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venerdì 6 settembre 2013

Alessandro D'Avenia, Erri De Luca e Ilvo Diamanti parlano di futuro...


Nella città in cui vivo, alla velocità di una bicicletta, su un muro costellato da sfoghi, ho letto: “Il futuro non è più quello di una volta”. Ho immaginato chi, complice la notte, ha verniciato quel tormento, lo stesso racchiuso nelle migliaia di lettere che ricevo dai lettori dei miei romanzi. La parola che vorrei salvare è proprio “futuro”. Ripetiamo ossessivamente le parole di quel che perdiamo. La parola futuro è sulla bocca di tutti, proprio perché forse tra un po' ce ne resterà solo il suono. E senza questa parola ne sparisce un'altra che ci illudiamo sia più al sicuro: presente. Il presente è in realtà il luogo e il tempo in cui si realizza ciò che ci rappresentiamo come futuro. Se il futuro sparisce, evapora anche il presente...
Il padre è l'immagine del futuro, colui che è capace di provocare la nostalgia di futuro di cui ogni giovane ha bisogno per affrontare il presente. Padri sono i padri di famiglia, spesso assenti; padri sono i maestri a scuola e all’università, spesso padrini; padri sono i politici, spesso padroni; padri sono gli uomini delle agenzie educative (dalla chiesa alla tv), spesso patrigni. Padri sono tutti coloro a cui sono affidate le vite di altri, che padri diventano se si pongono al servizio di quella vita che non è loro e di cui dovranno rendere conto alla storia. Se i padri non servono le vite dei figli, ma le divorano, niente è più sul punto di essere. L'Italia del dopoguerra era di padri. Lo sarà quella di questa crisi, che non è sicuramente peggio di una guerra? 
Ogni uomo può sperare perché è atteso nello sguardo di un altro. Non controllato, non divorato. Lo so perché ho la fortuna di avere un padre: mio padre. Ho avuto la fortuna di conoscere grandi padri: M. Franchina e Padre Puglisi, rispettivamente professore di lettere e di religione del mio liceo, e poi Paolo Borsellino, vicino di casa. Da loro ho ricevuto il futuro e quindi il presente. E se oggi posso provare ad essere l'inizio di qualcosa, magari un buon padre, è perché quei padri con i loro sguardi mi hanno reso un buon figlio. A loro devo il mio futuro, cioè il mio presente. 

C’è un Mediterraneo del Sud che brulica di nascite e di gioventù. Ne trabocca fino a noi, che dobbiamo al loro contributo un miglioramento nel saldo tra decessi e nuove vite. Non foss’altro che per riconoscenza, un qualunque governo italiano dovrebbe conferire honoris causa la cittadinanza a chi, nascendo qua, ripopola il nostro sfoltimento.
Quando la gioventù si accorge di essere maggioranza, ha l’impulso di prendere la parola...
L’Italia di dopoguerra si riscattava dall’analfabetismo. Ecco i buoni ingredienti di una gioventù in rivolta: il numero e la consapevolezza.
Gli esorcisti venuti dopo e quelli che si sono dissociati da se stessi parlano di quel tempo come di ubriacatura. Si è trattato invece di una lucida e intransigente sobrietà di massa. La riconosco nelle rivolte del Sud da dove arriva l’alta marea del futuro. Anche gli innumerevoli di Rio in ascolto di un uomo che vuole chiamarsi Francesco, anche loro partecipano del fervore di una nuova gioventù, maggioranza del mondo.
In Egitto, in Turchia, in Brasile, in India si svolge la storia maggiore che sempre punta sull’energia rinnovabile di chi ha dalla sua il tempo e la nuova età di ragione.

C'era una volta il futuro. Oggi è scomparso. Una parola inutile, comunque inutilizzata. Il futuro. Illuminava l'orizzonte sociale e personale...