Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



martedì 15 giugno 2021

L’esame di maturità: un rito inutile? di Giuseppe Savagnone


L’esame di maturità: un rito inutile?
di Giuseppe Savagnone


Uno snodo delicato

Mercoledi 16 giugno, alle 8,30, cominciano gli esami di maturità per 540 mila studenti delle scuole superiori. Un appuntamento che, ogni anno, coinvolge una larga fascia della popolazione, ben al di là del numero, già consistente, dei candidati. Basti pensare ai docenti e in genere al personale scolastico, ma soprattutto alle famiglie, che accompagnano i figli, in questo tradizionale momento di stress, cercando di sostenerli come possono.

Perché gli esami di Stato rappresentano comunque, da sempre, uno snodo delicato della vita di un ragazzo e di una ragazza. Uno di quei “riti di passaggio” che segnano il compimento di una stagione e l’inizio di un’altra. In questo caso, la conclusione del ciclo degli studi scolastici e l’ingresso all’Università o nel mondo del lavoro. Dopo, non si sarà più “ragazzi”, come ancora si è definiti finché si frequenta la scuola. Non è un caso che, malgrado l’espressione sia stata da tempo abolita, si continui a parlare di “esami di maturità”.

Si capisce perché nell’immaginario collettivo, e soprattutto nella percezione degli studenti, questa prova continui a mantenere la sua carica intimidatoria. Perfino nell’edizione di quest’anno, che, a causa del Covid, li vede ridimensionati sia perché ridotti alla sola prova orale, sia perché collocati nel contesto di una valutazione globale della carriera scolastica del candidato che ne riduce sensibilmente il peso (40 punti su cento, rispetto ai 60 attribuiti ai risultati degli ultimi tre anni di studi).

Abbassare l’asticella

Una scelta ragionevole, che tiene conto, giustamente, delle particolari condizioni in cui si è svolto l’anno scolastico, in seguito alla minaccia della pandemia. È ormai abbastanza noto che la dad (didattica a distanza), se da un lato apre delle nuove opportunità, di cui i docenti e gli alunni più attrezzati possono avvalersi, dall’altro, nella maggior parte dei casi, incide per lo più negativamente sulla qualità del rapporto educativo e dell’attività didattica.

Anche perché evidenzia le disparità di condizione economica, sociale e culturale degli studenti. Altro è seguire le lezioni potendo contare su un ambiente confortevole, raccolto, avendo a propria esclusiva disposizione strumenti adeguati, col sostegno di una famiglia attenta ai problemi scolastici del figlio, dove si parla un buon italiano e si è abituati a leggere, altro farlo da locali angusti e rumorosi, coi fratellini più piccoli che piangono e quelli più grandi che pressano per avere anch’essi l’uso dell’unico computer di casa, in una famiglia alle prese con altri problemi e sprovvista di basi culturali.

Era necessario, perciò, per evitare una selezione che avrebbe risentito pesantemente (e comunque più pesantemente del solito) di fattori estranei al merito strettamente scolastico, abbassare l’asticella della prova. Da qui la rinunzia allo scritto, che normalmente dà luogo a una prima scrematura dei candidati. Certo, con la conseguenza, già verificatisi l’anno scorso, di un indebolimento anche della selezione culturale e di una inflazione di voti alti. Ma, ripeto, è un prezzo che bisognava pagare.

Né credo sarà un fattore selettivo in senso socio-economico – come denunziato in termini eccessivamente drammatici, da Ernesto Galli Della Loggia – l’introduzione di un curriculum in cui verranno segnalate le diverse esperienze ed attività, anche extra-scolastiche, dei candidati. Un modo di far conoscere e valorizzare degli aspetti della loro personalità che la scuola spesso stenta ad intercettare e che non necessariamente sono collegati alle loro disponibilità economiche.

Opportuna la novità, rispetto agli esami di maturità dell’anno scorso, rappresentata dal ripristino dell’ammissione all’esame da parte del consiglio di classe. Le difficoltà legate alla pandemia non possono far perdere di vista la differenza elementare tra chi in qualche modo, durante l’anno, si è impegnato e chi invece ha approfittato della situazione per non far nulla. E i professori del consiglio di classe sono nella condizione di valutare questa differenza.

Una ipotesi su cui riflettere bene

All’interno dei limiti dell’emergenza, andrebbe tutto bene se il ministro Patrizio Bianchi non avesse enfatizzato la nuova formula come una svolta epocale. «È una bellissima forma di esame, è un esame di Stato che riguarda la maturità delle persone, non se hai una competenza o l’altra, ma se hai la capacità, la testa per poter affrontare degli argomenti complessi. Quindi non è un esame ridotto ma un esame che ha una sua identità». Da qui anche l’ipotesi, avanzata dal ministro, che da ora in poi questa formula possa essere adottata anche in regime di normalità.

È una prospettiva su cui vale la pena di riflettere con calma. L’abolizione definitiva delle prove scritte tradizionali – il tema di italiano e la prova di indirizzo, differenziata secondo il tipo di studi – sarebbe compensata dalla composizione di un «elaborato» che ogni studente nell’arco di un mese dovrebbe preparare, con la guida di un docente, su un argomento.

Secondo quello che già quest’anno si sta facendo. «Quest’anno c’è molta più enfasi sull’elaborato, più attenzione per svolgere un pensiero complesso». Ma non c’è il rischio che tutto si riduca alla riproposizione della vecchia “tesina”, che già in passato aveva costituito il punto di partenza per la discussione orale? «Non voglio sentir parlare di tesina», ripete Bianchi: si tratta di un elaborato «ampio e personalizzato».

A cercare il pelo nell’uovo, anche la tesina richiesta, in passato, per l’esame di Stato – l’esame “di maturità”! – avrebbe dovuto essere espressione di «un pensiero complesso, ampio e personalizzato». Sulla carta. Sappiamo tutti com’è finita.

Ma qui – si obietterà – c’è un docente che ne segue la stesura. In verità, anche per la tesina gli studenti si facevano guidare da un professore. E questo, però, non evitava la banalizzazione…

Lo spartito e l’orchestra

Forse bisogna stare a vedere come andranno le cose. L’esperienza insegna che, nella vita della scuola, le aspirazioni di un ministro non sempre hanno una corrispondenza nella realtà dei fatti. Le ordinanze, le circolari sono ovviamente normative, ma come lo è lo spartito di una sinfonia rispetto alla sua esecuzione. Chi suona la musica è l’orchestra. E l’orchestra, in questo caso, sono i professori e gli studenti.

Ricordo ancora quando una delle tante riforme degli esami di Stato previde che i candidati avrebbero scelto una materia fra quattro indicate dal ministero, mentre la commissione esaminatrice avrebbe assegnato la seconda. Il risultato fu che il membro interno (allora unico) faceva sapere alla commissione qual era la seconda materia richiesta dallo studente, che nel novantanove per cento dei casi veniva accontentato. Alla fine, bastava studiare due materie per fare un eccellente esame “di maturità”.

Non si può escludere che la musica, questa volta, sia più fedele allo spartito. Ma si dovrà monitorare attentamente lo svolgimento di questa nuova formula. Tanto più che la rinunzia alle prove scritte tradizionali non è indolore. Pensare di poterle sostituire con la discussione orale – sia pure basata sull’«elaborato» – è illusorio. Le logiche della scrittura e quelle dell’oralità sono molto diverse. E l’esperienza dice che persone capaci di incantare l’uditorio con le loro brillanti parole, quando sono costrette a costruire un discorso per iscritto ne sono del tutto incapaci. Senza contare le offese all’ortografia, alla grammatica e alla sintassi, mascherate dall’oralità, ma pesantemente evidenziate quando si scrive.

In Italia l’Università denunzia il fatto che gli studenti usciti dalla scuola non sanno scrivere. L’ipotesi del nuovo esame di Stato avanzata (ancora con cautela) dal ministro Bianchi non sembra una buona risposta a questo problema. Certo, non è il tema di maturità che può risolverlo. Ma l’esame che conclude il ciclo di studi ha soprattutto la funzione di orientare gli sforzi della scuola negli anni precedenti. Il venir meno delle prove scritte tradizionali rischierebbe di indebolire la tensione a educare i giovani ad esprimersi correttamente quando scrivono.

Una proposta più drastica

Qualcuno, più drasticamente, ha proposto in passato – e c’è chi lo fa anche nel presente – l’abolizione di quello che, malgrado le riforme, torna ogni volta ad apparire un “rito inutile”. Si avrebbe la tentazione di dar loro ragione. Se non fosse che, in questa società informe, dove le stagioni della vita si confondono – bambini invecchiati, adulti infantili… – , dove gli unici riti che rimangono sacri è quello legati alla logica del consumismo – lo shopping, la movida… – , forse ha ancora un valore questo segnale di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con la conseguente sfida a viverlo bene. Perché alla fine, la vera maturità non è nell’esito di una prova ormai scolorita, ma nel modo in cui chi deve sostenerla vi si prepara e sa affrontarla, quale che sia la sua formula, con nervi saldi e consapevolezza. E questo mantiene il suo valore.
(fonte: Tuttavia 12/06/2021)