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giovedì 12 settembre 2024

VINCENZO PAGLIA - La crisi della nostra Europa: manca una visione comune nell’interesse di tutti

La crisi della nostra Europa: 
manca una visione comune 
nell’interesse di tutti 

Vincenzo Paglia


Parto da un’affermazione di Massimo Cacciari su La Stampa: «Le guerre in atto non sono necessarie; hanno cause determinate precisamente, non mettono a rischio “spazi imperiali”. Perciò è criminale non compiere ogni sforzo politico-diplomatico per farle cessare». Sono 59 le guerre in atto (dall’Ucraina a Gaza al Sudan… la gran parte ignorate dai più). Papa Francesco – l’unico con una visione universale – continua ad avvertirci che stiamo combattendo già la “Terza guerra mondiale” sebbene “a pezzettini”. Comunque, il mondo lo stiamo già facendo a pezzi! Non c’è uno straccio di visione unitiva planetaria. Aveva ragione il giovane Karol Wojtyla: «L’uomo soffre soprattutto per mancanza di visione». È la tristissima foto dell’oggi.

C’è stato un momento nel quale tutti abbiamo sognato un mondo nuovo: la notte del 9 novembre del 1989 quando, senza spargere neppure una goccia di sangue, fu buttato giù il muro di Berlino. Tutti sperammo: «Finalmente un mondo unito e universale!». In effetti, gli anni immediatamente successivi furono straordinari: il 4 ottobre 1992 si firmò la pace in Mozambico, dopo 17 anni di guerra con un milione di morti e due milioni e mezzo di profughi; ci fu l’accordo di Oslo tra israeliani e palestinesi (oggi impensabile); terminò l’Apartheid in Sud Africa (sono passati poco più di 30 anni e ci sembra un’altra era). E Michail Gorbacev scriveva: «La costruzione della “casa europea” richiede una cooperazione costruttiva… e noi siamo ben disposti a farlo». Erano quegli anni! Ossia solo 34 anni fa. In realtà, passarono poco più di tre anni dall’89 e scoppiò la “guerra balcanica” e, con essa, la “balcanizzazione” del mondo. Una sorta di contro-globalizzazione: una corsa a ripiegarsi su sé stessi, sulla propria etnia, sulla propria nazione…

Intanto siamo immersi in un “cambiamento d’epoca”. È a dire che, per la prima volta nella storia, possiamo distruggere noi stessi e il creato. C’è da tremare! E possiamo farlo. Si torna a parlare allegramente di bombe nucleari “tattiche”. Il dissesto ecologico non si ferma, nonostante l’incontro di Parigi del 2015. Tutti ora siamo allarmati per le nuove “tecnologie emergenti e convergenti” che possono trasformare radicalmente l’umano (si parla di transumanesimo, di post-umanesimo, di uomo potenziato). Eppure, come sonnambuli continuiamo a ballare sull’orlo dell’abisso, come ci ha avvertito da decenni Hans Jonas. Come non pensare ad un sussulto morale e ad una vera Politica? Le guerre ci dicono che la politica è fallita: la voce è alle armi non alle parole. Cacciari giustamente si chiede: «Abolire la guerra è un astratto Fine da anime belle?». No, oggi è una elementare saggezza. L’aveva capito già Don Luigi Sturzo, nel 1929, di fronte alle immani distruzioni della Prima guerra mondiale. Scriveva: «La guerra, come mezzo giuridico di tutela del diritto, dovrà essere abolita, così come legalmente furono abolite la poligamia, la schiavitù…». Lo ripropose nel 1951, dopo la Seconda guerra mondiale. Dobbiamo aspettare la Terza? Riflettiamo! Far tornare la Politica significa: trattare, trattare e trattare ancora! E non: uccidere, uccidere e uccidere ancora!

Purtroppo un virus – peggiore del Covid-19 – l’iper-individualismo continua a sgretolare le radici della socialità. Giuseppe De Rita parla di una nuova religione: la “egolatria”, il culto dell’Io, il cui primo santo è “San Narciso” a cui tutti si affidano, dimenticandosi però che annegò contemplando sé stesso: è anche questa la causa di tanti omicidi familiari nel nostro Paese. Va ricostruito con urgenza il Noi, ossia ridare forza ai legami e alle visioni comuni. «Rigenerare il futuro, dall’io al noi», afferma Andrea Riccardi. Un’Europa solidale – il presidente Sergio Mattarella ha invitato tutti a farla crescere – è a mio modesto avviso l’incipit più chiaro da cui si può iniziare o ri-iniziare. Attingendo dal suo bagaglio umanistico si può ridisegnare quel Noi planetario di cui ha bisogno sia il mondo che l’Italia. Con la memoria attenta agli anni della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, mi chiedo: non è venuto il momento che uomini “liberi e forti” si ritrovino per sognare un’Europa che sia per tutti? Il cardinale Zuppi ha parlato anche di una possibile Camaldoli europea:

«Tornare a Camaldoli, allora, è un bisogno e una chiamata: per guardare lontano e liberarsi dalla prigionia del presente. Il Codice è stato un’iniziativa coraggiosa di chi non aspettava gli eventi, non stava a guardare ma voleva andare oltre il fascismo e le distruzioni della guerra. Niente avviene in maniera uguale. Ma lasciamoci ispirare dalla storia».

Perché non accogliere l’invito? C’è bisogno di un analogo slancio per ricostruire il futuro dell’Europa. Stiamo assistendo, allibiti, all’indebolimento delle democrazie avanzate e alla crescita delle cosiddette “democrature” o “autocrazie”. E sono troppi – sia individui, sia gruppi, sia popoli – che da anni vivono in una condizione di spaesamento. È indilazionabile un nuovo impegno per un’Europa che promuova un assetto internazionale con l’Italia che ne sia protagonista. Con un amico come Giuliano Amato ci siamo chiesti se, di fronte all’inaridimento della politica, i cattolici non debbano essere più creativi ed audaci per una Politica tesa al bene comune di tutti.
Sono convinto che il cristianesimo debba appassionarsi di nuovo all’Europa: non per farne la ridotta dentro la quale difendere un cristianesimo identitario, minoritario e residuale. Bensì per restituirle la passione contagiosa per un umanesimo che riproponga nell’oggi l’ispirazione evangelica che include Dio e il prossimo in un unico comandamento.

(Fonte: “La Stampa” - 10 settembre 2024)