PRIMO MAGGIO,
I VOLTI DEL LAVORO POVERO CI SFIDANO
di Emiliano Manfredonia
La riflessione di Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli. E le sue proposte: dal salario minimo garantito (non per legge, ma dall'applicazione puntuale dei contratti già in vigore) al guadagno massimo consentito, per evitare casi di stipendi extra lusso che stridono con un diffuso impoverimento delle paghe dei lavoratori. Passando per una scuola (e una formazione professionale) riqualificata e potenziata con investimenti finalmente adeguati
Se tutte le mattine il Paese prende vita, anche dopo il pesante colpo subito dalla pandemia, è grazie alle donne e agli uomini che in luoghi e in modi diversi fanno il loro lavoro. È grazie al loro impegno e alla loro creatività che c’è da mangiare, da viaggiare, che c’è un tetto, una sanità, un welfare. Perché la forza del lavoro resiste e manda avanti la società, cercando di renderla o anche solo di sognarla più giusta e in pace.
Celebrare il 1 maggio vuol dire celebrare questa pratica operosa e ingegnosa, animata di tanta gratuità, che non è un valore avulso dalla generosità di tanti lavoratori, dipendenti o autonomi che siano.
Ma celebrare questa festa ci impegna anche a raccoglierne le fatiche, a guardare innanzitutto alle ferite del lavoro e della società, a partire, come ben segnala il documento della Cei, dai giovani, nonché da tante persone svantaggiate e da quel popolo che vive o fugge da guerre, dittature e povertà, e che spesso qui da noi trova muri. Perché è nelle ferite che si evidenzia ancor di più l’umanità stessa del lavoro e la sua forza trasformatrice, il suo non essere un solo fatto individuale.
In questo senso l’analisi elaborata dalla nostra Area Lavoro, in collaborazione con il Caf Acli e con il nostro Iref (l’Istituto di Ricerca delle Acli) sui dati di oltre 760.000 modelli 730 presentati presso gli sportelli del Caf, ci restituisce una fotografia che, anche se non generalizzabile e relativa ai redditi individuali, ci colpisce nel profondo.
Un dato tra tutti: quasi la metà delle donne sotto i 35 anni ha un reddito da povertà assoluta o che le colloca in una situazione vulnerabile e a rischio povertà, soprattutto di fronte ad un avvenimento familiare come un anziano che si ammala in modo significativo, un divorzio o la nascita di un figlio (considerato anche che quasi metà delle mamme di bambini 0-6 anni non lavora o smette di lavorare). Tra i 30 e i 34 anni, l’età media delle mamme dei neonati, sono il 40% le donne in questa situazione.
Questi dati ci dicono che, in questi ultimi tre decenni, il lavoro si è impoverito e questo impoverimento, non solo materiale, ha contribuito a bloccare il Paese dal punto di vista sociale, rendendolo più diseguale soprattutto verso i giovani e le donne, e dal punto di vista demografico, dove ormai a mancare non sono più solo i bambini, ma i trentenni, le possibili madri, ridottesi di due terzi rispetto a vent’anni fa.
Ma a perderci è l’economia del nostro paese, sia perché dietro questo impoverimento del lavoro c’è pochissimo gettito fiscale e pochissimi contributi per pagare le pensioni, sia perché, al tempo stesso, cresce il lavoro nero, “grigio e trasandato”, che produce consumando e bruciando risorse del nostro Paese, bloccandone la crescita.
Servono misure coraggiose, noi abbiamo provato a indicarne alcune, tra cui:
- un salario minimo che non sia imposto da una legge, ma derivi dall’obbligo di tutti i datori di lavoro (incluse le catene di produzione e le PA) al rispetto dei minimi retributivi previsti dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative;
- un indice che misuri l’esistenza libera e dignitosa che, a norma di articolo 36 della Costituzione, le retribuzioni dovrebbero garantire, per stimolare il confronto ad ambire a condizioni che permettano non solo di sopravvivere;
- una penalità come la reintroduzione della scala mobile solo per i ritardi dei rinnovi dei contratti collettivi, per i quali non è più sufficiente la pur importante indennità di vacanza contrattuale.
- Investimenti nella scuola e nella formazione professionale, in un ruolo non più secondario o diradato nel territorio;
- una soglia di Guadagno Massimo Consentito, perché abbiamo un problema di troppa esagerata ricchezza, non del tutto guadagnata, portata a casa da tanti manager, da speculatori e multinazionali, che spesso danneggiano le nostre piccole imprese.
A poco servirà il pur desiderato taglio del cuneo fiscale perché oggi siamo in un cambio d’epoca, non è più tempo di spingere il futuro più là, ma di ridarselo partendo da quell’esistenza libera e dignitosa che la Scuola deve aiutare a maturare e il Lavoro ad assicurare.
(fonte: Famiglia Cristiana 30/04/2023)