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venerdì 20 novembre 2020

Nell'inferno degli orchi con don Fortunato

Nell'inferno degli orchi con don Fortunato
Don Maurizio Patriciello e don Marco Pozza, dedicano un libro a don Di Noto e alla la sua opera a favore dei bimbi vittime dei pedofili: "Sono sceso all'inferno con lui. Gli ho chiesto di rimanermi accanto mentre, seduti davanti a un computer, lentamente scivolavano le immagini ..."


Oggi, 20 novembre, si celebra la Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza. “Il solo pensiero che anche oggi, in questo preciso istante, dei piccoli innocentissimi nostri fratellini e sorelline sparsi per il mondo stanno lottando, con tutte le loro deboli forze, per tentare di svincolarsi dalle grinfie di un pedofilo che li tiene prigionieri, mi tormenta, mi agghiaccia, mi annienta. Provate a sostituire i volti senza nome di quei bambini con il volto e il nome di uno dei nostri figli o nipotini!”.

Questo è quanto ha scritto con lucidità monsignor Nunzio Galantino, nell’introduzione al libro da poco uscito “Il pane non ama mangiarlo ma impastarlo” scritto da due preti, don Maurizio Patriciello e don Marco Pozza, su un terzo prete don Fortunato Di Noto e la sua opera a favore dei bambini violati.

Le “giornate mondiali” servono proprio a questo: ricordare che c’è qualcuno nel mondo che sta soffrendo, magari a causa dell’uomo stesso e della sua malvagità. E impegnarsi perché ciò non accada più. 

Non capita tutti i giorni che due sacerdoti si mettano assieme per scrivere un libro su un terzo confratello. O più precisamente raccolgano in forma organica gli scritti postati sui social o pubblicati su riviste dedicati a un altro prete. Lo hanno fatto due preti “di strada” come don Patriciello, il parroco della “Terra dei fuochi”, e don Pozza, il prete-teologo “dietro le sbarre”, per l’amico don Fortunato e per il suo impegno nella lotta alla pedofilia a cui il sacerdote siciliano dedicato il suo ministero a difesa dell’infanzia violata.

Il volume, pubblicato da Controvento Aps, raccoglie una serie di articoli e interviste che dal 2007 al 2020 hanno scritto i due autori su don Di Noto.

E’ una testimonianza affettuosa e insieme sconvolgente che racconta gli incontri con il fondatore di Meter, ma soprattutto il senso e l’importanza dell’impegno, troppo spesso passato sotto un silenzio d’indifferenza e colpevole, che questo prete da quasi trent’anni sta portando avanti a favore dei bambini che subiscono violenza dai pedofili. Due preti di periferie esistenziali che si occupano di un terzo, don Fortunato, che vive nelle “periferie digitali”, a caccia del marcio profondo nascosto in rete, nel deep web che alimenta quello squallido mercato di corpi e di anime che si chiama pedopornografia online.

Nella giornata che ricorda i diritti fondamentali dei bambini proponiamo due pagine di questo libro proprio per non dimenticare che tali diritti sono violati quotidianamente centinaia, migliaia di volte, nel modo più bestiale e vigliacco, nella penombra di una camera, o in una stanza d’albergo affittata ad hoc, da stupratori seriali, e criminali senza scrupoli che fanno luridi affari postando in internet e vendendo quelle immagini abominevoli, sapendo di infliggere sofferenze per (im)puro piacere.

Monsignor Galantino conclude l’introduzione con parole di speranza:

“Mi fa bene, come uomo e come prete, ritrovare e leggere i contributi di don Marco Pozza e di don Maurizio Patriciello sull’opera di don Fortunato. Mi auguro che a questo libro, che riporta alcuni loro articoli, ne facciano seguito altri, con l’obiettivo di informarci di casi dolorosi, ma anche di raccontarci delle tante battaglie vinte. Perché le battaglie si possono vincere. Un solo bambino liberato dalla schiavitù – perché di vera e propria schiavitù si tratta – è un passo avanti nella crescita in umanità di tutti. È una luce che si accende in un percorso, a tratti, segnato da fitte tenebre. Don Fortunato Di Noto ha aperto una strada in un deserto arido e senz’acqua. È un pioniere. Un tempo avremmo detto un profeta. Va sostenuto per sostenere i prediletti di Gesù: i bambini. Ma abbiamo bisogno anche che le vittime, i sopravvissuti, ci raccontino le loro guarigioni, le loro liberazioni. È nostro dovere metterci in ascolto. Per lenire il loro dolore, per farli riposare tra le nostre braccia, per imparare a captare i segnali inquietanti che ci arrivano dalle piccole vittime, anche quando non hanno il coraggio di parlare. Perché non accada più. Mai più”.


Così scrive don Patriciello a pag. 16 e seguenti:

“Ad Avola c’è un uomo, un prete, un parroco che in questo inferno si è calato. Senza paura, senza tentennamenti. Da quell’inferno ha tirato fuori centinaia di vittime innocenti. Ha sentito il puzzo di bruciato, il fetore della corruzione, il pianto dei bambini, il lamento dei neonati. Don Fortunato Di Noto ha deciso di spendere la sua vita per gridare al mondo quanto grande sia il dramma della pedofilia e della pedopornografia. Per dirci che attraverso la rete di cui ci serviamo per scrivere, leggere, informarci, comunicare, navigano scene apocalittiche. Foto e video usciti dall’inferno. Per dirci che, sotto i nostri occhi, accadono a tanti bambini cose inconcepibili. Bambini veri che in qualche parte del mondo vengono sacrificati agli insani piaceri degli adulti. Sono stato ad Avola. Ci dovevo andare. Era mio dovere. Fortunato ha bisogno di essere sostenuto, aiutato, incoraggiato. “ Quando i fratelli ci fanno visita – diceva Frère Roger Schutz di Taizé – ci confermano che stiamo operando bene”. Sono andato ad Avola per abbracciare questo prete, ringraziarlo per il suo impegno, il suo coraggio, la sua fede, il suo cuore grande quando una montagna. Ma sono andato anche per chiedergli di scendere con lui in quell’inferno che spaventa e mi spaventa. Avevo paura. Gli ho chiesto di rimanermi accanto mentre, seduti davanti a un computer, lentamente scivolavano le immagini. Sono arrivato a vederne quattro o cinque, non ho resistito di più. Ma sono bastate a togliermi il sonno. A chiedermi che cosa si debba fare per scendere in aiuto di questi piccoli. Avevo letto degli scempi sui neonati, li avrei anche potuti immaginare. Ma vederli è un’altra cosa. Ti immergi nell’inferno, stai male, soffri e dall’inferno vorresti scappare via. Le fiamme bruciano, i fumi asfissianti rubano il respiro. Il cuore batte all’impazzata, la rabbia monta, l’impotenza di agire ti arrovella.

È possibile? Ti chiedi. È possibile che un uomo, creato a immagine di Dio, possa stuprare, violentare, rovinare un bambino di pochi anni o di pochi giorni? Trovare piacere mentre una bambina spaventatissima, piange, invoca, chiede aiuto? Possibile che milioni di persone perbene, con i loro silenzi non sempre complici, permettano tutto questo? Don Fortunato è convinto che la prima cosa da fare sia informare. È vero. La conoscenza innanzitutto. Ma non un’informazione sporadica, distratta, asettica. Occorre portare alla luce le storie di questi bambini prigionieri.

Occorre che gli adulti che vogliono farlo, possano vedere con i propri occhi le spietate assurdità compiute dai pedofili su bambini. Il web è diventato uno dei nemici più crudeli di questi innocenti indifesi. In questo mare navigano, si cercano, si camuffano, si coalizzano i pedofili. Con i bambini stuprati fanno affari milionari. Le loro foto, i loro pianti, le loro grida soffocate vengono venduti, guardati, scambiati come fossero fumetti. A don Fortunato il grazie di tutte le persone perbene. Questo prete siciliano ha acceso una luce in una foresta buia e fitta. Ci ha dato la mappa di un campo minato che miete vittime ogni giorno. Con i suoi meravigliosi collaboratori è diventato pescatore di siti pedopornografici e collaboratore della Polizia postale. I pedofili di tutto il mondo lo odiano. Da essi si deve difendere.

Ma noi dobbiamo osare di più. Per amore dei bambini dobbiamo spingerci oltre. Tutti, tutti, tutti dobbiamo ascoltare con le nostre orecchie il pianto disperato dei bambini violentati. Tutti, tutti, tutti, dobbiamo avere la possibilità di vedere con i nostri occhi quelle scene spaventose. La gente deve sapere per poter inorridire, scandalizzarsi, rabbrividire. Perché il cuore dell’uomo, in grado di spingersi fino al cielo, è anche capace di precipitare negli abissi più profondi. La gente deve scendere nell’inferno, toccare con mano, sentire il fetore del male, il desiderio del bene. Tutti, tutti, tutti dobbiamo sentirci responsabili. Occorre che di pedofilia, di pedopornografia si parli, si scriva e si discuta sempre di più. Occorre che la società civile, facendo appello alla propria umanità, spinga con forza governi e parlamenti ad essere più attenti, legiferare con più severità, più fermezza, su questo dramma dalle dimensioni immani. Occorre che tutti noi ci facciamo custodi, sentinelle, mamme, papà di tutti i bambini del mondo. Soprattutto di quelli che con più probabilità possono cadere tra gli artigli diabolici dei pedofili, nostri fratelli senza cuore”.


E così scrive don Pozza a pag 87 e segg:

“I bastardi lo sanno che con i bambini è semplice capirsi: quanto ti prendono la mano, hanno già deciso di fidarsi di te. Hanno dei tergicristalli negli occhi, son capaci di scovare il tutto nel nulla: gli uomini trovano il nulla nel tutto, scriveva il poeta Giacomo Leopardi. Eppure ancora troppi di questi bambini sono costretti a vivere nell’inferno, quello stomachevole della pedofilia, della pedopornografia, di quel mondo lurido popolato da orchi che li prendono per mano, accarezzando il sogno di violentarne l’umanità, la dignità, la sopravvivenza.

Qualcuno di questi li frequento: per conto di Dio, visto che nelle galere qualcuno di loro ci resta per anni. Le gesta per le quali sono stati condannati talvolta sono state così sudicie che è ostico riconoscere l’uomo dietro quel suo reato, l’angelo dietro la bestia, il cuore nel mezzo dell’infarto. Eppure, da qualche parte, c’è: è rimasto intatto, soffocato, bistrattato. Quando resiste – perché resistere non è sempre facile – il paradosso è che quell’uomo ritorna bambino. Risvegliandosi dal coma del male, prova vergogna, ribrezzo, si mostra persino incapace di perdonarsi. Il bambino che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell’uomo: un bambino violentato è il segno che l’uomo si è stancato di Dio. Stanco morto che Iddio gli ricordi il fanciullo che anche lui è stato, l’immagine divina che ha deturpato.

Quell’inferno di escremento liquido lo conosco. Non lo attraverso mai da solo: il male, quand’è allo stato puro, è pericolosissimo, altamente scivoloso, non è mai uno scherzo. Quando lo è, è uno scherzo idiota, da idioti. Lo attraverso spesso in compagnia di un uomo: è pure prete, ma ciò che conta è l’uomo che è. Sono oltre due decadi che, da autodidatta, sfida il male faccia a faccia. “È sempre su per il computer. Non ha altro da fare?”, dicono i suoi detrattori. Che sono tanti e pure importanti (nelle misure di quaggiù). Dicono la nuda verità, visto che don Fortunato Di Noto, siciliano di mare aperto, sfida Lucifero a colpi di clic.

Perché quest’uomo lo sa che il male è furbo: cacciato dalla porta del reale, è rientrato per la porta del virtuale. Quel mondo che, per quanto lo si vieti, non è mai vietato ai minori di nessuna età: terra di nessuno, zona franca, spazio aperto. E i bambini, nel frattempo, annegano, sprofondano. Annaspano ruggendo. Una volta sola ho visto, in sua compagnia, uno di quei video luridi che lui, minacciato di vedersi la testa spaccata, continua a denunciare: sono passati tredici anni, ma lo schifo mi è ancora attaccato nello sguardo. Non pensavo si potesse alzare l’asticella così in basso. Alzarla in basso: è l’esatta sproporzione di un’anima che si è persa. Il peso della missione di don Fortunato Di Noto abita tutto qui: risvegliare il mondo — anche della nostra amabile e contestabile Chiesa — da questo coma prima che diventi irreversibile. Prima che sia troppo tardi. Oggi, grazie alla testardaggine di quest’uomo violento col male, si celebra la 22esima Giornata dei Bambini Vittime. Ogni anno è la stessa domanda ad affacciarsi: “Serve poco parlare: bisogna fare”. È la domanda più imbecille che sia mai stata scritta in italiano. Per due motivi: perché pregare non è parlare, è importunare Dio. Gettargli addosso tutto il dramma bambino: “Non ce la facciamo più! Solo Dio potrà liberarci da questo inferno”. Poi – visto che anche il cuore è organo riproduttivo, sia maschile che femminile – pregare è stringere la mano a questo eroe solitario (anche se la sua è una squadra d’assalto) di nome Fortunato, don. Se solo sapessi che poi mi ritorna in vita, vorrei vedere anticipata la sua Don Marco Pozza 89 fine, quella che da anni è in fase di costruzione avanzata. Lo vorrei sapere morto − per un istante, però − perché l’uomo potesse fiutare che i cani fedeli al padrone abbaiano quando il nemico forza la serratura. Gli altri cani, quelli che di fronte ai banditi non abbaiano, sono cani-drogati. Il male è un sogno-drogato. Anche il Papa, oggi, si unirà alle litanie bambine di Associazione Meter: chi frequenta Cristo, sa bene che, nell’oscurità, o si maledice il buio o si accende un fiammifero. Il fiammifero di don Fortunato”.

Vedi anche i post precedenti: