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sabato 18 marzo 2023

L’ALBEGGIARE DIVINO IN NOI Se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. Perché legge suprema di Dio è che l'uomo viva. - IV Domenica di Quaresima (ANNO A) - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

L’ALBEGGIARE DIVINO IN NOI
 

Se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. 
Perché legge suprema di Dio è che l'uomo viva.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». Gv 9,1-41

Forma breve: Gv 9, 1.6-9.13-17.34-38  

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L’ALBEGGIARE DIVINO IN NOI

Se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. Perché legge suprema di Dio è che l'uomo viva.
Lungo i suoi tre anni sulla strada Gesù incontra molta gente, ma oggi, per la via, incrocia l’ultimo degli ultimi: un cieco, innocente e innocuo. Gli si avvicina, lo tocca.
Lo riconosciamo! Solo lui passa oltre le colpe che sembrano interessare tutti, ma non Gesù.

La muta speranza del cieco non chiede, non gli chiede, il perché della sua condanna: cerca solo a tentoni mani che lo tocchino, e che sugli occhi spenti gli infondano un po’ di vita.
Alla sua impurità cerca partecipazione, non spiegazione.
Invece i farisei su questo hanno eretto una serie di parole e sofismi per non ascoltare la vita.

È il mondo ad essere cieco! Infatti sulla bocca dei farisei il termine più ricorrente è “peccato”, innalzato a teoria per spiegare il mondo e la sua realtà.
Una religione immiserita a questioni di peccato che Gesù capovolge all’istante: l'uomo non coincide con il suo errore, mai. Esso non spiega Dio, che è compassione, futuro, approccio ardente, amore che fa ripartire a cuor leggero.

Gesù non parlerà di peccato se non per dire che è perdonato; che Dio non si spreca in castighi, che non indugia sul moralismo. Che l'essenza etica del suo Vangelo è il valore assoluto di ogni persona, che la nostra vita è un quotidiano e continuo albeggiare. Che Dio albeggia in noi.
Gesù si fa culla per le nostre albe, e seguirlo è rinascere.

Con poco fango, con la creta di poca polvere impastata a saliva, ecco un minimo nuovo creato, che Gesù stende su quelle palpebre innocenti e giudicate, bozzolo chiuso nel buio.
E come con la bambina di Giairo, lo congeda con “Kum!”: “Alzati!”. Risorgi e vai dove tutti ti possano vedere con occhi nuovi. E fallo anche tu, illumina la tua vita.
In questa piccola liturgia di mani e saliva, celebrata con fragile argilla impastata d’amore, Gesù è Dio che si contamina con l'uomo, è l'uomo contagiato di cielo.

“Vai alla piscina di Siloe!”. Il mendicante cieco si aggrappa al bastone e ad una carezza sugli occhi. Si fida di un miracolo che ancora non c'è, di un salto nel buio.
Andò, e tornò che ci vedeva.
Non siederà più a terra a invocare pietà, ma starà ritto in piedi con la faccia nel sole, finalmente libero.
Finalmente uomo.

Di fronte alla gioia di un uomo che per la prima volta vede gli occhi di sua madre, anche gli alberi applaudono, anche i fiumi battono le mani, come dice il salmo.
Ma l'uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei delle certezze e della teologia morale non interessano quegli occhi tornati a splendere, ma la “sana” dottrina. E sul guarito di sabato avviano un processo per eresia.

Ma la strada maestra della Chiesa è solo l'uomo. Sempre.

Una carezza di luce sul cieco: Gesù lo illumina e tutti ne siamo sanati. Ci dice che se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta.
Perché legge suprema di Dio è che l'uomo viva.

per Avvenire 

Il dramma di mettere Dio contro l'uomo  (...)

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