LA LEZIONE DI BARBIANA
Lettera di Mario Lancisi
al ministro dell’Istruzione
Giuseppe Valditara
«Il merito è una colossale presa in giro dei poveri.
Non c’è merito senza giustizia»
Signor ministro,
nel mio studio tengo in evidenza il disegno di una piramide. Quella che in Lettera a una professoressa raffigura gli iscritti alle scuole nell’anno 1963-64.
Alla base gli studenti delle elementari, in vetta gli universitari e i laureati:
«Dalle elementari in su la piramide sembra tagliata a colpi d’ascia. Ogni colpo una creatura che va a lavorare prima d’essere eguale».
Sono un giornalista che da anni si occupa di don Milani.
Il mio primo libro, con molte lettere inedite, è uscito nel 1977 e Panorama di Lamberto Sechi lo richiamò in copertina. Ero un giovane universitario e da allora sul priore di Barbiana ho scritto molto (l’ultimo libro, DonMilani -Vita di un profeta disobbediente, è uscito lo scorso gennaio per i 100 anni dalla nascita), ma anche su personaggi la cui opera ha richiamato, almeno in me, il senso di don Milani
per gli ultimi: da padreAlex Zanotelli a Gino Strada.
A 40 anni dalla Lettera a una professoressa c’è chi si è preso la briga di confrontare i dati dei bocciati del 1963-64 con quelli del 2007. Conclusione? La situazione non era affatto migliorata e non credo che nel frattempo la base della piramide si sia ridotta, anzi.
Solo che, in fondo alla piramide, ai figli degli operai e dei montanari sono subentrati soprattutto quelli degli immigrati. Come Abel, per esempio, bocciato in prima media dalla professoressa di spagnolo. Nonostante parlasse bene l’italiano e anche l’inglese.
Quando penso ad Abel e a tante altre ragazze e ragazzi come lui, mi affiora alla mente questo passo della Lettera: «Bocciare è come sparare in un cespuglio.
Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo». Abel, rumeno, famiglia poverissima, ha dormito per anni nei corridoi della Caritas. Un ragazzo? Una lepre? O nessuno?
Anche io, signor ministro, sono stato bocciato e ho rischiato di far parte della base della piramide.
Quella dei respinti, dispersi, scartati. Invece mi sono ritrovato in cima. Se non sono stato costretto ad andare “a lavorare prima d’essere eguale”, lo devo però non alla scuola, come dovrebbe essere, secondo
la Costituzione, ma a un prete: don Lorenzo Milani.
Quando sono stato bocciato, qualcuno infatti mi suggerì di leggere Lettera a una professoressa.
L’incipit mi catturò. «Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete».
Man mano che procedevo nella lettura ero preso da una gran voglia di ridere e di piangere, un po’ come era capitato a Pier Paolo Pasolini, perché la Lettera esprimeva tutto quello che io sentivo dentro ma non riuscivo a tirare fuori per timidezza, per il senso di inferiorità impresso nei poveri e per incapacità a usare la parola.
«È solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli».
Questa la grande lezione di don Milani: il passaggio da uno stato di minorità ad uno di eguaglianza avviene attraverso il possesso della parola.
La Lettera mi aiutò a superare il senso di colpa e di fallimento che in genere prende i bocciati.
Non ero io ad aver fallito, ma la scuola, che non può essere «un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Rivela uno studio della Caritas che «la percentuale più alta di abbandoni scolastici si registra nelle famiglie con redditi bassi e in cui gli stessi genitori non sono andati oltre la terza media». Come ai tempi di don Milani.
Capisce allora, signor ministro, che il merito che ha voluto aggiungere al ministero dell’Istruzione è una
colossale presa in giro dei poveri. Non c’è merito senza giustizia. Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali.
L’altro aspetto che mi colpì nella Lettera riguardava il processo di critica della cultura dominante.
«Tutta la vostra cultura è costruita così. Come se il mondo foste voi». La Lettera affermava una pluralità di culture e l’abolizione non solo dei voti ma anche dei programmi nozionistici. A Barbiana tutto era scuola, motivo di conoscenza e istruzione. E la lezione più grande che ho appreso da don Milani è il senso della politica come “I care”, interesse per gli altri, contrapposto alme ne frego fascista.
La cultura come solidarietà. A Barbiana chi era avanti aiutava chi stava indietro.
Lei, signor ministro, aspira a una scuola del merito, dell’autorità e dell’ordine quando invece don Milani
coltivò l’idea di un sapere che continuamente si mette in discussione e supera se stesso. Scrisse a un suo
allievo che lo aveva aspramente criticato: «La scuola deve tendere tutta nell’attesa di quel giorno glorioso in cui lo scolaro migliore le dice: “Povera vecchia, non ti intendi di nulla!”, e la scuola risponde con la rinuncia a conoscere i segreti del suo figliolo, felice soltanto che il suo figliolo sia vivo e ribelle».
(Fonte: "Oggi" n. 21 del 25.05.2023)