«Fra le più alte partecipazioni di pubblico mai registrate». Così commentava la riuscita dell'evento il responsabile della Konrad Adenauer Foundation in Israele, sponsor del convegno internazionale tenutosi in questi giorni a Gerusalemme su «Giovanni XXIII e il popolo ebraico» a cinquant'anni dalla morte del "Papa buono". Ciò che ha sorpreso non è stata tanto la presenza di studiosi di ogni parte del mondo, cui si aggiungeva quella dei membri della commissione congiunta della Santa Sede e del Gran Rabbinato d'Israele, quanto l'interesse che l'iniziativa ha riscosso in ambito ebraico. In realtà, è dal Venerdì Santo del 1959, quando Papa Giovanni da non molto eletto, sorprendendo tutti, aveva voluto che si eliminasse l'aggettivo "perfidi" davanti al termine "Giudei" nella preghiera per il popolo ebraico, che una nuova era ha avuto inizio nelle relazioni fra il popolo da cui è venuto Gesù, e di cui Egli fa parte per sempre, e la Chiesa da Lui voluta, affidata agli apostoli, in particolare a Pietro, il pescatore di Galilea, e ai loro successori. Dall'insegnamento del disprezzo, che troppo a lungo aveva ispirato l'atteggiamento della maggioranza dei cristiani nei riguardi d'Israele, si è passati al rispetto e all'amicizia fra chi riconosce nell'alleanza mai revocata e nel popolo dei Patriarchi e dei Profeti la radice santa della Chiesa - come fa Paolo nella lettera ai Romani (capitolo 11) - e questo stesso popolo. L'Apostolo sottolinea, inoltre, che non è l'albero a portare la radice, ma questa a portare l'albero! Da una tale consapevolezza deriva un rapporto di coappartenenza e di fiducia tra cristiani ed ebrei, consacrato dal decreto Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, di cui è stato da poco celebrato il cinquantesimo anniversario dall'apertura. Non si può essere discepoli di Gesù e amarlo se non si ama al contempo il popolo da cui è venuto! ...
Leggi tutto: "Il filo del rispetto che lega le grandi religioni" di Bruno Forte