“È alieno dalla ragione pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. Queste le parole di papa Giovanni nella Pacem in terris, l’enciclica indirizzata per la prima volta anche a “tutti gli uomini di buona volontà”. Poche settimane dopo Giovanni XXIII sarebbe morto e solo pochi mesi prima un suo intervento personale aveva scongiurato che la “guerra fredda” tra USA e URSS divampasse in conflitto nucleare a motivo delle tensioni attorno a Cuba. Oggi, a cinquant’anni di distanza, papa Francesco decide risolutamente di porre in gioco a sua volta tutta l’autorevolezza acquisita in pochi mesi di pontificato per fermare i venti di guerra che si addensano pericolosi sulla Siria.
L’appello per una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Medio Oriente e in tutto il mondo, i ripetuti vigorosi richiami per scongiurare la guerra, la convocazione del corpo diplomatico accreditato in Vaticano per spiegare le ragioni del dialogo e l’irragionevolezza della violenza, la lettera inviata al presidente Putin e ai partecipanti al G 20 a San Pietroburgo, i contatti discreti avviati dalla rete diplomatica vaticana: papa Francesco non sta lasciando nulla di intentato per fermare la corsa all’irreparabile. Papa Francesco si è posto come vero “intercessore” - da inter-cedere, “fare un passo tra” - perché si è messo tra le parti in conflitto, disarmato, senza difendere interessi propri, per chiedere la pace, offrendo così l’icona dell’autentica preghiera cristiana che si leva a Dio ma vuole essere al contempo efficace responsabilità tra gli uomini...
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