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martedì 18 maggio 2021

Lettera aperta ad Ali Ağca

Gian Franco Svidercoschi, ex Vicedirettore de L'Osservatore Romano, amico personale di s. Giovanni Paolo II, scrive una lettera aperta ad Ali Ağca per chiedergli di raccontare finalmente la verità sul suo attentato contro Papa Wojtyla.


Di Mehmet Ali Ağca (9 gennaio 1958, Hekimhan, Turchia), sabato scorso è stata diffusa l'ennesima intervista sui fatti di sangue del 13 maggio 1981, quando 40 anni fa il terrorista turco, membro del gruppo "I lupi grigi" (Bozkurtlar), sparò ripetutamente al Papa in Piazza San Pietro. Ancora una volta l'attentatore tace e offre una nuova confusa versione dei fatti. Ağca, come sempre ha fatto in questi decenni, neanche questa volta chiede perdono per il suo crimine. Non lo ha fatto mai. Intanto, dopo aver ricordato ampiamente il 40mo dell'attentato contro Papa Giovanni Paolo II, il 18 maggio ricorderemo i 101 anni dalla sua nascita in Polonia (Wadowice). 
Di seguito il testo della lettera di Gian Franco Svidercoschi.

LETTERA APERTA A MEHMET ALI’ AGCA 
DA UN GIORNALISTA AMICO DI GIOVANNI PAOLO II

In questi giorni, in occasione del 40° dell’attentato, ho ripensato a quanto mi disse Giovanni Paolo II pochi mesi prima di morire. Ero andato a parlargli del film che stavamo facendo su di lui, e a un certo punto cominciammo a parlare dell’attentato. E lui, ancora una volta, e quasi angosciato, mi ripeté che si portava sul cuore (e chiaramente se lo è portato alla morte) il peso di non aver mai sentito dal suo attentatore una sola parola di perdono. Non riusciva a capire, meno ancora del tentativo che aveva fatto di ucciderlo, il perché quell’uomo non riuscisse o non volesse pentirsi di quel che aveva fatto. E, ancora una volta, mi ripeté di quanto fosse rimasto sconcertato, al momento di incontrarlo in carcere, nel sentire quelle sue prime parole: “Ma perché lei non è morto? Io ho mirato giusto…”.
Ebbene, ecco perché mi rivolgo a lei con questa lettera aperta, Mehmet Alì Agca. Vorrei chiederle, dopo che non l’ha fatto con il Papa in vita, di dirgli ora quella parola di pentimento che Giovanni Paolo II si aspettava da lei. E, questa parola di pentimento, lei potrebbe dirla facendo almeno un po’ di verità su quello che è successo. Sarò ingenuo, ma spero che lei, proprio per onorare la memoria del Papa, voglia spiegarci come sia stato possibile arrivare a pensare di uccidere un Uomo santo e buono come Karol Wojtyla.
Le faccio perciò alcune domande. Se non vuole, naturalmente, non risponda. Ma, se risponde, dica – per quanto sia possibile – la verità.

1) Il 25 novembre del 1979, lei evase dal carcere di Kartel Malpete, un carcere di massima sicurezza. Non può averlo fatto da solo. Chi l’aiutò? E’ giusto pensare che, all’origine della sua evasione, ci fossero i servizi segreti sovietici, il KGB? Glielo chiedo perché ho trovato una singolare coincidenza. In un documento segretissimo del 13 novembre, 12 giorni prima della sua evasione, l’ideologo del PCUS, Suslov, invitò i Paesi dell’Est e le loro polizie segrete a contrastare Giovanni Paolo II, dopo il suo trionfale viaggio in Polonia. E, in particolare, Suslov chiese espressamente al KGB di utilizzare, se necessario, “nuove misure” per attaccare il Papa polacco. La sua evasione venne decisa per questo?

2) Lei, appena liberato, scrisse a un giornale, e anche telefonò, che avrebbe ucciso Giovanni Paolo II se fosse andato in Turchia, per il viaggio previsto dal 28 al 30 novembre. Ma era pensabile che, uno che voleva assassinare il Papa, andasse a raccontarlo prima ai giornali, mettendo quindi sull’avviso la polizia? Poi, comunque, lei non fece nulla. E allora, non è giusto pensare che la sua evasione e la sua dichiarazione pubblica dovessero rappresentare – in quel momento – solo una minaccia, un modo per creare terrore, per spingere il Papa a non occuparsi più così apertamente della Polonia e anche degli altri Paesi che erano sotto l’Unione Sovietica? Era stato questo, allora, il suo ruolo?

3) Dopo quel novembre 1979, lei scomparve. Dicono che abbia soggiornato in vari Paesi, e specialmente in Bulgaria. E’ vero? Viveva sotto la protezione di qualche gruppo, di qualche servizio segreto? Chi le dava i soldi per vivere? E oltretutto, visti gli alberghi lussuosi che frequentava, per vivere così bene?

4) Nei mesi successivi, la situazione in Polonia era diventata caldissima. Nell’agosto del 1980 era nato il movimento Solidarnosc, il popolo polacco si era rivoltato contro lo Stato-partito. E i gruppi più radicali del movimento mostravano un atteggiamento decisamente antisovietico. Forse Breznev pensò di invadere la Polonia, ma capì ben presto che ci sarebbero state ripercussioni troppo negative; meglio, invece, fare in modo che fosse il generale Jaruzelski ad intervenire con l’esercito polacco, a compiere una “auto-invasione”. Ma intanto, mentre i dirigenti politici sovietici mettevano a punto una soluzione del genere, i servizi segreti avevano cominciato a pensare che fosse venuto il momento di eliminare colui che aveva dato origine a quella rivoluzione. Così, non i capi, ma i vice dei vice capi – attraverso, come si dice, una serie di scatole cinesi - andarono avanti per questa strada, finché qualcuno contattò lei perché assassinasse il Papa. E’ giusta questa ricostruzione? Chi è stato a mettersi in contatto con lei? L’hanno pagata? Sono stati quelli dei servizi segreti a organizzarle il viaggio, o ha fatto tutto da solo?

5) E arriviamo al 13 maggio del 1981. Lei andò solo in piazza san Pietro? Che cosa provava dentro di sé, sapendo che andava lì per uccidere il capo della Chiesa cattolica? Che cosa pensò nel momento in cui sparò? Sparò solo due colpi? Quando fuggì, era convinto di aver ucciso il Papa? Venne arrestato, cominciò a raccontare qualcosa, ma poi smise di colpo. Venne minacciato?

6) E adesso, quarant’anni dopo, che cosa vorrebbe dire a Giovanni Paolo II? Riesce a provare un vero pentimento per quello che ha fatto?

Ripeto: mi sento un grande ingenuo a farle queste domande. Ma, in coscienza, sentivo di dover fare questo, in ricordo di un Uomo che ha operato per la pace nel mondo, e che ha amato tutti gli uomini, anche lei. Si ricorda che cosa le disse, al momento di visitarla in carcere? “Oggi ci incontriamo da uomini, anzi, da fratelli”. E adesso, lei, come gli vuole rispondere? Inventando una ennesima storia, o con la verità?

La saluto cordialmente,
Gian Franco Svidercoschi
Roma, 13 maggio 2021
(fonte: Il Sismografo 17/05/2021, per gentile cortesia dell'autore)