Il Papa ai diaconi romani:
Né “mezzi preti” né “chierichetti di lusso”
«Santità, cosa si aspetta dai diaconi romani?». Rispondendo alla domanda di Andrea Sartori che da tre anni — caso unico a Roma — guida una parrocchia pur non essendo presbitero, Papa Francesco ha tracciato stamane l’identikit del diacono permanente ideale. Durante l’incontro in Vaticano con i diaconi della “sua diocesi”, il Papa ha esortato a «superare la piaga del clericalismo, che pone una casta di sacerdoti “sopra” il Popolo di Dio». Il che significa non «“mezzi preti” o preti di seconda categoria, né “chierichetti di lusso”» ma «servi premurosi». E in proposito ha riassunto «la spiritualità diaconale» nella «spiritualità del servizio» fatta di «disponibilità dentro e apertura fuori», con tre caratteristiche: umiltà, essere «bravi sposi e bravi padri. E bravi nonni» e essere sentinelle, capaci di aiutare «la comunità cristiana ad avvistare Gesù nei poveri».
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI DIACONI PERMANENTI DELLA DIOCESI DI ROMA, CON LE FAMIGLIE
Aula della Benedizione
Sabato, 19 giugno 2021
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Grazie della visita.
Vi ringrazio per le vostre parole e le vostre testimonianze. Saluto il Cardinale Vicario, tutti voi e le vostre famiglie. Mi rallegro che tu, Giustino, sia stato nominato Direttore della Caritas: guardando te penso che crescerà, tu hai il doppio di statura di don Ben, vai avanti! [ridono, applausi] Come pure del fatto che la Diocesi di Roma abbia ripreso l’antica consuetudine di affidare una chiesa a un diacono perché diventi una Diaconia, come ha fatto con te, caro Andrea, in un quartiere popolare della città. Saluto con affetto te e tua moglie Laura. Mi auguro che non finirai come San Lorenzo, ma vai avanti! [ridono]
Visto che mi avete chiesto che cosa mi aspetto dai diaconi di Roma, vi dirò alcune cose, come faccio spesso quando vi incontro e mi fermo a scambiare due parole con qualcuno di voi.
Partiamo riflettendo un poco sul ministero del diacono. La via maestra da percorrere è quella indicata dal Concilio Vaticano II, che ha inteso il diaconato come «grado proprio e permanente della gerarchia». La Lumen gentium, dopo aver descritto la funzione dei presbiteri come partecipazione alla funzione sacerdotale di Cristo, illustra il ministero dei diaconi, «ai quali – dice – vengono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio» (n. 29). Questa differenza non è di poco conto. Il diaconato, che nella concezione precedente era ridotto a un ordine di passaggio verso il sacerdozio, riacquista così il suo posto e la sua specificità. Già il solo fatto di sottolineare questa differenza aiuta a superare la piaga del clericalismo, che pone una casta di sacerdoti “sopra” il Popolo di Dio. Questo è il nocciolo del clericalismo: una casta sacerdotale “sopra” il Popolo di Dio. E se non si risolve questo, continuerà il clericalismo nella Chiesa. I diaconi, proprio perché dediti al servizio di questo Popolo, ricordano che nel corpo ecclesiale nessuno può elevarsi al di sopra degli altri.
Nella Chiesa deve vigere la logica opposta, la logica dell’abbassamento. Tutti siamo chiamati ad abbassarci, perché Gesù si è abbassato, si è fatto servo di tutti. Se c’è uno grande nella Chiesa è Lui, che si è fatto il più piccolo e il servo di tutti. E tutto comincia da qui, come ci ricorda il fatto che il diaconato è la porta d’ingresso dell’Ordine. E diaconi si rimane per sempre. Ricordiamoci, per favore, che sempre per i discepoli di Gesù amare è servire e servire è regnare. Il potere sta nel servizio, non in altro. E come tu hai ricordato quello che dico, che i diaconi sono i custodi del servizio nella Chiesa, per conseguenza si può dire che sono i custodi del vero “potere” nella Chiesa, perché nessuno vada oltre il potere del servizio. Pensate su questo.
Il diaconato, seguendo la via maestra del Concilio, ci conduce così al centro del mistero della Chiesa. Come ho parlato di “Chiesa costitutivamente missionaria” e di “Chiesa costitutivamente sinodale”, così dico che dovremmo parlare di “Chiesa costitutivamente diaconale”. Se non si vive questa dimensione del servizio, infatti, ogni ministero si svuota dall’interno, diventa sterile, non produce frutto. E poco a poco si mondanizza. I diaconi ricordano alla Chiesa che è vero quanto scoprì Santa Teresina: la Chiesa ha un cuore bruciato dall’amore. Sì, un cuore umile che palpita di servizio. I diaconi ci ricordano questo quando, come il diacono San Francesco, portano agli altri la prossimità di Dio senza imporsi, servendo con umiltà e letizia. La generosità di un diacono che si spende senza cercare le prime file profuma di Vangelo, racconta la grandezza dell’umiltà di Dio che fa il primo passo – sempre, Dio sempre fa il primo passo – per andare incontro anche a chi gli ha voltato le spalle.
Oggi occorre fare attenzione anche a un altro aspetto. La diminuzione del numero dei presbiteri ha portato a un impegno prevalente dei diaconi in compiti di supplenza che, per quanto importanti, non costituiscono lo specifico del diaconato. Sono compiti di supplenza. Il Concilio, dopo aver parlato del servizio al Popolo di Dio «nella diaconia della liturgia, della parola e della carità», sottolinea che i diaconi sono soprattutto – soprattutto – «dediti agli uffici della carità e dell’amministrazione» (Lumen gentium, 29). La frase richiama i primi secoli, quando i diaconi si occupavano a nome e per conto del vescovo delle necessità dei fedeli, in particolare dei poveri e degli ammalati. Possiamo attingere anche alle radici della Chiesa di Roma. Non penso soltanto a San Lorenzo, ma anche alla scelta di dare vita alle diaconie. Nella grande metropoli imperiale si organizzarono sette luoghi, distinti dalle parrocchie e distribuiti nei municipi della città, in cui i diaconi svolgevano un lavoro capillare a favore dell’intera comunità cristiana, in particolare degli “ultimi”, perché, come dicono gli Atti degli Apostoli, nessuno tra di loro fosse bisognoso (cfr 4,34).
Per questo a Roma si è cercato di recuperare questa antica tradizione con la diaconia nella chiesa di San Stanislao. So che siete ben presenti anche nella Caritas e in altre realtà vicine ai poveri. Così facendo non perderete mai la bussola: i diaconi non saranno “mezzi preti” o preti di seconda categoria, né “chierichetti di lusso”, no, su quella strada non si cammina; saranno servi premurosi che si danno da fare perché nessuno sia escluso e l’amore del Signore tocchi concretamente la vita della gente. In definitiva, si potrebbe riassumere in poche parole la spiritualità diaconale, cioè la spiritualità del servizio: disponibilità dentro e apertura fuori. Disponibili dentro, di cuore, pronti al sì, docili, senza far ruotare la vita attorno alla propria agenda; e aperti fuori, con lo sguardo rivolto a tutti, soprattutto a chi è rimasto fuori, a chi si sente escluso. Ho letto ieri un passo di don Orione, che parlava dell’accoglienza dei bisognosi, e lui diceva: “Nelle nostre case – parlava ai religiosi della sua congregazione – nelle nostre case dev’essere accolto ognuno che abbia un bisogno, qualsiasi tipo di necessità, qualsiasi cosa, anche chi abbia un dolore”. E questo mi piace. Ricevere non solo i bisognosi, ma quello che ha un dolore. Aiutare questa gente è importante. Affido a voi questo.
Circa quello che mi aspetto dai diaconi di Roma, aggiungo ancora tre brevi idee – ma non spaventatevi: sto finendo già – che non vanno nella direzione delle “cose da fare”, ma delle dimensioni da coltivare. In primo luogo mi aspetto che siate umili. È triste vedere un vescovo e un prete che si pavoneggiano, ma lo è ancora di più vedere un diacono che vuole mettersi al centro del mondo, o al centro della liturgia, o al centro della Chiesa. Umili. Tutto il bene che fate sia un segreto tra voi e Dio. E così porterà frutto.
In secondo luogo, mi aspetto siate bravi sposi e bravi padri. E bravi nonni. Questo darà speranza e consolazione alle coppie che stanno vivendo momenti di fatica e che troveranno nella vostra semplicità genuina una mano tesa. Potranno pensare: “Guarda un po’ il nostro diacono! È contento di stare con i poveri, ma anche con il parroco e persino con i figli e con la moglie!”. Anche con la suocera, è molto importante! Fare tutto con gioia, senza lamentarsi: è una testimonianza che vale più di tante prediche. E le lamentele, fuori. Senza lamentarsi. “Ho avuto tanto lavoro, tanto…”. Niente. Mangiate [mandate giù] queste cose. Fuori. Il sorriso, la famiglia, aperti alla famiglia, la generosità…
Infine, terza [cosa], mi aspetto che siate delle sentinelle: non solo che sappiate avvistare i lontani e i poveri – questo non è tanto difficile – ma che aiutiate la comunità cristiana ad avvistare Gesù nei poveri e nei lontani, mentre bussa alle nostre porte attraverso di loro. E una dimensione anche, dirò, catechetica, profetica, della sentinella-profeta-catechista che sa vedere oltre e aiutare gli altri a vedere oltre, e vedere i poveri, che sono lontani. Potete fare vostra quella bella immagine che sta alla fine dei Vangeli, quando Gesù da lontano chiede ai suoi: «Non avete nulla da mangiare?» E il discepolo amato lo riconosce e dice: «È il Signore!» (Gv 21,5.7). Qualsiasi necessità, vedere il Signore. Così anche voi avvistate il Signore quando, in tanti suoi fratelli più piccoli, chiede di essere nutrito, accolto e amato. Ecco, vorrei che questo fosse il profilo dei diaconi di Roma e di tutto il mondo. Lavorate su questo. Voi avete delle generosità e andate avanti con questo.
Vi ringrazio per quello che fate e per quello che siete e vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me. Grazie.
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