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lunedì 3 maggio 2021

Tonio Dell'Olio: Il pallone non è più rotondo - Inter, la festa senza regole che non ci possiamo permettere

Il pallone non è più rotondo
 

Tonio Dell'Olio
Mosaico dei Giorni 03 maggio 2021

Persino la zona residuale della mia coscienza interista ieri sera si è rifiutata di festeggiare la vittoria dello scudetto tanto a lungo agognata.

Il blitz dei giorni scorsi denominato Superlega, ha segnato un punto di non ritorno: il calcio non è più il calcio. Il motto di mio padre, che mi aveva iniziato al tifo calcistico, era: "Il pallone è rotondo". Punto e basta. Significava che nessun risultato è scritto in maniera determinata e definita e che il bello di quello sport sta proprio nella sua imprevedibilità che si chiama sorpresa. Oggi invece sempre più ci si rende conto che anche il calcio è vittima di algoritmi predeterminati e che il giro vorticoso di soldi condiziona pesantemente i risultati. In maniera assolutamente legale, si intende! Diritti televisivi, quotazioni di borsa, merchandising e attività parallele e poi il calciomercato con l'allenatore più pagato del campionato o di tutta la storia del football e i calciatori trasformati in marionette, in macchine, o ancora in modelli da passerella e da pubblicità. Cosa c'entra tutto questo col calcio? Sei antico, mi dicono. Eppure un modo ci sarebbe per emergere da questa sbornia di soldi e di debiti, di élite e di stadi-astronave. Basterebbe mettere un limite massimo al prezzo dei trasferimenti dei calciatori. Mi piace pensare che Messi potrebbe accettare perfino l'idea di giocare nel Frosinone per dimostrare che riesce a cambiare il corso di un campionato. E tutti ci divertiremmo di più.

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INTER, LA FESTA SENZA REGOLE CHE NON CI POSSIAMO PERMETTERE
 

Dopo 15 mesi di pandemia, mentre il Paese cerca di rimettersi in piedi cercando un equilibrio (precario) tra aperture e regole di convivenza con il virus, basta un successo sul campo di calcio perché ogni senso di responsabilità sia dimenticato. E dire che Atalanta-Valencia avrebbe dovuto insegnarci qualcosa

Il tifo, si sa, per definizione, non è il luogo del buonsenso e della razionalità: un amore a senso unico, sconsiderato come tutti gli amori adolescenziali benché colpisca a tutte le età, non è la condizione ideale per tenere la testa sulle spalle. In tempi normali quando non degenera in violenza e danno è comprensibile e persino lecito concedersi in nome di una gioia sportiva, irrazionale finché si vuole, ma gioia pura, un pomeriggio di follia. Purché sia una follia sana.

Non c’è niente di sano, invece, nella festa improvvisata dai tifosi interisti in piazza Duomo a Milano, un assembramento in piena regola e, ahinoi, ancora in piena pandemia, mentre dagli studi giungono notizie dell’impatto che le varianti stanno avendo anche in termini di aumenti dei ricoveri per covid: un rischio triplicato anche tra giovani e giovanissimi. A nulla è valso con ogni evidenza l’appello della società nerazzurra a «festeggiare in modo responsabile».

Di responsabile tra quelle 30mila persone che si sono riversate, senza riguardo per i rischi propri e altrui, non è rimasto nulla. E intanto scoppiano le polemiche di chi (esercenti e lavoratori dello spettacolo) si sente, nell’obbligo di stare alle regole, meno uguale di questi irresponsabili festanti. Le autorità cittadine rispondono che sarebbe stato rischioso far intervenire le forze dell’ordine perché tra la folla c’erano bambini (con buona pace dei padri che avrebbero dovuto dare l’esempio, mantenendo distanze e mascherine).

«La gioia si può comprendere», ha detto preoccupato Franco Locatelli presidente del Consiglio superiore di sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico ai microfoni di Sky Tg 24 «e però credo che su di essa debba prevalere il senso di responsabilità: 121mila morti devono averci insegnato qualcosa. Onorare la loro morte vuol dire evitare assembramenti. Tutte le occasioni di assembramento vanno assolutamente evitate, ivi compresi i festeggiamenti dei tifosi della squadra di calcio che ha vinto il campionato».

La scena di Milano sorprende ancora di più perché fa il giro del mondo in giorni in cui la Procura di Bergamo sta accendendo un riflettore sul potenziale effetto innesco che Atalanta-Valencia, e relativi festeggiamenti, possono avere avuto sull’esplosione dei contagi nella bergamasca primo epicentro della pandemia in Europa, con gli effetti che ormai conosciamo. La scena di Milano induce al pessimismo. La Lombardia è dopo Whuan la prima regione al mondo ad aver fatto i conti con il mostro che sta attanagliando la nostra libertà, quella che gli ha pagato il tributo di vittime più alto. È triste constatare che nulla si è imparato (ma vale anche per i Navigli a San Valentino). Preoccupante il fatto che non si sia appreso neppure l’istinto vitale della paura di tornare ogni volta indietro come al gioco dell’oca: un rischio tutt’altro che calcolato con cui tra due o tre settimane, quando sarà tardi, faremo i conti come Paese.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chari 03/05/2021)