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lunedì 9 settembre 2024

Noi ebrei e i palestinesi condannati all’inferno di Roy Chen

Noi ebrei e i palestinesi
condannati all’inferno
di Roy Chen


Domenica scorsa sono andato ad una manifestazione a Tel Aviv assieme ad altre 500.000 persone. Invece di fare rumore, come facciamo da quasi due anni, stavamo in silenzio. I cartelli chiedevano l’accordo per il rilascio degli ostaggi e la fine immediata della guerra. Abbiamo perso molto negli ultimi 11 mesi, eppure possiamo perdere ancora molto.

Siamo stati informati che sei ostaggi sono stati brutalmente assassinati da Hamas. Il Paese intero è piombato in un dolore lancinante e collettivo. Rappresentavano una sorta di microcosmo israeliano. Hersh, un giovane originario della California che voleva solo divertirsi al Festival Nova, Eden, una giovane donna che lavorava lì come barista, Ori, che aveva lasciato la festa quando è iniziato l’attacco ed è tornata indietro per salvare gli altri, Almog, uno studente di ingegneria la cui ragazza è rimasta ferita nella sparatoria, Alex, un cittadino russo immigrato, e Carmel, una studentessa di Tel Aviv venuta a visitare la sua famiglia. Dopo che sua madre di 68 anni è stata brutalmente assassinata, Carmel è stata rapita insieme al fratello, alla cognata e alla loro figlia di 3 anni. Ho sentito che aiutava gli altri ostaggi con la meditazione e lo yoga durante la prigionia. Inconcepibile: yoga all’inferno. Questa settimana per loro l’inferno è finito, ma continua per gli ostaggi ancora vivi.

Ora, c’è chi pensa con rabbia: anche i palestinesi stanno attraversando l’inferno. Ed è vero, purtroppo. Qualcuno sosterrà che la loro sofferenza è maggiore della nostra, e qualcun altro sosterrà esattamente il contrario. Ma non saranno coloro che paragonano la sofferenza alla sofferenza che ci aiuteranno a uscire da questo fango.

La manifestazione di domenica si è conclusa come sempre: poliziotti, cavalli imbizzarriti, violenza, e il giorno successivo è stato un altro solito giorno in questa realtà distorta. Il primo ministro ha detto che coloro che partecipano a queste manifestazioni sostengono Hamas. Per lui non è concepibile che possiamo essere contro di lui e al tempo stesso contro Hamas. Così come possiamo essere a favore dello Stato di Israele e a favore dello Stato di Palestina. È complesso! È tutto tragicamente complesso. Ed ecco perché l’unico cartello che potrei davvero sollevare a una manifestazione sarebbe un cartello con sopra scritto a lettere cubitali: «È complesso!».

C’è una guerra di religione tra musulmani estremisti ed ebrei estremisti. E c’è un conflitto sanguinoso tra israeliani e palestinesi. Ma la guerra di religione e il conflitto non sono la stessa cosa. La Striscia di Gaza è governata da un’organizzazione terroristica, è stata eletta, si chiama Hamas. E Israele ha un primo ministro corrotto e bugiardo, democraticamente eletto, che indossa una cintura esplosiva realizzata da un gruppo di ministri estremisti. Ma contrariamente a quanto forse vi viene detto, gli israeliani non hanno una sola visione di questo conflitto. In un Paese democratico le opinioni sono diverse. Durante la manifestazione, era chiaro alle centinaia di migliaia di persone intorno a me che è necessario riportare a casa gli ostaggi, fermare la guerra, sostituire la leadership in entrambi i Paesi e iniziare un lungo e doloroso processo di guarigione.

Le persone che si considerano filo-israeliane o filo-palestinesi sottovalutano qualcosa di essenziale. Qui non ci sono due nazioni, ce ne sono almeno quattro. Ebrei religiosi, musulmani religiosi, israeliani e palestinesi laici. E ci sono anche cristiani, baha’i, atei, drusi, agnostici e soprattutto ragazzi che vogliono vivere la loro propria semplice vita.

Se siete per la «liberazione della Palestina» non dovete essere necessariamente contro Israele, eppure sembra che per molti le due cose debbano coincidere. Ma la realtà è più complessa. Per tutta la vita – così mi hanno cresciuto i miei genitori – ho affermato: porre fine all’occupazione, cercare con forza di far rivivere un processo politico per una soluzione di «due popoli e due stati» in pace e sicurezza per tutti.

Incolpo i palestinesi per non aver combattuto Hamas e incolpo me stesso e i miei amici per non aver combattuto abbastanza contro il governo estremista che ci porta nell’abisso. Cerco di non accettare mai visioni univoche, soluzioni estreme, polarizzazioni semplicistiche. E cerco di rimanere positivo e per sollevarmi dalla disperazione mi capita di immaginare cose assurde, come un’arena al centro della quale invece di gladiatori che si prendono a pugni scendono persone comuni che si abbracciano o rimangono in silenzio, mano nella mano.

Molti hanno una spiegazione semplice e vogliono essere dalla parte giusta della storia, ma spesso le persone devono solo sfogare il proprio odio, o magari ricevere un like in più. Se posso dare un consiglio personale: invece di cercare un popolo da odiare, trovate un popolo da amare e di cui avere compassione, anzi, trovatene due.

(Pubblicato su “La Stampa” -5 settembre 2024)