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mercoledì 4 settembre 2013

Il grido di Francesco per la pace - riflessioni e commenti di Marina Corradi, Alberto Melloni e Andrea Tornielli


Il grido di Francesco per la pace in Siria

«Ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi. C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni, a cui non si può sfuggire».
Ci eravamo abituati al tono sempre caldo, cordiale, del Papa. Domenica nell’ascoltarlo qualcuno di noi ha sussultato: per la prima volta forse abbiamo sentito un Francesco severo; nell’accento, e in quel suo volto ormai familiare. A fronte del ricordo delle terribili immagini da Goutha, di uomini e bambini agonizzanti nei gas lanciati – dal regime di Assad o dai ribelli, ma comunque, pare ormai, veramente lanciati dai siriani sul loro stesso popolo – il Papa ha cambiato voce e tono. Lui, che dal suo primo giorno a San Pietro ci ha parlato della misericordia immensa di Dio, davanti alle immagini di quei bambini lividi, e al disperato contrarsi dei loro piccoli toraci nel tentativo di respirare, è stato preso dallo sdegno di chi assiste al massacro di un indifeso. Quelle immagini, ha detto, gli si sono fissate nella mente e nel cuore - e con la mano si è toccato il petto, a indicare un groppo di dolore, duro, che gli è rimasto dentro, dal 21 agosto, giorno della strage di Goutha. 
C’è, un giudizio di Dio sulle nostre azioni, ci ha ricordato Francesco. E quest’uomo che da subito ci ha chiamati fratelli e sorelle, e sempre ci è apparso sorridente, domenica si è mostrato grave. Eppure, anche questa sua gravità ci ha confortati: perchè ha segnato la misura di una indignazione umana e santa di fronte al male assoluto; di un non poter tollerare, o consolarsi, delle facce, degli occhi di quei bambini.
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Ci ha fatto bene, la faccia del Papa per una volta severa. Come in una casa fa bene ai figli, sapere che un padre buono si può anche arrabbiare. Che c’è il bene e c’è il male, e la scelta non è indifferente. Che una strage di indifesi rimane col suo scandalo aperta, davanti a Dio, come una lacerazione che non si rimargina. 
E noi? Noi non possiamo restare indifferenti, ma possiamo caricarci un poco di quell’immane peso. 
Pregando: per le vittime, e perfino per gli assassini: perchè aprano gli occhi, e si fermino. Digiunando, come faremo sabato. Certi di un disegno in cui il non - senso non esiste, e ogni capello del capo è contato. Ci è stato molto caro, Francesco, anche nell’improvviso oscurarsi del suo sorriso; anzi forse di più, come quando sulla faccia di un padre riconosciamo il dolore.

Il modo in cui papa Francesco s'è fatto voce della tragedia di Siria e il gesto che ha annunciato per sabato hanno un significato che sarebbe riduttivo incasellare nella sequenza delle «rivoluzioni» bergogliane. Nell'Angelus di domenica ci sono infatti due citazioni teologicamente impegnative sia per chi le ha fatte sia per chi le ha ascoltate. 
«IL GRIDO CHE SALE» - Il Papa ha supplicato di porgere l'orecchio al «grido che sale» dalla terra: un movimento che, nella Scrittura, è quello che porta verso Dio la voce d'Israele in Mizraim (Egitto).
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ha scelto come cifra di riferimento quella del grido che è una citazione dell'Esodo e insieme una citazione del messaggio con cui Giovanni XXIII nell'ottobre 1962 scongiurò la deflagrazione atomica ai tempi della crisi di Cuba. Una scelta che dice come Francesco non abbia in mente una rituale deplorazione, ma voglia andare oltre. 
IL DIGIUNO - E l'oltre è indicato dall'altra citazione biblica del Vangelo di Marco che disegna il gesto annunciato per sabato 7. Francesco ha invitato al digiuno e alla preghiera i cristiani - e i capi delle grandi chiese dovranno prendere posizione. Ma si è rivolto allo stesso titolo anche ai non cristiani (per gli ebrei è l'indomani di Rosh Hashana, il Capodanno) e agli atei, invitati non in un cortile per esclusi, ma in una piazza che vuol essere icona dell'unità della famiglia umana in una lotta escatologica contro la guerra.
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VISIONE GLOBALE - Francesco dovrà dimostrare di avere una lettura piena e globale di una serie di crisi che la diplomazia vede come episodi separati e che le comunità cristiane, alla luce della loro minorità, sanno invece essere l'una il destino dell'altra. 
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Trovare il filo politico di questa lettura globale non è il mestiere del Papa: ma se il Papa trova il filo spirituale può darsi che qualcuno si accorga che quello che lega le terre dei figli di Abramo è un filo unico. Unico e insanguinato. 

Che avesse in animo di fare un annuncio grave e importante lo si era capito già in mattinata: il testo dell'Angelus del Papa non era stato preventivamente divulgato ai giornalisti con embargo. Il testo dell'appello pronunciato da Francesco per la pace in Siria, probabilmente soppesato fino all'ultimo minuto in ogni sua parola, è stato conosciuto da tutti solo al momento in cui il Papa ha cominciato a parlare. Per ritrovare dichiarazioni papali così gravi e drammatiche sulla guerra bisogna risalire alle parole pronunciate da Giovanni Paolo II all'Angelus di domenica 16 marzo 2003, alla vigilia dell'attacco occidentale all'Irak.
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La voce di Papa Francesco, domenica scorsa era partecipe, emozionata, grave e al tempo stesso ferma. Bergoglio ha parlato da padre, da pastore, da vescovo, non da politico. Ha tenuto conto di tutti gli elementi in campo. Ha condannato con fermezza l'orrore dell'uso delle armi chimiche. Ha fatto capire come l'aggiunta di violenza di guerra alla violenza e alla guerra già esistenti non rappresenta la soluzione ma rischia di aggravare un quadro già drammatico le cui conseguenze sono patite soprattutto dall'inerme popolazione civile.
Il monito di Francesco è stato quello di un padre che condivide l'angoscia di tanti suoi figli e dà voce agli «uomini e donne di pace» di ogni parte del mondo. Non ci sono tattiche o considerazioni geopolitiche. E anche per questo ogni lettura dell'appello papale finalizzata a capire se ce l'avesse più con il regime di Assad o con l'ipotesi di un attacco americano, appare forzata e inadeguata. Non erano e non sono, le parole di Francesco, da leggere con il bilancino della diplomazia. È del tutto evidente, oggi come in passato, che al Papa e ai Papi, non interessano innanzitutto le strategie geopolitiche quanto il destino concreto delle popolazioni civili. Il cuore dell'appello di domenica scorsa e l'attenzione e la vicinanza a coloro che soffrono e che pagano le conseguenze della guerra. Come pure colpiscono i tanti passaggi dell'appello nei quali Bergoglio ha parlato in prima persona, a mostrare tangibilmente quanto si senta in gioco, personalmente coinvolto
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La giornata di digiuno e preghiera di sabato 7 settembre, è un invito che Francesco rivolge ben al di là dei confini della Chiesa, del mondo cristiano, del mondo dei credenti di altre religioni. È un invito universale a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'umanità. Pregare se si crede, o comunque digiunare, è un modo per partecipare e per costruire la pace a partire dall'impegno concreto di ciascuno. Il momento è più drammatico di quanto potrebbe apparire, come traspare dalle parole preoccupate del vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio per la Giustizia e la pace, che ieri ha evocato lo spettro di un conflitto mondiale a partire dalla crisi siriana.
Anche per questo il Papa ripete le invocazioni alla Madonna, «Regina della pace». Vedendo ciò che è accaduto negli ultimi decenni, c'è davvero da augurarsi che la voce inerme del vescovo di Roma questa volta venga ascoltata. 
Leggi tutto: Le parole del Papa contro la guerra di Andrea Tornielli

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