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venerdì 7 maggio 2021

UCCIDETE ME, NON LA GENTE La suora coraggio del Myanmar racconta la sua storia


UCCIDETE ME, NON LA GENTE
LA SUORA CORAGGIO DEL MYANMAR RACCONTA LA SUA STORIA
Ann Rose Nu Tawng - Gerolamo Fazzini

Mentre il mondo è attanagliato dal covid, in Myanmar si scatena un colpo di stato. L’esercito imbavaglia la fragile democrazia birmana, incarnata dalla leader Aung San Suu Kyi, messa agli arresti. Ma – sorpresa! – il popolo non sta alla finestra e scende in piazza. Nascono dimostrazioni di massa animate da giovani che chiedono il ritorno della democrazia. Scatta la repressione militare, con uccisioni, arresti e violenze. Un film già visto altre volte.

Ma quanto accade il 28 febbraio 2021 ferma l’orologio della storia. Una suora affronta, in ginocchio, un plotone di soldati pronti a sparare sui manifestanti che a Myitkyina, come in altre città, chiedono libertà. Suor Ann Rose Tawng si pone a protezione dei giovani dimostranti, mettendo a repentaglio la propria vita in nome del vangelo e della dignità umana.

La memoria corre a Tank Man, l’uomo diventato famoso perchè si mise davanti ai carri armati cinesi durante la repressione di Piazza Tienanmen: di lui non si è saputo più nulla. La storia di Ann Rose, invece, la possiamo conoscere in queste pagine. ...

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Myanmar, giorno e notte 
ci chiediamo quando verranno a portarci via

La suora coraggio che si è inginocchiata davanti alla polizia dei golpisti racconta in un libro la tragedia del suo Paese


L'immagine che ha fatto il giro del mondo lo scorso 28 febbraio, 
con la suora Ann Rose Nu Tawng davanti ai poliziotti schierati dal governo golpista del Myanmar

Dopo il colpo di Stato in Myanmar Ann Rose Nu Tawng affronta, in ginocchio, un plotone di soldati pronti a sparare sui manifestanti che chiedono libertà e democrazia. La «suora coraggio» racconta la sua storia di sofferenza e speranza nel libro Uccidete me, non la gente, con Gerolamo Fazzini, prefazione di Matteo Maria Zuppi (pubblicato da Emi, Editrice Missionaria Italiana, pp. 88, € 10), in uscita oggi. Ne anticipiamo alcuni brani.

Fin da piccoli abbiamo sperimentato sulla nostra pelle la violenza del conflitto tra militari e popolo kachin. È una guerra civile che dura dal 1948, da quando il Myanmar conquistò l’indipendenza. Nel nostro villaggio, come in molti altri, i militari venivano di notte a prelevare i giovani per reclutarli a forza nell’esercito. Per sfuggire, ci si nascondeva in spazi scavati sotto terra. Vivevamo in un clima di paura. Quando i soldati facevano irruzione nel nostro villaggio scappavamo tutti, insieme col resto dei civili. I villaggi rimanevano così totalmente deserti.

Etnie unite nel terrore

In questo momento, indipendentemente dall’appartenenza a una determinata classe sociale o a un’etnia specifica, i cittadini si sentono come orfani. Di giorno e di notte viviamo tutti nella paura, chiedendoci quando verremo uccisi o portati via dalle nostre case. Dal momento che soffriamo insieme, siamo diventati più uniti che mai. Ci amiamo e rispettiamo di più, nonostante le nostre differenze di religione, etnia e classe.

«Imploravo di non sparare»

Quella domenica [28 febbraio, ndr], davanti alla nostra clinica di Myitkyina sono passati vari gruppi di manifestanti, in totale un migliaio, quasi tutti giovani. Erano scesi in strada pacificamente, per far conoscere le loro istanze, senza creare problemi. Mentre passavano, io stavo curando tanti pazienti nella nostra clinica, che si trova vicino alla cattedrale e al nostro convento: avevamo deciso di tenerla aperta perché gli ospedali statali sono chiusi a causa della situazione politica. Ero con infermieri e medici quando ho sentito le voci e gli slogan dei dimostranti contro i militari. Poi, a un certo punto, sono arrivati i camion dei soldati e della polizia; i poliziotti sono saltati giù dai loro automezzi e hanno immediatamente sparato e colpito le persone con il manganello e usando fionde. Due sassi hanno raggiunto anche me. Io ho urlato ai dimostranti che entrassero nella clinica, cosa che in tanti hanno fatto. Poi sono andata davanti alla polizia.

Vedendo i manifestanti che si trovavano in pericolo, ho deciso di proteggerli, anche a rischio della vita. Sono andata dai poliziotti e li ho supplicati, implorandoli di non sparare sui civili, di non picchiarli con i bastoni o ferirli con le fionde. Per la tensione e la commozione piangevo e gridavo. Mi sono inginocchiata e ho alzato le braccia al cielo, invocando l’aiuto del Signore. «Se volete picchiare la gente o sparare sui dimostranti, fatelo con me al posto loro, perché non riesco a sopportare che soffrano per la violenza. Uccidete me, non la gente». L’ho detto dopo aver visto ciò che era accaduto in altre città, a Yangon, Mandalay e Naypyidaw, dove in tanti erano stati massacrati come animali.

Il giovane morto tra le braccia

I poliziotti [l’8 marzo, ndr] erano arrivati vicino alla cattedrale di Myitkyina mentre erano in corso altre manifestazioni pacifiche nella zona. Sono andata da loro a implorarli di non usare violenza. Due dei loro uomini si sono inginocchiati e mi hanno detto che non avevano intenzione di comportarsi in maniera violenta, ma dovevano obbedire ai loro capi. Ho replicato che i dimostranti volevano solo sfilare in pace. Così ho deciso di non muovermi di là finché non se ne fossero andati. Sono venuti a parlarmi anche la mia superiora e il vescovo (mons. Francis Daw Tang) per convincermi a rientrare. Ma io sono rimasta là per tre-quattro ore, finché un giovane non è stato colpito alla testa. Allora alcuni suoi coetanei si sono rifugiati in cattedrale, altri sono scappati. Abbiamo cercato di trasportare il ferito alla nostra clinica, che è proprio lì vicino, ma non c’è stato nulla da fare. È morto e con lui quel giorno è stata uccisa anche un’altra persona, di 57 anni.

Ragazzi pronti a dare la vita ...

Tutti insieme si può vincere ...


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Essere artigiani della pace non è un'utopia d'altri tempi

La lezione al mondo di suor Ann Rose Nu Tawng, in Myanmar


Il testo del cardinale Zuppi che qui pubblichiamo è la prefazione al libro di Ann Rose Na Twang, 'Uccidete me, non la gente'. La suora coraggio del Myanmar racconta la sua storia (Emi, pp. 96, euro 10, in libreria da oggi), scritto con l’editorialista di Avvenire Gerolamo Fazzini.

Artigiani di pace. È la beatitudine evangelica che papa Francesco ricorda a tutti incoraggiando tutti a 'fare pace'. Artigiani. Dio lo è con noi, continuando a cercare la pace da instancabile artigiano del mondo con la nostra materia, così imprevedibile e instabile, e combattendo contro il male che ci usa per tornare al caos, per dividere quello che l’amore pazientemente unisce. E sappiamo come è molto faticoso costruire, e rapido e facile distruggere. Essere artigiani dà dignità al poco che possiamo fare. La pace non si misura con il risultato perché la pace inizia nel piccolo gesto, grande sempre, come quello di suor Ann Rose Nu Tawng che si misura con la sproporzione evidente, drammatica, tra una donna indifesa e sola e uomini armati e numerosi davanti a lei.

Ecco dove inizia la pace ed ecco anche cos’è la chiesa, una madre che difende i suoi figli e che per loro vince ogni paura. Dove trova il coraggio? Non è questione di coraggio, ma di amore, altrimenti non dipende da noi! 
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Una suora. Debole e fortissima. Difende le persone e cerca la democrazia per tutti, cioè il bene comune. Affronta la pandemia della violenza. L’ingiustizia provoca sempre violenza e altra sofferenza: solo la nonviolenza e la scelta di difendere i più deboli può fermarla.
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Ma deve scattare una consapevolezza: nessuno è così piccolo da non poter ottenere la pace. Un cinico direbbe che una scelta così non cambia il conflitto in corso. 
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Anche se fosse servito solo a risparmiare la vita di qualcuno, non è sempre salvare il mondo intero? Non è proprio questo l’operatore di pace? Non accettiamo mai che i problemi siano sempre più grandi, che ci sono altre cose che vanno fatte prima e che noi siamo sempre troppo piccoli.
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Operatori di pace sono tutti coloro che nel mondo attuale (Fratelli tutti, 30) vivono i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità e vivono il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace. Non è un’utopia di altri tempi, ma la conseguenza del 'fratelli tutti' e, per noi cristiani, di un Dio che ci mette tra le mani la sua pace, che ci rende con il suo amore artigiani di pace ovunque. Il discepolo di Gesù non ha nemici e proprio per questo è operatore di pace con la forza più debole di tutte che è la preghiera, disarmata totalmente ma resistenza al male, e che ci dona la forza di resistergli. Mettersi in ginocchio e chiedere pace anche per i nemici. Operatore di pace anche solo con la sua vita, con le sue parole, perché così disarma i piani del nemico, indica la via del rispetto e della giustizia. Non disprezziamo mai l’umile gesto di pace. È grande – come abbiamo visto, e come la voce di questa testimonianza che avete tra le mani ci ricorda con vivezza –, e trasmette forza.

Il cammino della pace inizia dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni.

La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. «Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli». Così Francesco in Iraq. Aggiungo: se Dio è il Dio dell’amore – e lo è – a noi è possibile essere operatori di pace. Insieme. Come ci ha detto in un incontro online di preghiera, suor Ann Rose con disarmante semplicità evangelica: «Auguro a tutti di essere felici e sereni». È la pace. Amen. Pace.
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