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giovedì 13 maggio 2021

Il 13 maggio del 1981 l'attentato a Giovanni Paolo II - La testimonianza del giornalista Piero Di Domenicantonio e l'intervista all'infermiere che l'ha soccorso per primo - "Il papa (non) doveva morire" (video)

Il 13 maggio del 1981 
l'attentato a Giovanni Paolo II
La testimonianza del giornalista Piero Di Domenicantonio e 
l'intervista all'infermiere che l'ha soccorso per primo


Il 40° anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro, il 13 maggio 1981, è stato ricordato da Papa Francesco nel saluto rivolto ai fedeli polacchi durante l’udienza generale (12/03/2021). San Giovanni Paolo II — ha detto — «sottolineava con forza che doveva la vita alla Signora di Fatima. Questo evento ci rende consapevoli che la nostra vita e la storia del mondo sono nelle mani di Dio».

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Tra gli ultimi, dietro la campagnola bianca
di Piero Di Domenicantonio


C’è voluto tempo, anni, prima che riuscissi a scrivere quella data correttamente. Una volta le dita sulla tastiera invertivano i numeri del giorno, l’altra scambiavano una lettera con un’altra nel comporre il nome del mese. Quel giorno di quarant’anni fa io c’ero in piazza San Pietro ed ero felice di esserci fino a quando non è successo quello che mai avrei pensato potesse accadere.

Ero poco più che ventenne. Un cronista alle prime esperienze col compito di raccontare l’udienza generale del Papa. Quello che il nostro giornale ha continuato a fare e riprenderà a fare non appena — e speriamo sia presto — la situazione sanitaria consentirà la presenza dei fedeli.

Come tanti altri mercoledì ero arrivato in piazza San Pietro con largo anticipo per raccogliere con calma storie tra i pellegrini e i fedeli. Come sempre, il clima era di festa: canti, preghiere, un vociare continuo in tutte le lingue. C’era anche un gruppetto di bambini di una parrocchia romana che tenevano tra le mani dei palloncini colorati.

Intorno alle 17, dai settori più vicini all’Arco delle campane si è levato un applauso che ha rapidamente contagiato tutta la piazza. Il Papa era arrivato e in piedi sulla campagnola bianca salutava costeggiando le transenne: due giri perché nessuno rimanesse senza il suo saluto e la sua benedizione. Io ero tra gli ultimi a seguire il corteo: mi era stato insegnato ad essere discreto, a non intralciare con la mia presenza quello scambio di affetti che tanti avrebbero custodito tra i ricordi più belli della loro vita.

Anche il sole sorrideva su piazza San Pietro. Poi, i colpi di pistola, le grida, la jeep che parte a tutta velocità. Ma non si vede più il Papa in piedi a salutare.

Ci trovavamo sul lato della piazza che dà verso il portone di bronzo, poco distanti dal settore dove prima avevo visto quei ragazzini con i palloncini. D’istinto mi volto pensando che ne sia scoppiato qualcuno. Dietro la transenna la gente urla, si guarda indietro. Comincio a correre anche io nella direzione presa dalla jeep. Ormai si è capito cosa è successo.

Sotto il braccio di Carlo Magno, nella postazione dell’Ordine di Malta che durante le udienze prestava servizio di assistenza medica, trovo un telefono e cerco di mettermi in contatto con la redazione. Sui volti delle persone che mi passano vicino vedo spavento, incredulità. Forse anche loro vedono sul mio la stessa espressione, quella di sentirsi improvvisamente orfani.

Sarà una notte lunga. Al Policlinico Gemelli, dove il Papa è stato ricoverato, i medici tentano l’impossibile. In piazza San Pietro la gente è ancora lì, prega e spera. In redazione si prepara l’edizione straordinaria che uscirà alle sette del mattino con le prime, confortanti notizie che giungono dall’ospedale.

Dieci anni dopo, Giovanni Paolo II si recò in pellegrinaggio a Fatima, per rinnovare il suo grazie a Maria. Il giornale mandò me come inviato. Anche quel giorno era il 13 maggio ed ero felice di esserci.
(fonte, L'Osservatore Romano 12/05/2021)

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Leonardo Porzia, l’infermiere che abbracciò a lungo Papa Wojtyla, gravemente ferito da un attentatore. 
Restò accanto al Pontefice fino alla sala operatoria



In occasione del 40.mo anniversario dell'attentato contro Papa Giovanni Paolo II, il 13 maggio prossimo, riproponiamo l'intervista di Radio Vaticana (a cura di Massimiliano Menichetti, ma oggi non più reperibile nell'archivio vaticano)[1] con Leonardo Porzia, l'infermiere che materialmente abbracciò il Papa per metterlo sulla lettiga dell'autoambulanza che lo portò in 15 minuti dalla sede del Fondo per l'Assistenza sanitaria, nella Città del Vaticano, al Policlinico Gemelli di Roma dove un gruppo di medici e paramedici salvò la vita al Pontefice, vittima dell'attentato perpetrato dal turco Ali Agca:
Il 13 maggio del 1981 resterà per sempre la data dell'attentato a Giovanni Paolo II. Alle 17.19 Papa Wojtyła viene colpito da due proiettili sparati in Piazza San Pietro dalla pistola di Mehmet Ali Ağca. Il Santo Padre si accascia sulla jeep - tutt'intorno paura ed incredulità - immediatamente viene portato in guardia medica vaticana. Ad attenderlo il chirurgo, il prof. Enrico Fedele e Leonardo Porzia, l'infermiere che materialmente abbracciò il Papa per metterlo sulla lettiga. Porzia rimase con il Papa fino al ricovero al Policlinico Gemelli.
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R. – Quel giorno ero di servizio in ambulatorio chirurgico: noi eravamo collegati con i vari presidi del Pronto Soccorso a San Pietro. A un certo punto arriva una comunicazione: "Hanno sparato al Papa! Sta entrando dall'Arco delle Campane per recarsi alla Guardia Medica!". Subito avvertii il chirurgo, il prof. Fedele, era lui di servizio. Tutti quanti – anche altri medici – uscimmo in mezzo alla strada... Arrivò la jeep con il Santo Padre.
D. – Appena sentiste, via radio, che avevano ferito il Papa, come viveste quel momento?
R. – Una cosa terribile! "Oddio, hanno sparato al Papa!". Si mise in movimento tutto l'ambulatorio.
D. – Da chi fu soccorso subito, lì per lì?
R. – Da me. Avevamo l'ambulanza accanto, tirai fuori la barella e lo abbracciai, lo portati al mio petto, così come stava sulla jeep, e lo misi sulla lettiga. Il chirurgo guardò la ferita: a seconda dell'entità del danno o si sarebbe portato all'ospedale Santo Spirito o al Policlinico Gemelli... Con un batuffolo di garza, tamponai la ferita del Papa.
D. – Quando da voi arrivò il Santo Padre, ci fu incertezza?
R. – No, no! Fu una cosa diretta: lo presi e lo misi subito sulla barella!
D. – In realtà, per andare in ospedale, si aspettò l'arrivo di un'altra ambulanza vaticana, dove era?
R. – Era incastrata sotto al colonnato. Si perse un po' di tempo, ma arrivò anche l'ambulanza del Santo Padre e uscimmo.
D. – Perché ci fu la necessità di portarlo da una ambulanza ad un'altra?
R. – Perché quella era più attrezzata.
D. – Saliste, chi eravate a quel punto sull'ambulanza?
R. – C'era l'autista, il cameriere - Gugel -, il direttore sanitario Buzzonetti, il direttore del Fas - il servizio sanitario vaticano - il chirurgo ed io... Eravamo sei o sette. Uscimmo da Sant'Anna e andammo al Gemelli.
D. – Il Santo Padre come stava?
R. – Era cosciente... però non parlò! No, non parlò! Lungo la strada pregava.
D. – Per un fraintendimento voi partiste senza scorta?
R. – Non avevamo scorta! La polizia ci aspettava all'Arco delle Campane, ma noi siamo usciti da Sant'Anna.
D. – Quale tragitto avete fatto?
R. – Uscimmo da Sant'Anna, Piazza Risorgimento, Medaglie d'Oro; lassù c'è Via Pereira e una strada di campagna, che portava al Gemelli... Arrivammo a metà strada di Via Pereira, muore la sirena... Smise di suonare! Ci prese un colpo, perché non avevamo scorta... Un poco con il clacson, un poco così, riuscimmo ad arrivare al Gemelli.
D. – Durante il trasporto, però, accade anche un'altra cosa: proprio mentre lei stava operando...
R. – Mi diedero ordine di mettere una flebo, perché la pressione era scesa di parecchio... Mentre stavo per infilare l'ago, l'autista fece una sterzata e siamo andati a finire sul marciapiede. L'autista prese un senso unico e un altro veicolo ci stava venendo addosso.
D. – Lesionò il Santo Padre?
R. – No, no, no! Io mi bucai un dito...
D. – Quanto ci mise l'autoambulanza ad arrivare al Gemelli?
R. – Neanche un quarto d'ora.
D. – Comunque arrivaste. Ma anche lì altre piccole difficoltà...
R. – C'era l'ordine che lo si doveva portare al Centro di Rianimazione. Probabilmente il direttore aveva già parlato con il Centro di Rianimazione: là era di servizio un medico del nostro servizio Vaticano, era direttore del Centro di rianimazione.... Arriviamo là e scarichiamo la barella, ma arriva un contrordine: "Bisogna andare al nono piano!". Al nono piano c'era la camera operatoria... Allora che fai? Da solo, correndo come un matto la portai - erano circa cento metri – all'ascensore per arrivare al nono piano.
D. – In quei momenti il Papa che cosa faceva?
R. – Niente. Stava rannicchiato sulla barella, sofferente...
D. – Lei ha avuto paura che il Papa potesse morire?
R. – Sì, si!
D. – Arrivato al nono piano, lei lasciò Giovanni Paolo II?
R. – Invece di entrare direttamente in sala operatoria, lo lasciai nella stanza dove si fa la preparazione del paziente... Gli ho levato tutti gli indumenti, li ho messi in un sacchetto di plastica e l'ho consegnato a Gugel. Il direttore mi disse: "Puoi rientrare!".
D. – Il Papa verrà operato, poi un altro ricovero.... Comunque, in sostanza, gradatamente dopo la convalescenza a Castel Gandolfo, rientra in Vaticano. Lì continua degli accertamenti e in realtà lei continua ad incontrarlo quando viene a fare le analisi all'ambulatorio del Vaticano...
R. – Quelle volte che veniva giù, mi diceva: "Io a lei la conosco!". Lo disse 3-4 volte: "Io a lei la conosco!". Io risposi: "Eh Santità, sì!". Però non mi andava di dire: "Sono quello che...".
D. – E lei non gli lo ha mai detto?
R. – No! No!
D. – Personalmente come ha vissuto questo viaggio insieme al Papa in autoambulanza, quando lo ha poggiato sulla barella, quando lo ha rivisto in ambulatorio... ?
R. – Finché non si è tornati alla normalità, per me era un paziente. La mia professione era quella! Poi certo .... Stavi operando sul Papa! Ma professionalmente ero sereno e tutto quello che c'era da fare si è fatto: diciamo che non si è trascurato niente.
D. – C'è anche un aneddoto singolare in relazione alla flebo che lei mise al Santo Padre...
R. – Da noi lavoravano le suore polacche... Quando il giorno dopo, abbiamo ripreso il servizio, una suora polacca mi disse che Gugel gli aveva dato tutti i paramenti e anche la rimanenza della flebo... Questa flebo con il mio nome fu data a Via Cortina d'Ampezzo, dove c'è un istituto di suore polacche... Però onestamente io non ci sono mai andato...
D. – Il 24 dicembre dello stesso anno dell'attentato, quindi del 1981, lei ed il chirurgo foste ricevuti dal Papa... Dove?
R. – Nell'anticamera della Sistina. E' un salone... Prima io e i miei familiari; dopo il prof. Fedele con i suoi familiari.
D – Che cosa vi siete detti?
R. – Devo dire onestamente, che non usciva niente... Non sapevo che dire! Lui ha ringraziato.
D. – Insomma, fu lui a parlare. Le conferì anche l'onorificenza di Cavaliere di San Silvestro. Che impressione le fece il Papa in tutta questa vicenda, da quando fu ferito a quando poi lo incontrò?
R. – L'impressione di un uomo – diciamo – sofferente, ma contemporaneamente – guidato dal Signore – era un uomo che trasportava...
D. – Un uomo con la Grazia?
R. – Con la Grazia, sì!
D. – Che effetto le ha fatto aver tenuto tra le braccia un Santo?
R. – Eh, questa è una domanda milionaria! Mi sento orgoglioso – diciamo – di quello che ho fatto: ho preso in braccio il Papa! Sono riuscito a compiere il mio dovere e a fare tutto quello che era necessario.
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[1] (Ndr. Il sismografo) Abbiamo rilanciato questa intervista il 5 maggio 2016 in occasione dei 35 anni dall'attentato e l'abbiamo recuperato oggi dal nostro sito poiché non è più possibile trovarla nell'archivio di Vatican News da dove sembra sparita insieme a tantissimi altri documenti importanti.

Aggiornamento.
Abbiamo ricevuto nel corso della mattina di oggi, e pubblichiamo con piacere, la segnalazione web che consente l'ingresso all'archivio dei Radiogiornale delle 13 maggio 2016 della Radio Vaticana dove il 24 aprile 2014 fu amplificata l'intervista di M. Menichetti a Leonardo Porzia. L'intervista è stata diffusa lo stesso giorno in cui si svolsero i funerali di un grande amico e cronista della Radio del Papa, Benedetto Nardacci, che il pomeriggio del 13 maggio 1981 conduceva la radio-telecronaca dell'Udienza nel corso della quale Ali Agca sparò contro s. Giovanni Paolo II.
(Radio Vaticana) L’infermiere che soccorse Karol Wojtyla dopo l’attentato: anche nella sofferenza era guidato dal Signore.
(a cura Redazione "Il sismografo" 11/05/2021)

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"Il papa (non) doveva morire"


Storia, cronaca e segreti dell'attentato a Giovanni Paolo II, l'evento che sconvolse la storia e la Chiesa. 
La puntata di Sulla Via di Damasco, in onda domenica 9 maggio, ore 8.40, su Rai Due, torna a quel 13 maggio 1981 di 40 anni fa, giorno in cui "il papa doveva morire", ripercorrendo coincidenze, retroscena, ma soprattutto come questo evento abbia cambiato Giovanni Paolo II ed il suo pontificato. In studio con Eva Crosetta, Antonio Preziosi, giornalista e direttore di Rai Parlamento, che a quel momento miracoloso ha dedicato un libro-inchiesta, evidenziando le implicazioni storiche e mistiche di quegli spari. "Quell'episodio, siamo nel mezzo della guerra fredda, – dice Preziosi – dette a Giovanni paolo II un coraggio in più nell'andare avanti; consideriamo, poi, che lui portò sulla sua pelle i segni di quell'attentato per tutta la vita". 
All'interno del programma di Vito Sidoti, anche un'intervista di Preziosi a suor Letizia Giudici, la suora che in quei momenti concitati afferrò il terrorista Ali Agca in fuga. A seguire, i segni profetici di quella ferita che orientò il pontificato, con la riflessione del Card. Angelo Comastri e di Mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di canonizzazione. Regia di Alessandro Rosati.


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Vedi anche il post precedente: