Infanticidio di Parma: «Dal primo giorno di vita insegniamo ai nostri figli che di fronte ai problemi non bisogna scappare»
La psicopedagogista Barbara Tamborini si rivolge ai genitori commentando il doppio infanticidio di Traversetolo. «Usiamo tutte le parole che abbiamo per parlare a chi sta crescendo della vita e della morte, del bene e del male»
Le cronache ci raccontano sempre più spesso di persone che compiono azioni inimmaginabili che ci lasciano senza parole: la famiglia sterminata a Paderno Dugnano, l’omicidio di Sharon Verzeni e ora il doppio infanticidio a Parma. A essere senza parole non siamo solo noi che ascoltiamo dai media queste notizie, lo sono anche le persone prossime ai diretti protagonisti. Lo sono i vicini di casa, i fidanzati, i genitori, gli amici delle vittime e dei loro aggressori.
Una ragazza di 22 anni partorisce senza che nessuno per nove mesi si accorga della sua gravidanza. Non se ne accorgono i genitori e neppure il fidanzato. Non ne sanno niente le amiche, riesce a tenere il suo corpo in una condizione tale da non rivelare la presenza di un feto che cresce fino al termine della gravidanza, momento in cui, la madre lo fa nascere presumibilmente da sola. Dall’autopsia emerge che il neonato abbia respirato e poi sia morto poco dopo per cause ancora da definire. Lei lo seppellisce in un campo senza dire niente a nessuno, neppure al fidanzato che poi è risultato essere il padre biologico del neonato. Notizia di ieri è che nello stesso campo è stato rinvenuto un altro neonato, sepolto lì da circa un anno. I sospetti ricadono ancora sulla studentessa e le indagini ne stanno accertando le implicazioni. Ecco un nuovo rompicapo: come può una ragazza di ventidue anni fare tutto questo e nello stesso tempo condurre una vita apparentemente normale? Come può essere così labile il confine tra ciò che si può fare e ciò che non si può fare? Come è possibile che una brava studentessa seppellisca un neonato e poi vada in vacanza? Come è possibile che la voce della coscienza si possa così zittire?
L’iper connessione nella quale siamo immersi ci fa vedere su maxi schermo ogni dettaglio di questi eventi drammatici e non ci è possibile voltare lo sguardo. Spesso però i media si limitano a parlare alla “pancia” degli spettatori. Le dirette e gli approfondimenti amplificano le paure e le narrazione minuto per minuto tengono col fiato sospeso. Restiamo sconvolti di fronte allo scorrere delle immagini di queste tragedie in attesa di nuovi dettagli fino a che i fari si spengono e ciascuno fa di quel dolore quel che vuole.
Come adulto m’interrogo su cosa possiamo fare di fronte a questo assottigliamento tra bene e male. Come orientare al bene chi sta crescendo? Dobbiamo essere disponibili a parlare della vita così come della morte. Noi adulti abbiamo il dovere di insegnare ai bambini con le parole e con l’esempio che ogni problema può essere affrontato. La bellezza si mischia di continuo con l’ingiustizia, il dolore e la fatica. Chi sta crescendo deve poter avere vicino adulti coraggiosi. Non adulti perfetti, ma adulti che in quanto tali provano ad educare, a cercare le parole di fronte all’indicibile. Dal primo giorno di vita dobbiamo insegnare ai nostri figli che di fronte ai problemi non bisogna scappare. A volte siamo senza parole, siamo sconvolti eppure restiamo lì e ci proviamo, un passo, una parola, un gesto per costruire significati che danno senso alle cose, che permettono di andare oltre. Quante volte di fronte a un lutto o alla notizia di una malattia come adulti siamo tentati di mettere in protezione i nostri figli e di tenerli lontani da quel “male” che non vorremmo? Eppure dentro a quel territorio si costruisce la forza di essere gli adulti di domani. Chi cresce ha bisogno di tante parole per capire, di guardare il bello e il brutto, di fare domande, di stare sulle cose. E questo avviene guardandosi negli occhi, tenendosi vicini.
Se faremo tutto questo, ogni giorno, forse non cambierà nulla rispetto alle notizie di cronaca che ci sconvolgono. Eppure vale la pena farlo. Vale la pena educare all’umano, come magari hanno provato a fare i genitori di Riccardo o di Chiara. L’inspiegabile accadrà sempre e di fronte ad esso resteremo senza parole, come è giusto che sia. Ma non fermiamoci lì. Usiamo tutte le parole che possiamo per parlare a chi sta crescendo della vita e della morte, del bene e del male.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Barbara Tamborini 18/09/2024)