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giovedì 5 ottobre 2017

Papa Francesco a Bologna: incontro con il clero "La vita consacrata è uno schiaffo alla mondanità spirituale"; con gli studenti e con il mondo accademico "Sognate in grande!" (cronaca, foto, testo e video)

VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A BOLOGNA PER LA CONCLUSIONE DEL CONGRESSO EUCARISTICO DIOCESANO
INCONTRO CON I SACERDOTI, RELIGIOSI, SEMINARISTI DEL SEMINARIO REGIONALE E DIACONI PERMANENTI
Cattedrale di San Pietro (Bologna)
Domenica, 1° ottobre 2017

Dopo il pranzo con i mille poveri, (vedi il post Il pranzo del Papa a Bologna con 1400 “ospiti” nella chiesa di San Petronio - Quei poveri che pranzano in chiesa, e l’accusa di “profanazioneˮ - commenti, testo e foto) papa Francesco è arrivato alla cattedrale di San Pietro, per incontrare il clero.




“Se una congregazione perde i suoi averi, io dico: grazie Dio”
Il Papa con il clero di Bologna: «La vita consacrata inizia a corrompersi dalla mancanza di povertà». No ai preti «zitelloni» e carrieristi, «una peste». Presente anche Bettazzi


«La vita consacrata inizia a corrompersi dalla mancanza di povertà». Papa Francesco lo afferma nella cattedrale bolognese di San Pietro, incontrando, in questa giornata di visita nel capoluogo dell’Emilia Romagna, sacerdoti, religiosi, seminaristi e diaconi locali. «Se una congregazione perde i suoi averi, io dico “Grazie Signore”». 

È presente anche monsignor Bettazzi, testimone storico del Concilio Vaticano II , vescovo emerito di Ivrea, bolognese di origini materne; a Bologna è stato ordinato prete ed è diventato cittadino onorario. Francesco e Bettazzi scherzano insieme per qualche istante prima del discorso papale. E l’arcivescovo di Bologna monsignor Matteo Maria Zuppi lo citerà nel suo saluto introduttivo a Francesco. Esordisce il Papa: «È una consolazione stare con quelli che portano avanti l’apostolato della Chiesa; i religiosi cercano di dare testimonianza di anti-mondanità». 

Al Pontefice vengono poste due domande: una sulla fraternità tra sacerdoti, l’altra sulla «psicologia della sopravvivenza»; a entrambe risponde senza testi scritti, tranne qualche appunto che prende anche mentre parla lui stesso. Afferma il Papa: «A volte, scherzando tra religiosi diocesani e non, i religiosi dicono: “Io sono dell’ordine fondato dal santo tale…”; ma qual è il centro della spiritualità del presbitero? - si domanda il Papa - La diocesaneità». Essere presbiteri è «una esperienza di appartenenza, si appartiene a un corpo che è la diocesaneità». Questo «significa che tu», prete, religioso, «non sei un libero», non ci sono figure di «libero», come nel calcio. Invece «sei un uomo che appartiene a un corpo, che è la diocesaneità, il corpo presbiterale». Tutto ciò «lo dimentichiamo tante volte, diventando singoli, troppo soli, col pericolo di divenire infecondi o con qualche nervosismo, per non dire che si diventa nevrotici, un po’ zitelloni». 

Un prete «solo che non ha rapporto con il corpo presbiterale, mah», dice con amarezza. Dunque è importante «far crescere il senso della diocesaneità, che ha anche una dimensione di sinodalità col vescovo». Il corpo diocesano «ha una forza speciale, deve andare avanti sempre con la trasparenza, la virtù della trasparenza, il coraggio di parlare, di dire tutto». E anche con «il coraggio della pazienza, di sopportare gli altri. È necessario». 

Sul coraggio di parlare chiaro e sull’opposta comodità di non esporsi, racconta: «Mi ricordo quando ero studente di Filosofia, e un vecchio gesuita furbacchione mi diceva: “Se vuoi sopravvivere nella vita religiosa, pensa chiaro, ma parla oscuro”». Aneddoto che suscita un forte sorriso tra i presenti in Cattedrale. Francesco osserva come sia «triste quando un pastore non ha orizzonte del popolo di Dio, non sa che cosa fare»; ed è «molto triste quando le chiese rimangono chiuse, quando si vede una scheda nella porta: “Aperta da tale ora a tale ora”, per il resto del tempo non c’è nessuno, le confessioni solo per poche ore. Ma questo non è un ufficio, è il posto dove si viene a onorare il Signore, e se il fedele trova la porta la chiusa come può fare?». A volte «pensa alle chiese sulle strade popolose, che restano chiuse: qualche parroco ha fatto esperienza di aprirle, sempre con un confessore disponibile: e il confessore non finisce di confessare», talmente arriva gente, perché «sempre la porta è aperta», e la luce del confessionale resta sempre accesa. 

Poi il Vescovo di Roma parla di «due vizi che ci sono dappertutto». Uno è «pensare il servizio presbiterale come carriera ecclesiastica». Francesco si riferisce agli «arrampicatori»: essi sono una «peste, non presbiterio. Gli “arrampicatori”, che sempre hanno le unghie sporche, perché sempre vogliono andare su. Un arrampicatore è capace di creare tante discordie in seno al corpo presbiterale: pensa alla carriera, “adesso mi danno questa parrocchia, poi me ne daranno una più grande”, e se il vescovo non gliene dà una abbastanza importante, si arrabbia: “A me tocca…” a te non tocca niente!», esclama. Poi aggiunge: «Gli arrampicatori fanno tanto male, perché sono in comunità ma pensano solo ad andare avanti loro». 

L’altro vizio: «Il chiacchiericcio: “Si dice, hai visto”, e così la fama del fratello prete finisce sporcata, si rovina. “Grazie a Dio che non sono come quello”, questa è musica del chiacchiericcio». Il carrierismo e il chiacchiericcio sono due vizi del «clericalismo», afferma Francesco. Invece, un pastore è chiamato al «buon rapporto col popolo di Dio, a cui deve stare davanti per indicare il cammino»; deve stargli «in mezzo per aiutare» soprattutto «nelle opere di carità; dietro per guardare come va». 

Credere nella «“psicologia della sopravvivenza” - prosegue - significa aspettare la carrozza funebre, che porta il nostro istituto» alla chiusura. Credere alla psicologia della sopravvivenza conduce «al cimitero». Si tratta di «pessimismo, e non è da uomini e donne di fede, non è atteggiamento evangelico, ma di sconfitta». E mentre magari «aspettiamo la carrozza, ci arrangiamo come possiamo, e prendiamo dei soldi per essere al sicuro. Questo porta a mancanza di povertà». La psicologia della sopravvivenza è «cercare la sicurezza nei soldi; si ragiona, si sente a volte: “Nel nostro istituto siamo vecchie e non ci sono vocazioni ma abbiamo dei beni per assicurarci la fine”, e questa è la strada più adatta per portarci alla morte». La sicurezza «nella vita consacrata non la dà l’abbondanza dei soldi, ma viene da un’altra parte», da Dio. Alcune congregazioni «che diminuiscono mentre i suoi beni crescono, con religiosi attaccati ai soldi come sicurezza: ecco la psicologia della sopravvivenza». 

Il problema «non è tanto la castità o l’obbedienza, ma nella povertà. La vita consacrata inizia a corrompersi dalla mancanza di povertà». Sant’Ignazio di Loyola «chiamava la povertà madre e muro nella vita religiosa: madre che genera e muro che difende dalla mondanità». Senza questo atteggiamento volto alla povertà e al disinteresse, non si «scommette nella speranza divina». I soldi «sono la rovina della vita consacrata». Ma Dio è buono, «perché quando una congregazione inizia a incassare, manda un economo che distrugge tutto». Rivela il Papa, sorridendo: «Quando sento che una congregazione perde i suoi averi, io dico “Grazie Signore». 

Il Papa esorta ad «un esame di coscienza sulla povertà, sia personale che dell’istituto». Sulla mancanza di vocazioni, bisogna «chiedere al Signore: “Che cosa succede nel mio istituto? Perché manca quella fecondità? Perché i giovani non sentono entusiasmo per il carisma del mio istituto? Perché ha perso la capacità di chiamare?». Per Francesco, il «cuore» del problema è «la povertà». Di qui un incoraggiamento: «La vita consacrata è uno schiaffo alla mondanità spirituale. Andate avanti».  
(fonte testo: Vatican Insider, articolo di Domenico Agasso jr)




Guarda il video

Terminato l'incontro a San Pietro, il papa a bordo della sua papamobile si dirige verso San Domenico, dove lo attendono gli studenti bolognesi e i rappresentanti dell'ateneo. 
Alle 15,45 il papa è arrivato in piazza San Domenico: nella basilica prega sulla tomba del santo e lascia una dedica ai domenicani.

INCONTRO CON GLI STUDENTI E IL MONDO ACCADEMICO
Piazza San Domenico (Bologna)

Il rettore dell'Alma Mater di Bologna Francesco Ubertini dà il benvenuto a papa Francesco in piazza San Domenico. "San Domenico e San Francesco qui vennero a contatto con lo studio - elenca il rettore -. Poi venne Dante Alighieri, e non a caso questi due santi sono celebrati come simboli della chiesa autentica nel suo Paradiso. Questa univeristà moderna che guarda il futuro trae forza dalle sue radici. Con valori come accoglienza, capacità di dialogo e di ascolto, che caratterizzano l'università e la nostra città: da qui nasce la cultura". A salutare il pontefice per conto degli studenti è il membro del Consiglio studentesco Davide Leardini, studente di Medicina. 




Cari amici,

sono contento di condividere questo momento con voi e ringrazio cordialmente il Rettore e lo studente per i loro interventi. Non potevo venire a Bologna senza incontrare il mondo universitario. L’Università di Bologna è da quasi mille anni laboratorio di umanesimo: qui il dialogo con le scienze ha inaugurato un’epoca e ha plasmato la città. Per questo, Bologna è chiamata “la dotta”: dotta ma non saccente, proprio grazie all’Università, che l’ha sempre resa aperta, educando cittadini del mondo e ricordando che l’identità a cui si appartiene è quella della casa comune, dell’universitas.

La parola universitas contiene l’idea del tutto e quella della comunità. Ci aiuta a fare memoria delle origini – è tanto prezioso coltivare la memoria! –, di quei gruppi di studenti che cominciarono a radunarsi attorno ai maestri. Due ideali li spinsero, uno “verticale”: non si può vivere davvero senza elevare l’animo alla conoscenza, senza il desiderio di puntare verso l’alto; e l’altro “orizzontale”: la ricerca va fatta insieme, stimolando e condividendo buoni interessi comuni. Ecco il carattere universale, che non ha mai paura di includere. Lo testimoniano seimila stemmi multicolori, ognuno dei quali rappresenta la famiglia di un giovane venuto qui a studiare, non solo da tante città italiane, ma da molti Paesi europei e persino dal Sudamerica! La vostra Alma Mater, e ogni università, è chiamata a ricercare ciò che unisce. L’accoglienza che riservate a studenti provenienti da contesti lontani e difficili è un bel segno: che Bologna, crocevia secolare di incontri, di confronto e relazione, e in tempi recenti culla del progetto Erasmus, possa coltivare sempre questa vocazione!

Tutto qui è iniziato attorno allo studio del diritto, a testimonianza che l’università in Europa ha le radici più profonde nell’umanesimo, cui le istituzioni civili e la Chiesa, nei loro ruoli ben distinti, hanno contribuito. Lo stesso San Domenico rimase ammirato dalla vitalità di Bologna e dal grande numero di studenti che vi accorrevano per studiare il diritto civile e canonico. Bologna col suo Studiumaveva saputo rispondere ai bisogni della nuova società, attirando studenti desiderosi di sapere. San Domenico li incontrò spesso. Secondo una narrazione, fu proprio uno scolaro, colpito dalla sua conoscenza della Sacra Scrittura, a domandargli su quali libri avesse studiato. È nota la risposta di Domenico: «Ho studiato nel libro della carità più che in altri; questo libro infatti insegna ogni cosa».

La ricerca del bene, infatti, è la chiave per riuscire veramente negli studi; l’amore è l’ingrediente che dà sapore ai tesori della conoscenza e, in particolare, ai diritti dell’uomo e dei popoli. Con questo spirito vorrei proporvi tre diritti, che mi sembrano attuali.

1. Diritto alla cultura. 
...

2. Diritto alla speranza.
...

3. Diritto alla pace. 
...

 Sogno un’Europa “universitaria e madre” che, memore della sua cultura, infonda speranza ai figli e sia strumento di pace per il mondo. Grazie.


Guarda il video

Papa Francesco lascia piazza San Domenico dopo avere ricevuto dal rettore Francesco Ubertini il Sigillum Magnum, la massima onoreficenza dell'Alma Mater. Sulla papa-mobile scoperta si dirige allo stadio Dall'Ara, dove già tantissimi fedeli lo stanno attendendo.