Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino
Vangelo: Mt 22,15-21
"Restituite a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio", è la risposta di Gesù alla domanda-trappola che farisei ed erodiani gli hanno teso. Qualsiasi altra risposta avrebbe messo Gesù in cattiva luce agli occhi dell'occupante romano oppure a quelli del popolo di Israele che mal digeriva di dover pagare le tasse ad un re straniero. E' la ragione della richiesta di Gesù di vedere la moneta del "census" dove, oltre all'effige di Tiberio, c'era una scritta che ne attestava la divinità:
"Tiberius Caesar, Divi Augusti Filius, Augustus Pontifex Maximus".
La risposta di Gesù che sembra eludere la domanda, sposta invece il problema ad un altro livello ed appare ora assai più chiara. Se possiedi la moneta di Cesare ne riconosci l'autorità e la divinità. La scena si svolge nel Tempio, dove era fatto assoluto divieto di introdurre monete non ebraiche, particolarmente quelle recanti effigi idolatriche. Chi ha tentato di cogliere in fallo Gesù è caduto nella sua stessa trappola e adesso è lui ad essere accusato, e di idolatria, il peccato più grave secondo la Torah. Ed allora: cosa spetta a Cesare e cosa a Dio?
La risposta data da Gesù non indica certamente la separazione tra la sfera temporale e quella spirituale, quasi una tacita alleanza fra altare e trono, come purtroppo è stato inteso in passato e, ahimè, anche ora. Restituire a Cesare quello che è di Cesare significa restituire all'idolo-Cesare ciò che gli appartiene: l'idolatria del potere, della forza, del danaro, significa disconoscere la sua divinità e la sua signoria e riaffermando quella di Dio. Al Signore bisogna dare ogni altra cosa, ogni bene, la vita dei suoi figli, il suo popolo, poiché tutto appartiene a Dio e nulla a Cesare, soprattutto quando quest'ultimo si impone come un Dio con potere assoluto. "Poiché, dice il Signore, Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (Lv 26,12)
La risposta data da Gesù non indica certamente la separazione tra la sfera temporale e quella spirituale, quasi una tacita alleanza fra altare e trono, come purtroppo è stato inteso in passato e, ahimè, anche ora. Restituire a Cesare quello che è di Cesare significa restituire all'idolo-Cesare ciò che gli appartiene: l'idolatria del potere, della forza, del danaro, significa disconoscere la sua divinità e la sua signoria e riaffermando quella di Dio. Al Signore bisogna dare ogni altra cosa, ogni bene, la vita dei suoi figli, il suo popolo, poiché tutto appartiene a Dio e nulla a Cesare, soprattutto quando quest'ultimo si impone come un Dio con potere assoluto. "Poiché, dice il Signore, Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (Lv 26,12)