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mercoledì 3 maggio 2023

Mese di Maggio dedicato alla Madonna - Gianfranco Ravasi: Nostra Signora di maggio - Benigni recita il Canto XXXIII del Paradiso

Mese di Maggio dedicato alla Madonna


Nostra Signora di maggio

di Gianfranco Ravasi

Anche chi non ha più nessuna pratica religiosa conserva il ricordo del mese di maggio come del tempo dedicato alla madre di Gesù, Maria, contrassegnato in passato dai cosiddetti “fioretti”, piccoli sacrifici da offrire alla Vergine. È, questa, una devozione tipicamente italiana, iniziata nel Settecento e poi diffusa in altre nazioni, soprattutto in connessione col mondo agrario e la stagione primaverile.

Studiosi importanti della pietà popolare, come il famoso francescano svizzero Giovanni Pozzi (1923-2002) e il sacerdote lucano-romano Giuseppe De Luca (1898-1962), vagliarono a livello storico-critico e letterario questo imponente fenomeno socio-religioso. Si pensi che uno dei vari libretti destinati a incrementare la qualità mariana del maggio italiano, il Mese di Maria di Alfonso Muzzarelli, pubblicato a Ferrara nel 1785, ebbe in pochi decenni più di 150 edizioni! A questo proposito è significativo registrare un dato pastorale ancor oggi rilevante, nonostante l’onda secolarizzante. Il prossimo 8 maggio sarò a Pompei, invitato a presiedere la celebre Supplica alla Madonna nella piazza antistante il noto santuario mariano eretto tra il 1876 e il 1939, meta di pellegrini ma anche di turisti provenienti dai vicini scavi archeologici. Alla base di questa tradizione popolare c’è uno scritto di un avvocato, Bartolo Longo, che consacrò tutta la sua vita (1841-1926) alla cura dei malati e dei poveri: esso s’intitola I quindici sabati del santissimo rosario (1877), e quella che ho tra le mani è la 75a edizione datata 1981! Ma per rendere ragione dell’ampiezza sotterranea di questa letteratura devozionale mariana, si pensi che lo scritto più noto del Longo, la Novena d’impetrazione alla SS. Vergine del rosario di Pompei (1889), nell’esemplare che ho potuto consultare, datato 1974, si nota che si tratta della 1153a edizione! 

La devozione mariana popolare è certamente una realtà pastorale di grande rilievo (basti citare i santuari di Loreto, Lourdes, Fatima e il recente e problematico caso “Medjugorje”), ma lo è anche a livello di antropologia culturale, tant’è vero che la bibliografia è, al riguardo, sterminata. Né si deve escludere la più specifica riflessione teologica, la cosiddetta “mariologia”
che si affida ormai a vere e proprie biblioteche di trattati, dizionari, saggi, riviste, accademie, centri di ricerca: uno studioso, Tiziano Civiero, segnalava che «una buona biblioteca mariana è composta da non meno di 20-23mila volumi». 

Si pensi, poi, al risalto che ha la figura della madre di Gesù nel dialogo interreligioso con l’Islam. Maryam, infatti, è l’unica donna chiamata per nome nel Corano che le intitola un’intera sura, la XIX, e la evoca in molte altre, in particolare la III. Anche la tradizione musulmana le assegna la missione alta di generare verginalmente il profeta Gesù attraverso lo spirito di Dio. La invoca, poi, Sayyidatunâ, «nostra Signora» e la considera una delle quattro donne sante per eccellenza, con la figlia del faraone che salvò Mosè, con Cadigia e Fatima, rispettivamente moglie e figlia di Maometto. Nel giorno del giudizio sarà la prima, tra le donne e gli uomini, ad avanzare davanti al Dio giudice supremo, espletando così una funzione di intercessione. 

Ma ritorniamo alla mariologia cristiana per segnalare un evento particolare che si collega al discorso precedente sull’impatto che questa figura ha nel cristianesimo, non solo cattolico (si pensi allo spicco che ha Maria nella liturgia, nella spiritualità, nell’arte ortodossa delle icone e nella stessa letteratura religiosa, ad esempio, con lo splendido inno Acatisto). Pochi giorni fa, il 28 aprile, è caduto il terzo centenario della morte di un sacerdote francese, LuigiMaria Grignion de Monfort, nato a Monfort-sur-mer in Bretagna nel 1673, canonizzato da Pio XII nel 1947. La sua presenza nella storia della Chiesa è, certo, legata alle congregazioni religiose da lui fondate (in particolare la Compagnia di Maria, i Monfortani appunto, ai quali a Roma è persino intitolato un viale nella zona di Torrevecchia). Ma lo è soprattutto per l’impulso da lui dato alla spiritualità mariana. Nel 1713, infatti, egli compose un Trattato della vera Devozione a Maria Vergine che fu ritrovato solo nel 1842 e pubblicato l’anno successivo: da allora ebbe più di quattrocento edizioni e divenne un classico del genere. La sua era un’impostazione ben lontana da un certo devozionismo esasperato e persino degenerato che si registra anche ai nostri giorni e che è più da rubricare come un fenomeno psico-sociologico, ben evidente in molte attestazioni pubbliche e personali eccessive. Il suo, infatti, era un attento dosaggio tra dottrina e sentimento, con la stella polare della cristologia, destinata a guidare il “vero” percorso devozionale. Non per nulla l’impegno pastorale dominante in Grignion de Monfort erano le missioni predicate al popolo: durante la sua vita ne compì ben duecento nelle aree rurali di Francia con la meta finale della rinnovazione delle promesse battesimali da parte del cristiano, che siglava un “patto di alleanza” con Dio per edificare un mondo più giusto e santo. Sono curiosi le incisioni e i disegni a noi pervenuti delle processioni di chiusura di queste missioni, con file immense di fedeli, come quella tenutasi il 16 agosto 1711 a La Rochelle, tutta al femminile. 

Questo aspetto nazional-popolare – a cui finora abbiamo fatto riferimento – non deve far dimenticare che esiste un’importante e mirabile letteratura mariana “alta”. Si potrebbe, in questo senso, comporre un grandioso “canzoniere” mariano, naturalmente a partire da quello straordinario canto XXXIII del Paradiso dantesco, capace di intrecciare in armonia suprema la teologia con la poesia, meritatamente reso popolare da Benigni. Ma ci sarebbero subito da allegare Boccaccio, col sonetto O Regina degli angioli, o Maria, e Petrarca con la canzone Vergine bella, che di sol vestita, per non parlare del Pianto de la Madonna di Iacopone da Todi, giù giù fino al Tasso che canta la Madonna di Loreto, a Parini, Manzoni, Pascoli, Rilke, Ungaretti, e persino Pasolini che, nell’Usignolo della Chiesa Cattolica, ci ha lasciato un’Annunciazione e una Litania. 
Sono molte, infatti, le presenze inattese di fronte alla «Vergine Madre, figlia del tuo figlio». Che il filosofo Vico componga un sonetto per la festa dell’Immacolata del 1742 a Napoli è comprensibile, ma che Sartre ateo dichiarato offra un’eccezionale e teologicamente impeccabile confessione personale di Maria mentre stringe tra le braccia il neonato Gesù può certamente sorprendere (la si legga nel dramma Bariona o il figlio del tuono, composto nello Stalag XII D di Treviri nel Natale 1940, ove il filosofo era internato). Noi, un po’ in anticlimax, evochiamo in finale il più popolare Trilussa con questi suoi versi semplici e delicati: 
«Quand’ero regazzino, mamma mia / me diceva: “Ricordati, figliolo, / quanno te senti veramente solo / tu prova a recità ’n’Ave Maria. / L’anima tua da sola spicca er volo / e se solleva, come pe’ maggia». / Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato; / da un pezzo s’è addormita la vecchietta, / ma quer consijo non l’ho mai scordato. / Come me sento veramente solo / io prego la Madonna benedetta / e l’anima da sola pija er volo!».
(fonte: Il Sole 24 Ore 1 maggio 2016)

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Benigni recita il Canto XXXIII vv. 1-21 del Paradiso

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