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sabato 21 novembre 2020

TOCCO IL POVERO E SFIORO IL CIELO - Il povero è maestro di fede perché esiste solo perché accolto; solo se accolto. E’ tempo di prendersi cura; ed è così importante, è così facile... - Commento al Vangelo - XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (A) a cura di P. Ermes Ronchi

TOCCO IL POVERO E SFIORO IL CIELO
Il povero è maestro di fede perché esiste 
solo perché accolto; solo se accolto.  
E’ tempo di prendersi cura; ed è così importante, è così facile...

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. […]». Mt 25, 31-46

per i social


Il povero è maestro di fede perché è l’evidenza che l’uomo vive, esiste, solo perché accolto; solo se accolto.

E’ tempo di prendersi cura; ed è così importante, è così facile…

TOCCO IL POVERO E SFIORO IL CIELO

Matteo dipinge una scena potente e drammatica, che siamo soliti chiamare il giudizio universale, ma che sarebbe più esatto definire “la rivelazione della verità ultima, sull’uomo e sulla vita”.
Padre nostro sei nei cieli, noi preghiamo, ma i cieli del Padre sono i suoi figli.

Il povero è il cielo di Dio. Quando la tua mano tocca un povero dalla vita piagata, le tue dita sfiorano il cielo di Dio.

Perché il Signore sta nel posto dove noi non vorremmo mai essere, nell’ultimo, all’ombra delle retrovie; in coloro che incarnano non i tuoi sogni, ma le tue paure, i tuoi dolori.
Venite, benedetti: nel cielo di Dio entreremo solo passando attraverso quella creatura dall’odore acre, dagli occhi dai mille colori come le mille sfumature della povertà, legata sempre a doppio nodo alla solitudine.
Una cosa mi affascina del vangelo: argomento del giudizio su di me, saranno solo le cose buone, non la mia fragilità colma di paure.

Matteo elenca sei opere buone, vaste quant’è vasto il campo del dolore umano.
L’umiltà del bisogno è così importante che Dio vi ha legato la salvezza, stretta a un po’ di pane per il viaggio, un bicchiere d’acqua, un vestito donato, ai passi di una visita, a un po’ di coraggio per oggi e per domani.
Non alle cose, ma al cuore detto dalle cose.
Se guardi il povero, ti senti naufragare. Perché ti obbliga a confrontarti con le cose estreme, con la vita a rischio; entra nel tuo orizzonte come una metafora vivente di fallimento e di morte. Ma è anche maestro di fede perché incarna l’evidenza che l’uomo vive solo perché custodito da altri, che esiste solo perché accolto; solo se accolto.

Misura dell’uomo e di Dio, senso della storia è il bene. Davanti a Lui non temo la debolezza, ho paura solo delle mie mani vuote.

La verità ultima dice anche che è possibile fallire la vita: Andatevene da me, maledetti. Gli allontanati, che male hanno commesso?
Non quello di aggiungere male a male; il loro peccato è ben più grave, è non aver fatto niente.

Non basta limitarsi a non fare del male alle persone. Si uccide anche in silenzio, restando alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, contro la fame e l’ingiustizia, lo stare a guardare, è farsi complici della corruzione, legittimare il peccato sociale, lasciare campo libero alle mafie.
Il vero peccato di oggi, dice papa Francesco, è la “globalizzazione dell’indifferenza”.
Esigente bellezza di questo Vangelo. 
Ora è il tempo in cui prendersi cura, ed è così importante e, in fondo, così facile… 
Il nostro cielo, il nostro avvenire, è quel bene che io e te doneremo al povero, all’invisibile, all’ultimo. Il nostro futuro non si attende, come una sentenza, ma si genera!
Se c’è qualcosa di eterno, se qualcosa di noi rimarrà, questa cosa è solo l’amore, perché oltre l’uomo non c’è nulla, tantomeno il Regno di Dio.

per Avvenire

Una scena potente, drammatica (…)