
Signore. Questa avviene nella notte, dice il testo. L’indicazione non è solo
meteorologica, ma indica quel tempo di oscurità, quella situazione storica
priva di luce e di prospettive per il futuro.
La voce di
Dio, quella notte, sveglia Samuele e apre gli occhi a Eli. Il giovane sente una
voce che sussurra il suo nome: “Samuele!” Pronto e disponibile, come sempre,
egli balza in piedi e corre da Eli: “Mi hai chiamato, eccomi!” Questi gli
risponde: “Non ti ho chiamato, torna dormire”. Questo perché Eli fino a questo
momento non ha esercitato una vera paternità
spirituale verso Samuele che lo introduca nell’esperienza di Dio. La cosa
singolare è che la scena si ripete – sempre uguale – per ben tre volte. E,
puntualmente, Samuele attribuisce la chiamata ad Eli e da lui si reca. Tale
ripetizione esprime la lenta gradualità con cui Eli comprende ciò che sta
avvenendo. E da parte sua, Samuele, con il suo chiedere martellante: “Mi hai
chiamato, eccomi!” contribuisce a risvegliare in Eli la responsabilità di padre
spirituale nei suoi confronti e il compito essenziale dell’educazione
all’ascolto della Parola di Dio. Paradossalmente, Samuele, in questo frangente
si comporta da “profeta” nei confronti di Eli. E’ “il figlio” che stimola “il
padre”!
Finalmente Eli
comprende che quella “voce” è il Signore. E’ lui che sta agendo. E suggerisce
al ragazzo di non cercare lui, ma il Signore: “Vattene a dormire e, se ti
chiamerà ancora, rispondi: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”.
Queste parole esprimono l’esercizio di una paternità finalmente non centrata su
di sé, ma orientata verso Dio.
In
conclusione, il sacerdote Eli ci appare una personalità in chiaro e oscuro, con
zone di ombre e di luci. Egli è un tradizionalista dagli occhi quasi spenti,
rivolto al passato e incapace di intravedere o sognare nuovi orizzonti per il
futuro della sua famiglia e del popolo, perché è incapace di un vero ascolto
della Parola di Dio e di ricercare una profonda intimità con il Signore.
Inoltre, Eli
si porta addosso tutto il peso del fallimento nel suo ruolo di padre, perché
incapace di autorevolezza e di correzione nei confronti dei figli che hanno
intrapreso cammini devianti.
Ma, al tempo
stesso, Eli è un uomo onesto e corretto, un sacerdote pio e devoto, osservante
della Legge e delle tradizioni dei padri. Questi valori egli li annuncia e li
testimonia al giovane Samuele con la parola e con l’esempio di vita. E quando,
nella notte, Samuele si sente chiamare dalla voce, Eli, anche se non immediatamente, riconosce l’opera di Dio ed
esercita la sua paternità spirituale invitandolo a porsi in ascolto di quanto
il Signore gli rivela. Da quel momento, Eli accredita Samuele davanti a tutto
il popolo quale “Profeta” perché faccia
giungere a tutto Israele la Parola
del Signore.
La storia del
rapporto tra Eli e Samuele, in definitiva, ci offre un messaggio sempre valido
e attuale: anche da un ministro di Dio
non sempre all’altezza del suo compito educativo può venire a noi un raggio di
luce e una testimonianza portatrice di vita e di futuro.
Come pure: una comunità familiare o ecclesiale, per
certi versi inadeguata e zoppicante, può rivelarsi uno strumento autentico per
incontrare ancora oggi il Signore della vita.
Questo avviene se c’è un giovane
che, facendo domande profonde e scomode, risveglia nell’adulto l’urgenza e la
responsabilità dell’esercizio di una paternità autentica.
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