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martedì 7 marzo 2023

8 Marzo Lettere alle donne del pianeta - Carola Susani: Donne curde vi auguro... - Mariapia Veladiano: Care sorelle yazide

8 marzo
Lettere alle donne del pianeta

Volevamo incontrare e parlare con le donne che nel mondo si battono per il cambiamento e che oggi sono le protagoniste della lotta per la vita e la libertà. ...

Lo facciamo nel modo più semplice: le lettere di dieci scrittrici italiane che - siamo sicure - in qualche modo arriveranno anche nelle parti più lontane del globo. ...
  • Alle donne curde, le prime a gridare “Jin, Jiyan, Azadi”, Donne, Vita, Libertà, è indirizzata quella di Carola Susani.
  • Sono di Mariapia Veladiano le parole alle donne yazide che hanno fatto crollare “il muro di distrazione” dell’Occidente quando lo stato islamico ha tentato di distruggere il loro popolo.
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(fonte: DONNE CHIESA MONDO marzo 2023)

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Carola Susani
Donne curde vi auguro...

“... di diventare così forti da poter perseguire, com’è nelle vostre aspirazioni, la non violenza.
Voi che per prime avete urlato Donne, vita, libertà”


Vi scrivo per ringraziarvi, ho visto in questi anni le foto delle vostre compagne, sorridenti e armate, in lotta contro la violenza del fondamentalismo in una delle sue forme più atroci, quella del cosiddetto Stato islamico. Immagini potenti, di forza, gioventù e bellezza, che ricordano i momenti migliori di tante lotte di liberazione, i momenti in cui la durezza, le contraddizioni restano sottotraccia, quelli più carichi di speranza. Ma c’è in quelle foto qualcosa in più, proprio perché sono foto di donne, di donne insieme, e basta contrapporle ad altre immagini, di donne costrette al velo integrale, emarginate dalla vita pubblica, escluse dall’istruzione, per capire come nella lotta che quelle foto testimoniano si tratta per ciascuna di una questione vitale, menti e corpi e coscienze che non possono a nessun costo rinunciare alla pienezza dello stare al mondo. Tutta quella bellezza tiene a bada senza cancellarlo quello che c’è dietro: il dolore, la fatica, la perdita, la morte.

Non mi ha stupita scoprire che il grido “Donna, vita, libertà”, arrivato fino a noi dall’Iran, è stato urlato, prima che in qualunque altra lingua, in curdo, “Jin, Jiyan, Azadi”. Subito dopo si è sentita la voce crescere in farsi: “Zhen, Zhian, Azadi”. Quelle di voi che vivono in Iran e le altre iraniane l’avete gridato insieme in lingua diversa nella sconvolgente battaglia nonviolenta che state portando avanti. Mi ha colpito ma non stupito sapere che quel grido era già, fin dagli Ottanta e Novanta del Novecento, lo slogan della resistenza femminista curda. Ha una sua ampiezza e precisione, quello slogan, e non sorprende ritrovarlo disseminato, anche ben oltre il campo politico che l’ha prodotto, in tutti i luoghi del medio oriente in cui le donne si ribellano a una condizione intollerabile.

Vi scrivo per ammirazione. Se penso alla condizione della minoranza di cui fate parte, stanziata fra la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq, senza una nazione, perseguitata nell’espressione della lingua e della cultura, mi sembra un miracolo che non abbiate dato vita a un irredentismo nazionalista chiuso e identitario. Tutt’altra cosa è il pensiero su cui si basa l’esperimento del Rojava, l'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, non ufficialmente riconosciuta da parte del governo siriano, il cui obiettivo è una società basata sulla convivenza di culture e religioni diverse, l’ecologia, il femminismo, l’economia sociale e l’autodifesa popolare. Al cuore di quell’esperienza ci siete voi. Mi colpisce la forza con cui mettete al centro di una società accettabile la libertà delle donne, la loro capacità di direzione politica, mi colpisce come vi scrolliate di dosso il sogno ottocentesco di nazione in direzione di un altro orizzonte, che mi sembra più attuale, più giusto, quello della collaborazione democratica fra persone di cultura diversa, alle quali sia garantita l’espressione e lo studio della propria lingua e della propria cultura; mi interessa poi la vostra idea di una politica di base, che si sviluppa in Comuni, assemblee che decidono insieme sulle scelte, dalle più minute alle più grandi. Il vostro modo di affrontare il tema dell’istruzione, del sostegno reciproco, dell’ecologia. Mi sembra che la vita pubblica come voi la immaginate metta in scacco le polarità a cui siamo abituati, Occidente/Oriente, Sud/Nord, e inserisca un elemento tutto diverso, che viene certo dalla tradizione socialista, ma sa manifestarsi nuovo.

Io non lo so se nel concreto le aspirazioni che dichiarate riuscite sempre a realizzarle, faccio fatica a resistere al tifo istintivo che mi porta a difendervi sempre, a qualunque costo, quando sento dire male di voi e di quello che nel Rojava e altrove state costruendo. Però non riesco a fidarmi di racconti di sola gloria. Vi sono grata, immensamente, ma accanto alla gratitudine spero che vi raggiunga un augurio, di diventare così forti da poter perseguire com’è nelle vostre aspirazioni la nonviolenza; e così sicure da poter raccontare tutto, soprattutto quello che non funziona, che va rimesso a punto, nel praticare un’idea nuova dello stare al mondo: gli sbagli, le resistenze, le tragedie, le colpe; dirci tutto, così potremo veramente e fino in fondo imparare da voi.

Carola Susani
(fonte: DONNE CHIESA MONDO marzo 2023)

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Mariapia Veladiano
Care sorelle yazide

“Siete maestre di rinascite e resistenza. Solennemente vi promettiamo che non avremo pace finché ciascuna non abbia ricevuto la consolazione della verità”


A quali donne yazide inviare la nostra lettera? Le nobilissime fiere combattenti, tute mimetiche e armi in braccio, che una stampa carica di buone intenzioni ci restituisce, quasi a coccolare la nostra coscienza. Se sono così ce l’hanno fatta, o ce la possono fare. Come se anche dover combattere ogni giorno per provare a continuare ad esistere non fosse una sconfitta prolungata. Oppure le yazide spose giovanissime, forse troppo giovani - e anche questo in qualche modo era violenza, dovuta alle mille persecuzioni della storia - e bellissime, che gli articoli di etnografia ci offrono quando andiamo a cercare notizie di loro. Oppure le donne che nel 2014 il cosiddetto Stato islamico ha rapito, ucciso o rese schiave in mille modi indicibili, strumenti di guerra, per distruggere il loro popolo attraverso il segreto dei corpi, come stava distruggendo i ponti sull’Eufrate – “gran fiume” significa il nome, un fiume pieno di promesse e di storia – e abbatteva le case e le strade, disintegrava le piazze e gli orti di famiglia.

Ricominciamo. Care donne yazide, sorelle, solennemente promettiamo che i nostri giorni non avranno pace finché ciascuna di voi non abbia ricevuto la consolazione della verità e della giustizia, e con voi i padri, i fratelli e i figli. Forse è questa l’unica lettera possibile. Bisognerebbe trovare parole nuove, bifronti, per parlare di voi. Parole che sappiano vedere e conservare la memoria feroce di tutto e insieme possano fissare lo sguardo verso l’orizzonte di un lungo tempo di pace. Ma come si fa. Per la maggior parte di noi occidentali, la storia del popolo Yazida è affiorata quando gli uomini vestiti di nero che marciavano dietro la bandiera nera del cosiddetto Stato islamico hanno deciso che eravate voi i nemici da distruggere, come altri prima, ma con maggiore ferocia. E’ stata la storia di voi donne yazide dai vestiti colorati e dalle acconciature eleganti a far crollare le mura della nostra distrazione. E allora, dalla mescolanza di umanità che abita i confini della mitica Mesopotamia, la terra fra i due fiumi che ogni bambino studia perché antica, bella, fertile, Paradiso terrestre modello di ogni promessa futura, all’improvviso gli Yazidi sono nati alla nostra consapevolezza. Scampati all’ennesimo sonno della ragione. Non che la ragione possa spiegare quello che fanno gli uomini, e nemmeno la religione. La vostra religione è mite, orale, misteriosa come tutte le religioni, più inafferrabile rispetto a quelle che vi circondano. In nome di una diversa religione hanno consumato il male contro di voi. Ma non è Dio, si sa. E’ il potere degli uomini che sanno come ogni corpo di donna può far ripartire la vita di un popolo, e la speranza.

Quel pensiero può esserci dopo esperienze così? Si dice spazio di un pensiero. Ma a volte lo spazio è tutto occupato dall’ombra del dolore. Ci chiediamo che cosa resta di buono e certo nelle vite di chi è sopravvissuta. Mille volte avrebbe potuto morire e non è morta. Ci chiediamo come aiutare a trovare dentro di sé il modo di far risuscitare l’umanità.

Forse sorelle è la parola giusta. I racconti che Nadia Murad ha regalato al mondo con impensabile generosità ci dicono che avete esercitato una naturale, immediata, spontanea sorellanza, avete pianto insieme i morti di tutte, avete tenuto i fili del vostro esistere anche quando vi separavano, vi siete aiutate a fuggire. Vi siete scoperte sorelle delle donne Tutsi in Ruanda, delle musulmane in Bosnia-Erzegovina, delle donne Rohingya in fuga dal Myanmar. Un giro del mondo di violenza che usa il corpo delle donne per annientare un popolo.

Adesso che almeno per una parte di voi quell’onda feroce è finita, potrebbe aprirsi un nuovo tempo di bene, il tempo del riparare la vita di chi è sopravvissuta e la storia del popolo Yazida dice che siete maestre di rinascite, resistenti, determinate, infinitamente capaci di ripartire. Arrivano a noi le vostre storie di determinazione, resistenza e coraggio. Avete tenuto davanti agli occhi la speranza.

E’ il tempo di liberare quelle che nei campi profughi sono ancora schiave, quasi tremila, un’enormità, o che non se ne vanno per non lasciare i bambini. Al male si dà principio e poi vive di vita propria e ci vuole un mondo per fermarlo. Ci vuole una fratellanza, sorellanza universale. Facile colpire gli Yazidi, si è detto, un popolo senza terra. Ma nessuno possiede la terra e perciò la vostra storia ci ricorda la verità di tutti noi uomini e donne. Nessuno possiede, siamo custodi. In natura la violenza è solo quella necessaria, per vivere. L’animale che si mangia, per vivere. Il resto è solo il peccato degli uomini. Nella vostra storia di questi anni sembra che prevalga il male e basta. Violenza, morte, rapimento, ancora violenza. E oggi il silenzio dei campi profughi. Sembra la fine del mondo nostro umano.

Care sorelle yazide, solennemente promettiamo di allearci a chi vi sta aiutando, di sostenere con le parole, le scritture, il denaro chi sta lavorando a ricongiungervi, chi vi sta accompagnando a ricominciare in qualche Paese del mondo che non ha dimenticato la propria umanità, a sostenere i governi che sentono la responsabilità del mondo. Consapevoli che se il Cielo ci dà ancora dei giorni quaggiù lo fa per poter salvare la nostra comune umanità.

Mariapia Veladiano