Lectio del Vangelo
della domenica
a cura di
fr. Egidio Palumbo
della Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME)
VI DOMENICA di PASQUA - anno C - 5-5-2013
La nostra esistenza dimora della Trinità
1. L’itinerario mistagogico del tempo pasquale di questa domenica (Gv 14,23-29) si sofferma a considerare come secondo frutto della Pasqua – siamo infatti ancora nel contesto del grande discorso testamentario che Gesù fa nella cena pasquale – l’edificazione della nostra esistenza come abitazione stabile di Dio Trinità: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Gesù, prima di andare al Padre, ci lascia quest’altra consegna che ancora una volta impegna la nostra responsabilità di cristiani maturi in umanità e nella fede.
Vediamo più da vicino che cosa comporta.
2. Diventare dimora stabile della Trinità non è un fatto naturale e automatico, ma scaturisce dalla nostra fedeltà all’amore del Signore e dalla nostra attenzione e cura a custodire la sua Parola. Perciò Gesù ci dice:
— «Se… »: dentro questo “se” c’è tutta la sua volontà di lasciarci liberi di scegliere, senza costrizione o ricatti.
— «… uno mi ama»: è la scelta dell’amore fedele, incondizionato, gratuito che qualifica la relazione di profonda comunione con Lui. Bisogna notare che Gesù sta rispondendo a Giuda, non l’Iscariota (sarebbe Giuda fratello di Giacomo o Giuda Taddeo) il quale gli domanda perché si manifesta ai discepoli e non al mondo (Gv 14,22). Questa domanda riprende la forte sollecitazione che era stata fatta a Gesù dai suoi famigliari in Gv 7,4, i quali volevano che manifestasse al mondo le sue opere, non di nascosto, ma pubblicamente, così sarebbe stato pubblicamente riconosciuto, avrebbe avuto un grande consenso e riscosso un grande successo. Ebbene, Gesù non cerca il consenso e il successo, cerca una relazione di comunione profonda, non cerca simpatizzanti, sostenitori e militanti, ma cerca discepoli e fratelli...
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