Sudan, l’inferno dimenticato
di Gaia Giletta*
Gaza, una pausa nella mia Torino, e poi il Darfur, in Sudan. In quest’ordine ho vissuto i miei ultimi mesi come infermiera di Medici Senza Frontiere (Msf). Gaza è una striscia di terra chiusa e soffocante, dove i rumori della guerra e le urla di dolore risuonano più intensamente, mentre in Sudan il fragore della sofferenza si disperde in un territorio grande sei volte l’Italia. La frustrazione è immensa. In Sudan si combatte da due anni, oggi è l’anniversario dello scoppio della guerra, ma il mondo resta sordo. E, quindi, anche muto.
A Gaza la popolazione è ammassata in una striscia di terra da cui non può uscire, dal Sudan invece si fugge, all’interno come all’esterno del Paese, verso il Ciad, l’Etiopia, il Sud Sudan. I campi per persone sfollate sono svariati, il più grande si trova in Darfur, a Zamzam, in questi giorni sotto attacco delle Forze di Supporto Rapido. Questi campi sono la prefigurazione di quel che potrebbe succedere anche a Gaza se gli spostamenti lungo i confini fossero consentiti. La crisi di sfollati causata dalla guerra in Sudan è allarmante, ma non se ne parla, come se ci fosse umanamente estranea e si consumasse su un altro pianeta. Ci sono quasi 13 milioni di persone sfollate, la maggior parte di loro non ha accesso al cibo per sopravvivere e all’assistenza sanitaria. Tra le tende si muore di stenti.
Sono appena rientrata dal Sudan, dove ho lavorato per otto settimane, come specialista in malnutrizione, cominciando da El Geneina, nel Darfur orientale. Sono pronta a ripartire per una nuova missione. Laggiù, avrei dovuto spostarmi a Khartoum, nell’ospedale di Msf per coordinare un programma di malnutrizione. Purtroppo, a Khartoum non sono mai riuscita ad arrivare: è inaccessibile.
Col team siamo però riusciti a inviare medicinali e altri beni essenziali per supportare i colleghi sul posto. Spesso le videochiamate con i colleghi erano interrotte dai bombardamenti, dovevano correre al riparo o prepararci ad accogliere con urgenza centinaia di feriti. Avrei voluto fare molto di più per aiutarli. Ho convissuto con un grande senso di frustrazione, abbiamo potuto fare solo quel che ci veniva concesso, eppure sentivo che non bastava, i bisogni della popolazione sono esorbitanti.
Con le cliniche mobili nel Darfur orientale curiamo circa 500 bambini malnutriti a settimana.
Gli afflussi di feriti in ospedale, dopo gli attacchi indiscriminati contro la popolazione, sono continui, si vedono arrivare anche 100 persone al giorno in condizioni gravi. Tanti di questi attacchi avvengono vicino agli ospedali, anche a meno di 100 metri, e spesso sono direzionati proprio verso le strutture e lo staff sanitario. Non c’è alcun rispetto per la vita umana.
La conseguenza di questi attacchi è stata drastica: tante organizzazioni umanitarie hanno lasciato il Sudan, anche Msf ha dovuto sospendere più volte le attività in alcuni punti del Paese, come è successo a metà gennaio per l’ospedale Bashair Teaching di Khartoum. Curare i pazienti diventa un rischio per la vita degli operatori: in Sudan, come a Gaza, è saltata ogni regola, lo stato d’eccezione della guerra non ha risparmiato neppure gli ospedali. Il Sudan è un deserto umanitario che singhiozza nell’indifferenza del mondo, anche di fronte al bombardamento di un mercato, i cui bersagli sono stati solo civili affamati e inermi.
* Infermiera specialista in malnutrizione di Medici Senza Frontiere
(Fonte: “La Stampa” - 15 aprile 2025)